L’epopea delle vetture Sport-Prototipo conosce, nel 1953, una significativa svolta. Nasce, infatti, il FIA World Sports Car Championship. Dopo la Formula 1 e il suo Mondiale Piloti, anche le vetture a ruote coperte hanno un proprio campionato ed un proprio titolo iridato. Questa dicitura rimane in vita sino al 1961; nel 1962, infatti, la serie cambia nome in World Sportscar Championship, nel 1967 si tramuta in International Manufacturers Championship, nel 1968 ecco l’International Championship for Makes. Nel 1972, altro cambio di nome in World Championship for Makes, che diventerà World Championship for Drivers and Makes allorché, nel 1981, verrà istituito, al pari della F1, il titolo Piloti. Tra il 1982 ed il 1985, il campionato verrà ribattezzato (per l’ennesima volta) FIA World Endurance Championship, tra il 1986 ed il 1990 vive il FIA World Sport-Prototype Championship, nel biennio 1991-1992 ecco l’era del FIA Sportscar World Championship. Dal 2012, infine, ACO e FIA riportano in vita il FIA World Endurance Championship.
È in questo scenario in continuo mutamento – formale e regolamentare – che la Ferrari intraprende il proprio cammino tecnico e sportivo all’interno del Mondiale Sport, Endurance, Marche che dir si voglia.
L’edizione della 24 Ore di Le Mans del 1953 è valevole quale terza prova del neonato FIA World Sports Car Championship: l’8 marzo si iniziava con la 12 Ore di Sebring, il 26 aprile era di scena la Mille Miglia, il 13-14 giugno è la volta della 24 Ore di Le Mans. 60 le vetture partenti. La Scuderia Ferrari si presenta in forze: la 340 MM Pininfarina Berlinetta (telaio 0318AM) #12 – spinta dal V12 di 60° aspirato di 4500cc – è affidata ad Alberto Ascari/Luigi Villoresi, Mike Hawthorn/Giuseppe Farina condividono la 340 MM Pininfarina Berlinetta #14 (telaio 0320AM) ma spinta dal V12 di 60° aspirato di 4100cc. Una vettura identica a quest’ultima, la #15, è affidata a Paolo Marzotto/Giannino Marzotto (telaio 0322AM). Luigi Chinetti, infine, schiera una 340 MM Spider Vignale per, giustappunto, Luigi Chinetti/Tom Cole. La gara è, come sempre, viva e ricca di colpi di scena. E non manca la tragedia che, ancora una volta, tocca auto prodotte a Maranello: sono da poco scoccate le 06:30 del mattino quando Tom Cole, che in quel momento occupa la settima posizione e sta percorrendo l’impegnativo tratto di Maison Blanche, perde il controllo della sua Ferrari. Cole viene scagliato fuori dell’auto, morirà sul colpo.
Allo scadere delle 24 ore, è un tripudio Jaguar. Le C-Type del Jaguar Cars Ltd conquistano i primi due posti della classifica finale, rispettivamente grazie alle auto condotte da Tony Rolt/Duncan Hamilton (304 giri pari a 4088 km, media oraria di 170,336 km/h) e Stirling Moss/Peter Walker. Al 3° posto, la Cunningham C5-R (Chrysler V8 aspirato, 5454cc) iscritta dal Briggs Cunningham e condotta da Phil Walters/John Fitch. Paolo Marzotto/Giannino Marzotto, con 294 giri ultimati, terminano al 5° posto. Ritirate le altre Ferrari: Ascari/Villoresi abbandonano al 209° passaggio (20 ore) a seguito della rottura della frizione, Hawthorn/Farina sono squalificati nel corso delle primissime fasi di gara per rabbocco non consentito di liquido freni. Farina non ha nemmeno il tempo di prendere il volante. Ascari si consola col giro più veloce in gara: 4:27.4, alla media di 181,642 km/h.
Nel 1954, la 24 Ore di Le Mans (12-13 giugno) è la quarta prova del FIA World Sports Car Championship e segue la 1000 km di Buenos Aires (24 gennaio), la 12 Ore di Sebring (7 marzo) e la Mille Miglia (2 maggio). 57 le auto al via. La Scuderia Ferrari ritorna alla Sarthe assai agguerrita. Tre le nuovissime 375 Plus (V12 di 60° aspirato, 4954cc di cilindrata, alesaggio e corsa pari a 84 mm x 74,5 mm, potenza massima di 344 CV a 6500 giri/minuto, rapporto di compressione di 9,2:1) schierate in terra francese: la #3 (telaio 0384AM) è affidata a Umberto Maglioli/Paolo Marzotto, la #4 (telaio 0396AM) a José Froilán González/Maurice Trintignant, la #5 (telaio 0392AM) a Robert Manzon/Louis Rosier. Una 375 MM (V12 di 60° aspirato, 4522cc di cilindrata, alesaggio x corsa pari a 84 mm x 68 mm, potenza massima di 340 CV a 7000 giri/minuto, rapporto di compressione di 9:1) – la 0372AM e numero di gara #6 – è iscritta da Briggs Cunningham e affidata a Phil Walters/John Fitch. La particolarità della 375 MM gestita da Cunningham risiede nell’adozione di inediti freni a tamburo raffreddati ad acqua, soluzione che prevede l’alloggiamento di appositi scambiatori di calore frontali. Modificato, a tal scopo, il muso della originaria vettura mediante due curiose prese d’aria poste sopra i fari. Un rapporto tormentato quello tra Cunningham ed Enzo Ferrari; sarà proprio il negativo esito della 24 Ore di Le Mans 1954 a decretare la fine della collaborazione tra il pilota-costruttore statunitense e Ferrari stesso. Una ulteriore 375 MM è portata in gara da Chinetti: il manager-pilota italo-americano affida la 0380AM #18 a Innocente Baggio/Porfirio Rubirosa.
Le Ferrari, benché tutte competitive e veloci sin dalle prime battute, palesano ancora una volta una affidabilità precaria (peraltro comune a tutti i costruttori). La gara, peraltro, si disputa in condizioni meteo ostili, a causa di una fastidiosa pioggia intermittente, a tratti assai intensa e accompagnata da temporali e grandine. Baggio, nelle primissime azioni di gara, esce a Tertre Rouge: gara finita. Maglioli/Marzotto ultimano 88 giri, quindi vengono traditi dalla trasmissione della loro 375 Plus. Rotture alla trasmissione e al cambio metteranno fuorigioco anche la 375 MM Cunningham di Walters/Fitch (già precedentemente “azzoppata”: un bilanciere rotto e solo 11 cilindri a disposizione) e la 375 Plus ufficiale di Manzon/Rosier, i quali abbandonano la corsa dopo 15 ore e 177 passaggi ultimati.
Ma la 375 Plus di González/Trintignant resiste. Stoica. Sino alla fine. Il duello con la Jaguar D-Type del Jaguar Cars Ltd condotta da Duncan Hamilton/Tony Rolt (6 cilindri in linea aspirato di 3442cc di cilindrata) è serrato e si risolve solo nelle fasi conclusive di gara. L’equipaggio franco-argentino della Ferrari, sebbene la loro auto sia anch’essa afflitta da problemi all’accensione dovuti alla pioggia e alla grandine raccolta ad Arnage, resiste all’arrembaggio finale della Jaguar, minaccioso e consistente. Il distacco a separare i due sfidanti sarà contenuto: meno di 3 minuti, ossia meno di un giro. González/Trintignant (entrambi termineranno la corsa fisicamente esausti) completano 302 giri, pari a 4061,150 km, percorsi alla media oraria di 169,215 km/h. Alle spalle di Ferrari e Jaguar, si piazza la Cunningham C4-R condotta da William “Bill” Spear/Sherwood Johnston. González e Marzotto fanno segnare il giro più veloce in gara: 4:16.8, alla media di 189,139 km/h. Alla vittoriosa Ferrari va anche il successo in classe 3001cc-5000cc.
Raccontare le vicende sportive della 24 Ore di Le Mans 1955 (11-12 giugno, 60 partenti) risulta obiettivamente arduo. Il dramma umano che si consuma sul tracciato francese, infatti, pone in secondo piano fatti e cronache prettamente tecniche e sportive. La Mercedes-Benz 300 SLR #20 in quel momento condotta dal mitologico “Pierre Levegh” che passa veloce sul rettilineo d’arrivo, il contatto con la Austin Healey 100S #26 condotta da Lance Macklin intento a scartare con una manovra avventata la Jaguar di Hawthorn il quale, nel frattempo, accosta per il rifornimento, il decollo della Mercedes, la vettura tedesca che si disintegra nella tribuna del traguardo. Oltre 80 morti (incluso “Levegh”), i feriti superano di slancio le 100 unità. Sono le 18:20, sono trascorsi 35 giri di gara. Un giorno, un’ora, un evento che, nel bene e nel male, segnerà il motorismo, dalle Case agli organismi tecnici e sportivi, passando per i circuiti.
In quel drammatico 1955, la Ferrari si presenta a Le Mans, come da tradizione, in forze. Le vetture di punta sono le 121 LM (121 è la sigla del motore), nome col quale vengono convenzionalmente chiamate le 735 LM (LM sta per Le Mans). La vettura, ideata da Aurelio Lampredi e carrozzata Scaglietti, è spinta da un inedito 6 cilindri in linea aspirato – anteriore longitudinale – di 4412cc (cilindrata unitaria di 735,41cc). Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 102 mm x 90 mm, rapporto di compressione di 8,5 o 9:1, potenza massima pari a 330 CV a 5800 giri/minuto. Presenti anche due Ferrari 750 Monza (4 cilindri in linea aspirato, cilindrata totale di 2999cc, alesaggio per corsa pari a 103 mm x 90 mm, rapporto di compressione di 8,6 o 9:1, potenza massima di 260 CV a 6000 giri/minuto). Le tre 121 LM/735 LM sono così schierate dalla Scuderia Ferrari: la #3 (telaio 0558LM) è affidata a Umberto Maglioli/Phil Hill (quest’ultimo in sostituzione di Alberto Ascari, morto il 26 maggio 1955 al volante della scorbutica e mai amata 750 Monza), la #4 (telaio 0532LM) è portata in gara da Eugenio Castellotti/Paolo Marzotto, la #5 (telaio 0546LM) è affidata a Maurice Trintignat/Harry Schell. Le 750 Monza sono portate in gara da privati: la #12 (telaio 0440M) è condotta da “Heldé” (Pierre Louis-Dreyfus)/Jean Lucas, la #14 (telaio 0504M) è condotta da “Mike Sparken” (Michel Pobejersky, il solo, probabilmente, a trovare divertente questa vettura)/Masten Gregory. Al traguardo, non arriva alcuna Ferrari, tutte ritirate a seguito di rotture meccaniche. Castellotti, tuttavia, è il più veloce in prova (4:14), la 121 LM è anche molto veloce, in grado di superare i 290 km/h.
In una atmosfera di lutto e devastazione, Mike Hawthorn/Ivor Bueb si aggiudicano la corsa al volante della Jaguar D-Type #6 del Jaguar Cars Ltd: 307 giri (4135,380 km) percorsi alla media oraria di 172,308 km/h.
La tragedia di Le Mans 1955 fa sentire la propria onda lunga sull’edizione del 1956 (28-29 luglio, 52 partenti). Per la prima volta, dal 1932, il tracciato viene ritoccato nel suo chilometraggio totale: si passa dai 13,492 km del periodo 1932-1955 ai 13,461 km, lunghezza questa che sopravvivrà sino al 1967. Tutto il tracciato viene rivisto e migliorato. Non mancano, però, i risvolti emotivi. Nell’intento di limitare le velocità delle vetture, ACO fissa a 2500cc la cilindrata massima dei Prototipi. Le vetture derivate dalla serie (o presunte tali…), invece, debbono essere costruite o vendute in almeno 50 unità, ma non hanno limiti di cilindrata. La capacità del serbatoio delle vetture è limitata a 130 litri (200 litri sino al 1955), la finestra per il rifornimento (carburante, olio, acqua) passa da 32 a 34 giri. I piloti, infine, possono percorrere consecutivamente un massimo di 72 giri e un totale di 14 ore. La difformità di regolamenti, tuttavia, fa sì che la 24 Ore di Le Mans, nel 1956, venga esclusa dal calendario del FIA World Sports Car Championship.
La Scuderia Ferrari allestisce a tempo record la 625 LM Touring. È spinta da un 4 cilindri in linea aspirato di 2498cc di cilindrata, misure di alesaggio e corsa pari a 94 mm x 90 mm, rapporto di compressione di 9:1, potenza massima di 220 CV a 6200 giri/minuto. La #10 (telaio 0632MDTR) è affidata a Phil Hill/André Simon, la #11 (telaio 0642MDTR) è condotta da Alfonso de Portago/Duncan Hamilton, la #12 (telaio 0644MDTR) è affidata a Olivier Gendebien/Maurice Trintignant. Presenti anche tre Ferrari 500 TR di classe S 2.0 (4 cilindri in linea di 1984cc, alesaggio e corsa pari a 90 mm x 78 mm, rapporto di compressione di 8,5:1, potenza massima pari a 180 CV a 7000 giri/minuto): la #20 (telaio 0618MDTR), gestita dall’Equipe Nationale Belge, è condotta da Alain de Changy/Lucien Bianchi, la #21 (telaio 0624MDTR) è condotta da Pierre Meyrat/Fernand Tavano, la #22 (telaio 0654MDTR), infine, è portata in gara da Jean Lucas e affidata a François Picard/Robert ‘Bob’ E. Tappan.
La gara vede le Ferrari, veloci e che contrastano come possono le più potenti Jaguar e Aston Martin, soccombere sin dal via. Alfonso de Portago, nelle fasi iniziali di gara, è coinvolto in un incidente con la Jaguar D-Type di Paul Frère, Tavano è vittima di un incidente attorno alle 10 di sera nel tratto tra Maison Blanche e il rettilineo del traguardo, la 500 TR dell’Equipe Nationale Belge abbandona la corsa per problemi allo sterzo, la 625 LM di Hill/Simon cede per problemi alla frizione, al primo mattino l’ultima 500 TR – quella di Jean Lucas – viene squalificata per rifornimento irregolare (anticipato di due giri rispetto alla finestra regolamentare) mentre naviga nei primi 10 della classifica assoluta. Gendebien/Trintignant resistono e acciuffano un buon 3° posto che sa di vittoria. Ultimano 293 passaggi, pari a 3937,611 km. A vincere è la Jaguar D-Type (omologata come “production car” e perciò spinta dal solito 6 in linea di 3442cc…) gestita dall’Ecurie Ecosse e condotta da Ron Flockhart/Ninian Sanderson (300 giri, pari a 4034,929 km, media oraria di 168,122 km/h). Al 2° posto, si classifica la Aston Martin DB3 S dell’Aston Martin Ltd condotta da Stirling Moss/Peter Collins (299 giri) e anch’essa omologata come “production car”.
La gara è funestata dalla morte di Louis Héry; alla guida della Panhard Monopole X86, è vittima di un grave incidente a Maison Blanche durante le battute iniziali di corsa. Muore durante il trasporto in ambulanza.
Importanti novità caratterizzano la 24 Ore di Le Mans del 1957 (22-23 giugno, 54 partenti). Anzitutto, la gara è reinserita all’interno del FIA World Sports Car Championship; essa è la quinta prova dopo la 1000 km di Buenos Aires (20 gennaio), la 12 Ore di Sebring (23 marzo), la Mille Miglia (12 maggio) e la 1000 km del Nürburgring (26 maggio). Nuovi regolamenti tecnici e sportivi qualificano le auto e la corsa francese; su tutti, l’eliminazione della cilindrata massima per i Prototipi, la capacità del serbatoio ridotta a 120 litri, la finestra per i rifornimenti portata da 34 a 30 giri. Ciascun pilota può effettuare un massimo di 36 giri consecutivi e un massimo di 14 ore totali. Le vetture ammesse alla gara sono 55.
La Scuderia Ferrari schiera ben quattro vetture, tutte a motore anteriore longitudinale. Due 335 S (la #6 e #7, telai 0700 e 0674) sono affidate rispettivamente a Peter Collins/Phil Hill e Mike Hawthorn/Luigi Musso. Questa vettura è spinta da un 12 cilindri in V di 60° aspirato di 4023cc, alesaggio e corsa pari a 77 mm x 72 mm, rapporto di compressione di 9,2:1, potenza massima di 390 CV a 7400 giri/minuto. Una 315 S (#8T, telaio 0684) è affidata a Stuart Lewis-Evans/Martino Severi. Questo equipaggio era stato assegnato, in un primo momento, alla 250 TR #8 (telaio 0666MM), ma questa vettura incappa in una rottura di motore in prova. La 315 S è azionata da un V12 di 60° aspirato di 3783cc, alesaggio e corsa pari a 76 mm x 69,5 mm, rapporto di compressione di 9:1, potenza massima di 360 CV a 7800 giri/minuto. Non solo: la Scuderia Ferrari affida una 250 TR (#9, telaio 0704TR) a Olivier Gendebien/Maurice Trintignant. Questa celebre auto è spinta da un V12 di 60° aspirato di 2953cc, alesaggio e corsa pari a 73 mm x 58,8 mm, rapporto di compressione di 9,8:1, potenza massima di 300 CV a 7200 giri/minuto.
Nutrito il fronte delle scuderie private. La NART schiera una Ferrari 290 MM (#10, telaio 0616MM) per George Arents/Jan de Vroom. La vettura è spinta da un V12 di 60° aspirato di 3490cc, alesaggio e corsa pari a 73 mm x 69,5 mm, rapporto di compressione di 9:1, potenza massima di 320 CV a 7200 giri/minuto. L’Ecurie Nationale Belge affida una seconda 290 MM (#11, telaio 0606M) a Jacques Swaters/Alain de Changy. Fernand Tavano si destreggia al volante della 500 TRC (#27, telaio 0696MDTR) assieme a Jacques Péron; una simile vettura (#28, telaio 0682MDTR) è schierata dall’Equipe Nationale Belge e condotta da Lucien Bianchi/Georges Harris. Una terza 500 TRC (#29, telaio 0706MDTR) è portata in gara dalla scuderia Los Amigos; l’equipaggio è composto da François Picard/Richie Ginther. Tutto qui? Una quarta ed ultima 500 TRC (#61, telaio 0686MDTR) è portata in gara da Gottfried Köchert/Erwin Bauer.
Collins parte a spron battuto ma al 2° passaggio la sua 335 S lo tradisce: motore in fumo. Va in testa Hawthorn, ma anche la 335 S di Hawthorn/Musso muore dopo 56 passaggi quando alla guida vi è il pilota italiano: rottura del motore. Le Ferrari, seguendo un triste canovaccio tipico di quegli anni, cadono una dopo l’altra a seguito di rotture meccaniche: si ritirano le 500 TRC di Gottfried Köchert/Erwin Bauer, la 290 MM di Jacques Swaters/Alain de Changy, la 250 TR di Olivier Gendebien/Maurice Trintignant, la 500 TRC di François Picard/Richie Ginther. Nelle ultime ore di corsa, soccombono anche la 290 MM di George Arents/Jan de Vroom e la 500 TRC di Fernand Tavano/Jacques Péron (alla 23a ora e 235 giri ultimati). Purtroppo, le proverbiali generose ed esuberanti prestazioni dei motori Ferrari fiaccano l’affidabilità degli stessi e degli organi meccanici sottoposti a forti stress. Le Ferrari combattono ai vertici della assoluta, ma alla fine solo due vedono la 24 ora.
Stuart Lewis-Evans/Martino Severi portano a termine la corsa. E in modo onorevole. Chiudono al 5° posto, ultimando 300 giri. Ottimo il risultato colto dalla 500 TRC condotta da Bianchi/Harris; l’equipaggio belga conclude in settima posizione assoluta, prima della classe S 2.0 (288 giri). A vincere il XXV Grand Prix d’Endurance è ancora la Jaguar D-Type dell’Ecurie Ecosse condotta da Ron Flockhart/Ivor Bueb. Al 2° posto, l’altra D-Type dell’Ecurie Ecosse, condotta da Ninian Sanderson/John “Jock” Lawrence, al 3° l’ennesima D-Type, la #17 gestita dall’Equipe Los Amigos e condotta da Jean Lucas/”Mary” (Jean-Marie Brussin). I vincitori ultimano ben 327 giri (4397,108 km) alla media oraria di 183,217 km/h. A Mike Hawthorn il giro più veloce in gara: 3:58.7, alla incredibile media di 203,015 km/h.
Nel 1958, si apre un ciclo ricco di soddisfazioni e vittorie. La Casa di Maranello, infatti, coglierà – dal 1958 al 1965 – ben sette successi assoluti alla 24 Ore di Le Mans.
Scritto da: Paolo Pellegrini