Il viaggio nel mondo delle vetture Ferrari F1 continua. Dopo aver trattato le F1 4 cilindri aspirate e le 6 cilindri – ancora aspirate – del periodo 1958-1960, siamo giunti alla seconda parte relativa proprio ai motori e alle vetture 6 cilindri aspirati. Il periodo che andremo ad analizzare va dal 1961 al 1964. Ma non mancherà un temporaneo ritorno di fiamma, datato 1966.
Il 1961 rappresenta, per la Formula 1, un’autentica rivoluzione. Il nuovo regolamento, infatti, prescrive unicamente motori aspirati di cilindrata minima di 1300cc e massima di 1500cc. In sostanza, la cubatura massima adottata in Formula 2 dal 1957 al 1960. Questi motori animeranno la Formula 1 dal 1961 al 1965. Il peso minimo delle monoposto (con tutti i liquidi ma senza carburante) è pari a 450 kg. Le scuderie inglesi sono sul piede di guerra, scontente del cambio regolamentare in atto, peraltro annunciato anni prima: il loro timore, infatti, è perdere il vantaggio tecnologico lentamente ma inesorabilmente acquisito negli anni della “formula 2500” (2500cc aspirati, 750cc con compressore, 1954-1960). Minacciano il boicottaggio ma alla fine la clamorosa protesta rientra.
Chi, invece, sa di possedere un motore già competitivo e potenzialmente vincente è la Ferrari. Grazie alle esperienze maturate in Formula 2 e ai primi debutti in gare iridate di Formula 1 (Monza 1960), la Ferrari è in grado di affrontare la stagione 1961 e il nuovo regolamento nel migliore dei modi. Nell’inverno a cavallo tra il 1960 e il 1961, nasce la Ferrari 156, colei che parteciperà al Campionato Mondiale di F1 1961. Carlo Chiti (Direttore Tecnico e a capo della progettazione) è tra gli uomini di spicco dello staff tecnico di Maranello. Contemporaneamente, Mauro Forghieri si affaccia in qualità di volto nuovo e dal brillante futuro: al celebre ingegnere vengono affidati i calcoli dei nuovi motori, i V6 di 65° e 120°.
Tra la fine degli Anni ’50 e i primi Anni ’60, a Maranello tiene banco il dibattito attorno alla configurazione generale dell’automobile. Enzo Ferrari, non certo all’avanguardia dal punto di vista tecnico, vuole proseguire col motore anteriore e mal accetta il posteriore (i proverbiali buoi che trainano il carro). Tesi che sposa persino Giotto Bizzarrini, tecnico a capo della sperimentazione. Ma è proprio il motore posteriore ad incarnare la via ortodossa e più redditizia per quanto concerne le moderne monoposto, ormai propugnata e perseguita con forza dalla maggior parte dei tecnici del Cavallino, ad iniziare da Chiti e Forghieri. Dopo coraggiose e reiterate opere di persuasione – sfociate in sonori litigi –, lo staff tecnico al timone di Maranello riesce a convincere Enzo Ferrari della bontà ed irrinunciabilità del motore posteriore.
La Ferrari 156, dunque, può accogliere due versioni del V6 aspirato di 1500cc, caratterizzati da differenti angoli tra le bancate ma entrambi bialbero in testa, due valvole per cilindro e alimentati da carburatori Weber. Il 65° presenta una cilindrata totale di 1480cc, misure di alesaggio e corsa pari a 67 mm x 70 mm, un rapporto di compressione di 9,8:1 ed una potenza massima di 185 CV a 9300 giri/minuto. Il 120°, invece, ha una cilindrata totale di 1476cc. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 73 mm x 58,8 mm, il rapporto di compressione è di 9,8:1, la potenza erogata si aggira attorno ai 190 CV a 9600 giri/minuto. Catene a rulli triplex comandano gli alberi a camme, le punterie a piattello sono di “tipo Jano”, le valvole (angolo di 73°) sono richiamate da molle elicoidali doppie. Inizialmente, in fase di sviluppo, il V6 di 120° palesa una lubrificazione non ottimale (lubrificazione a carter secco; l’olio tendeva a concentrarsi nel basamento), inconveniente risolto mediante l’installazione di pompe di recupero supplementari.
La 156, dal canto suo, si affida ad un telaio a traliccio di tubi, a freni a disco Dunlop sulle quattro ruote, a sospensioni (anteriore e posteriore) a ruote indipendenti composte da quadrilateri deformabili, molle elicoidali, ammortizzatori telescopici Koni. Il cambio è a 5 marce. Il peso è dell’ordine dei 470 kg. La linea della vettura, aggressiva ed elegante al contempo e che subirà lievi aggiornamenti e adattamenti nel corso della stagione, è entrata nell’immaginario collettivo: il muso qualificato dalla presa d’aria frontale “shark-nose” (naso di squalo) rimane e rimarrà un esercizio di stile tra i più significativi ed apprezzati nell’intera storia dell’automobilismo.
La stagione si rivela, come da pronostico, un successo. Phil Hill si aggiudica il titolo Piloti (34 punti, 38 senza scarti), lo sfortunato e compianto Wolfgang Von Trips (in lotta per il titolo sino al tragico epilogo monzese) chiude a quota 33. Stirling Moss – al volante delle Lotus 18, 18/21 e Ferguson P99, tutte motorizzate Coventry Climax e gestite dal RRC Walker Racing Team – non va oltre i 21 punti, a pari merito con Dan Gurney (Porsche 718 e 787 del Porsche System Engineering). La Ferrari conquista il titolo Costruttori (40 punti, 52 senza scarti), relegando al 2° e 3° posto rispettivamente Lotus-Climax (32) e Porsche (22 punti, 23 senza scarti). Un Mondiale in cui la 156, sebbene inferiore sotto il profilo telaistico rispetto alla miglior concorrenza, fa valere la superiorità del proprio V6 1500cc realizzato a Maranello. Una vettura nel complesso ben riuscita ma che, come vedremo, invecchierà precocemente.
In foto vediamo Phil Hill in azione a Monaco nel 1961 sulla 156 dotata di V6 di 65°.
Il V6 di 120° è il motore maggiormente impiegato durante la stagione, già a partire dal GP inaugurale in quel del Principato di Monaco (14 maggio 1961). La 156 di Richie Ginther è spinta dal suddetto motore: chiude il GP al 2° posto. Hill è 3°, Von Trips 4°. Al GP di Olanda (22 maggio 1961, Zandvoort), tutte le 156 montano il V6 di 120°: Von Trips vince la corsa, Phil Hill è 2°, Ginther 5°. In Belgio (18 giugno 1961, Spa-Francorchamps), è un tripudio Ferrari. Quattro le 156 schierate, con la sola auto affidata a Olivier Gendebien spinta dal V6 di 65°. Vince Phil Hill, Von Trips è 2°, Ginther 3°, Gendebien 4°. Il 2 luglio 1961, va in scena il GP di Francia, sul tracciato di Reims. La FISA (Federazione Italiana Scuderie Automobilistiche) affida la 156 ufficiale, utilizzata da Gendebien a Spa-Francorchamps, al debuttante Giancarlo Baghetti, pilota mai amato da Lorenzo Bandini. Il pilota milanese, infatti, si era distinto in occasione dei GP di Siracusa (25 aprile 1961) e Napoli (14 maggio 1961), vincendo entrambe le corse. Partito col 12° tempo, Baghetti va a vincere con tenacia e accortezza un GP dapprima dominato, sino al 37° giro, da Phil Hill. Andrà in testa Ginther, poi, negli ultimi scampoli di gara, si alterneranno al vertice Baghetti e Gurney in un duello ravvicinato e affatto scontato: al traguardo, lo scarto tra l’italiano e lo statunitense è minimo, appena 1 centesimo di secondo.
Qui vediamo Bahetti, sulla 156 #50, seguito dalle Porsche 718 #10 e #12 di Jo Bonnier (7° al traguardo) e Gurney. In lontananza, col #46, la Lotus 18-Climax della Scuderia Colonia condotta da Michael May.
Il circuito di Aintree, sede del GP di Gran Bretagna (15 luglio 1961), vede la 156 condotta da Von Trips tagliare per prima il traguardo davanti alle gemelle condotte da Hill e Ginther. In occasione del GP di Germania (Nürburgring, 6 agosto 1961), Willy Mairesse subentra a Baghetti; al pilota belga è affidata la 156 provvista di V6 di 65°. Von Trips è 2°, il pole-man Hill è 3°. A vincere è Moss.
In foto, la 156 condotta da Hill affronta il Karussell al Nürburgring.
Il 10 settembre 1961, in occasione del GP d’Italia (Monza), si consuma la nota tragedia. Ben cinque le 156 schierate: alle quattro iscritte dalla Scuderia Ferrari SpA SEFAC, si aggiunge la #32 affidata a Baghetti e iscritta dalla Scuderia Sant Ambroeus. A contendersi il titolo, Phil Hill e Von Trips. Quest’ultimo ottiene la pole-position; alle sue spalle, le 156 di Ricardo Rodriguez, Ginther, Hill. Al 2° giro, Jim Clark (Lotus 21-Coventry Climax) e Von Trips entrano in contatto alla Parabolica. Il pilota tedesco, all’esterno, esce di strada; il terrapieno posto a margine della curva fa da trampolino. La monoposto di Von Trips rovina sugli spettatori lì assiepati: 14 morti. Von Trips stesso perde la vita. Il GP prosegue e Phil Hill si aggiudica corsa e titolo. La Scuderia Ferrari, ormai paga e colpita da un nuovo lutto, salterà la trasferta americana in quel di Watkins Glen.
A fine 1961, intanto, scoppia il bubbone. Tutto ha origine nelle scomposte interferenze negli affari della azienda messe in atto da Laura Garello, moglie di Enzo Ferrari. Scossa e provata dalla morte di Alfredo “Dino” Ferrari (avvenuta nel 1956), la signora Laura inizia a seguire le competizioni. Dal vivo, in circuito. Un modo per distrarsi e distrarla dalle infelici vicende famigliari. Nascono diverbi e incomprensioni tra numerosi dirigenti di Maranello e la signora Ferrari stessa, sfociati in autentici litigi a suon di schiaffi e clamorose offese. La signora Laura schiaffeggia, in più occasioni, il Direttore Commerciale Girolamo Gardini, graffia in volto Carlo Chiti, rovescia addosso a Romolo Tavoni (Direttore Sportivo) un bicchiere di vino. Comportamenti, evidentemente, mal digeriti dallo staff aziendale di Maranello. I dirigenti si affidano all’avvocato Cuoghi, il quale redige una lettera indirizzata ad Enzo Ferrari. Lettera che, purtroppo, non cambia le carte in tavola: i già citati Tavoni, Chiti, Gardini, ai quali vanno aggiunti Ermanno Della Casa (Direttore Amministrativo), Federico Giberti (Direttore approvvigionamenti), Enzo Selmi (Direttore del personale), Fausto Galassi (Responsabile della fonderia) e lo stesso Giotto Bizzarrini, sono licenziati in tronco.
Il 1962 si apre in questo clima di incertezza aziendale. Mauro Forghieri assume l’incarico di Direttore Tecnico, l’arcigno Eugenio Dragoni – proveniente dalla Scuderia Sant Ambroeus – succede a Romolo Tavoni alla guida sportiva della Scuderia. Enzo Ferrari ordina che la 156 vincente nel 1961 non venga toccata e modificata. Persino le regolazioni debbono essere le medesime del 1961. Scelta che si rivelerà inopportuna. La concorrenza inglese, infatti, ha sviluppato una nuova generazione di eccellenti motori (Climax e BRM su tutti), i quali, uniti alle già ottime doti telaistiche delle rispettive vetture, consentono di surclassare la Ferrari 156. Quest’ultima, benché ancora provvista di un ottimo motore, è alla canna del gas per quanto riguarda il telaio; tanto Forghieri quanto Gian Paolo Dallara ritengono il telaio Ferrari un disastro rispetto a quelli britannici.
La stagione di Formula 1 del 1962 si rivela, per la Ferrari, inconsistente se paragonata al 1961. La 156 appare ormai poco competitiva, specie a stagione inoltrata. Alle già lampanti lacune tecniche si aggiungono le agitazioni sindacali e gli scioperi, che porteranno a disertare le trasferte in Francia, USA e a ridurre ad una sola vettura l’impegno in terra inglese. Phil Hill è 2° a Monaco e 3° a Zandvoort e Spa-Francorchamps, Lorenzo Bandini è 3° a Monaco. Il campionato, tra qualche buon piazzamento iniziale e gare in difensiva, vede le Ferrari 156 mai in lotta per il titolo, se non nelle prime gare. Graham Hill si laurea campione del mondo (BRM P57 Owen Racing Organisation, 42 punti, 52 senza scarti), al 2° posto Clark (Lotus 25-Coventry Climax Team Lotus, 30 punti), al 3° Bruce McLaren (Cooper T60-Coventry Climax Cooper Car Company, 27 punti, 32 senza scarti). La BRM si aggiudica il titolo Costruttori (42 punti, 56 senza scarti). Lontane le Ferrari: Phil Hill, miglior pilota Ferrari, chiude in sesta posizione con 14 punti, la Ferrari ottiene 18 punti, che le valgono il 6° e terzultimo posto nel Costruttori.
In foto vediamo la 156 di Willy Mairesse, spinta dal V6 di 120°, al GP di Monaco 1962.
Qui, invece, è possibile apprezzare le 156 prive di carrozzeria impegnate durante il GP del Belgio 1962: la #9 di Hill, la #10 di Mairesse, la #12 di Rodriguez.
La 156, nel corso del 1962, rimane sostanzialmente invariata. Ma già dalla VII Aintree 200 (28 aprile 1962), viene introdotto il cambio a 6 marce. In occasione del GP di Germania (5 agosto 1962, Nürburgring), viene affidata a Bandini una 156 profondamente rivisitata: nuovo telaio, nuove sospensioni, un nuovo musetto privo dell’inconfondibile “shark-nose” (la presa d’aria frontale per il radiatore assume, ora, una più diffusa forma allungata e schiacciata), un sedile più inclinato all’indietro. Mairesse, con la rinnovata 156, coglie un 4° posto al GP d’Italia (Monza, 16 settembre 1962). I soli successi della 156, nel 1962, si registrano in GP non valevoli per il Mondiale di F1: Mairesse si impone al IV Grand Prix de Bruxelles (1 aprile 1962) e al XX GP di Napoli (20 maggio 1962), Bandini vince il GP del Mediterraneo (Pergusa, 18 agosto 1962). Degna di nota l’apparizione di una 156 privata e affidata al team British Racing Partnership/UDT Laystall in occasione del XIV BRDC International Trophy (Silverstone, 12 maggio 1962). L’auto avrebbe dovuto essere portata in gara da Stirling Moss, tuttavia il terribile incidente di Goodwood mette fuorigioco il valente pilota britannico. Al suo posto, Innes Ireland. Terminerà la corsa al 4° posto. È in questa circostanza che Ireland boccia senza appello il telaio della 156 e ne promuove il motore, benché, a suo parere, la coppia sia troppo “impiccata” in alto, condizione che richiede un uso eccessivo del cambio (fortunatamente, molto robusto ed affidabile).
GP di Germania 1962. Bandini porta in gara una versione modificata della 156. La sua gara durerà appena 4 giri (indicente).
1963: cambiamenti radicali caratterizzano, finalmente, la 156, rinnovata in vaste aree sulla scia del lavoro intrapreso già l’anno precedente. Telaio modificato (più sottile e leggero), così come le sospensioni, passo lievemente allungato. I freni a disco posteriori sono collocati entrobordo, così da scaricare le masse non sospese. I cerchi a raggi lasciano il posto, finalmente, a cerchi in lega leggera. L’iniezione diretta Bosch fa la propria comparsa grazie alla preziosa consulenza dell’ingegner svizzero-tedesco Michael May. Il V6 di 120° di 1476cc tocca ora i 200-205 CV a 10,200 giri/minuto, grazie anche ad un rapporto di compressione alzato a 11:1.
Anche il 1963 non offre particolari risultati, ma almeno la Ferrari – grazie al neo acquisto John Surtees – torna alla vittoria in un GP iridato. Lo fa in occasione del GP di Germania, al Nürburgring (4 agosto 1963). L’Asso inglese è 3° a Zandvoort, 2° a Silverstone, inoltre si aggiudica il II GP del Mediterraneo a Pergusa (18 agosto 1963). Negli ultimi appuntamenti della stagione 1963 (Monza, Messico e GP del Sudafrica a East London), appare la cosiddetta 156 Aero, versione ulteriormente affinata della 156. Il cambio è nuovamente un 5 marce ma, cosa più importante, il telaio è totalmente rinnovato. Si tratta, infatti, del tipico tubolare rivestito in pannelli rivettati di alluminio, marchio di fabbrica Ferrari che vivrà sino ai primi Anni ’80. Un telaio, dunque, non monoscocca, ma tubolare rinforzato: una soluzione che si rivela azzeccata e che conferisce alla scocca stessa una ottima rigidità (i precedenti telai delle 156 torcevano al retrotreno). Il motore, infine, diventa portante, ossia esso stesso elemento del telaio. La 156 Aero produce solo un 5° posto (Bandini in Sudafrica) ma conquista una pole-position al debutto monzese grazie a Surtees. Con questa vettura, Surtees vincerà, il 14 dicembre 1963, il VI Rand Grand Prix, corsa non valevole per il Mondiale di F1 disputata sul tracciato sudafricano di Kyalami.
In foto, vediamo John Surtees in azione sulla rinnovata 156 al GP di Monaco 1963. Nella foto successiva, Surtees in testacoda al GP di Olanda 1963, Zandvoort.
Il 1963, per la Ferrari, è una annata di transizione, tra cambiamenti positivi e un andamento sportivo in chiaroscuro. Surtees – miglior pilota Ferrari – chiude al 4° posto (22 punti), la Ferrari non va oltre il 4° posto nel Costruttori (26 punti) dietro Lotus-Climax (54 punti, 74 senza scarti), BRM (36 punti, 45 senza scarti) e Brabham-Climax (28 punti, 30 senza scarti). La stagione è dominata (è dire poco…) da Jim Clark e la Lotus 25-Coventry Climax V8 del Team Lotus (54 punti, 73 senza scarti). Graham Hill (BRM P57 e P61 Owen Racing Organisation), 2°, racimola 29 punti, gli stessi raccolti da Ginther (BRM P57 Owen Racing Organisation, 34 senza scarti). Intanto, a fine 1962, arriva a Maranello un nuovo, brillante tecnico dallo sfortunato destino, Giancarlo Bussi.
In foto, Surtees al GP di Germania, vinto al volante di una rinnovata 156.
La 156 Aero completa il suo ciclo di vita nel 1964. Nonostante il debutto della nuova monoposto – la vincente e competitiva 158 – e l’introduzione della 1512, la 156 Aero viene affidata a Lorenzo Bandini, Ludovico Scarfiotti e Pedro Rodriguez (la 156 del messicano è iscritta dal North American Racing Team) in occasione dei GP di Monaco, Gran Bretagna, Germania, Austria, Italia e Messico. I riscontri sono sinceri e culminati nella vittoria di Bandini al GP d’Austria (Zeltweg, 23 agosto 1964). Singolari coincidenze: l’unica vittoria di Bandini in F1, l’unica volta dell’Aerodromo Hinterstoisser-Zeltweg quale teatro del GP d’Austria.
Nel 1966, anno in cui la Formula 1 vive un nuovo cambiamento regolamentare (motori aspirati di 3000cc, sovralimentati di 1500cc, peso minimo di 500 kg), la Ferrari gioca per l’ultima volta la carta del V6 aspirato. Al fianco della nuova 312, infatti, la Scuderia Ferrari schiera la 246. Una vettura meno potente della 312 ma più agile, spinta, giustappunto, dal V6 di 65° maggiorato a 2412cc. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 90 mm x 63 mm, rapporto di compressione di 11:1, potenza massima di 260 CV a 8500 giri/minuto. Inalterata la configurazione bialbero in testa e 2 valvole per cilindro. L’iniezione, indiretta, è della Lucas. La monoposto si dimostra competitiva. Lorenzo Bandini è 2° a Monaco (22 maggio 1966), 3° sotto il diluvio di Spa-Francorchamps (12 giugno 1966). Scarfiotti conquista il 4° tempo in occasione del GP di Germania (Nürburgring, 7 agosto 1966), ma deve abbandonare la corsa al 9° giro mentre occupa la decima posizione. Il Reg Parnell Racing affida una 246 a Baghetti in occasione del GP d’Italia (Monza, 4 settembre 1966): 16° nelle qualificazioni, Baghetti termina al 10° posto ma risulta non classificato avendo ultimato solo 59 passaggi. Vale la pena, infine, menzionare una ulteriore, positiva apparizione della Ferrari 246: Bandini, al volante di questa monoposto, conclude al 2° posto il XV GP di Siracusa (1 maggio 1966), alle spalle della 312 condotta da Surtees.
Qui, vediamo Bandini in azione al GP di Monaco 1966 al volante della 246.
La lunga e gloriosa carriera dei 6 cilindri aspirati Formula 1 termina nel 1966. Vittorie, titoli Piloti e Costruttori, podi, gioie e dolori per una classe di motori tra le più riuscite e vincenti nella storia del Cavallino.
Scritto da: Paolo Pellegrini