La refrigerazione costituisce uno degli aspetti tecnici che più influisce sul corretto funzionamento del motore, delle componenti ad esso connesse e, più in generale, di una qualsivoglia vettura da competizione nella sua globale complessità meccanica e tecnica.
La refrigerazione, infatti, abbraccia molteplici ambiti di ricerca: dal bilancio energetico alla progettazione di radiatori, scambiatori e “tunnel radiatori”. Questi ultimi si identificano con le strutture che ospitano al proprio interno i radiatori, generalmente – e da ormai molti anni – rappresentate dalle cosiddette “pance” laterali. Un settore, quello della refrigerazione, il quale, inevitabilmente, contempla e palesa rilevanti ricadute aerodinamiche, tanto sul fronte della aerodinamica interna quanto sul fronte della aerodinamica esterna.
Armonizzare le pressanti esigenze di raffreddamento con le ugualmente stringenti esigenze aerodinamiche non è operazione semplice. Le prese d’aria di raffreddamento ed una non ortodossa fluidodinamica interna, infatti, possono inficiare l’aerodinamica della vettura, incrementando, cioè, la resistenza aerodinamica; in altri termini, peggiorando il Cx. Pertanto, si rende necessario – diremmo imprescindibile – un attento e meticoloso studio del tunnel radiatori, alla ricerca del miglior compromesso tra capacità ed efficienza refrigerante, aerodinamica (esterna ed interna) e smaltimento del calore. In caso di resistenza aerodinamica positiva, le sezioni dei tunnel radiatori debbono essere quanto più piccole possibili. In caso di Cx nullo, le dimensioni delle sezioni sono trascurabili. Nel caso, infine, di Cx negativo, le sezioni dei tunnel radiatori debbono essere quanto più grandi possibile; infatti, un Cx negativo (il campo, evidentemente, è quello della aerodinamica interna, giacché in aerodinamica esterna non esistono corpi a Cx nullo e negativo) fornirebbe addirittura spinta utile. In presenza di Cx negativo, la velocità di uscita dell’aria è maggiore rispetto alla velocità asintotica dell’aria in entrata (ossia, la velocità di un fluido in condizione indisturbata).
Ottenere una data spinta utile da un tunnel radiatori è possibile, basti pensare alle applicazioni aeronautiche. In tal senso, il tunnel radiatori del celebre caccia-bombardiere North American P-51 “Mustang” – tra i migliori velivoli operativi nel corso della Seconda Guerra Mondiale – rappresenta un esempio di massima efficienza, grazie ad un disegno inteso ad ottimizzare capacità refrigeranti ed aerodinamica interna. La piatta presa dinamica ventrale porta aria all’interno di un diffusore; qui, il flusso che investe i radiatori viene espanso e rallentato, aumentandone la pressione. L’effusore del tunnel è caratterizzato da un flabello mobile a geometria variabile il quale regola la sezione d’uscita dell’aria, ottimizzando, pertanto, la portata d’aria e l’intera aerodinamica interna. La potenza termica scambiata viene gestita in ogni istante in relazione alla velocità del velivolo, inoltre l’aerodinamica interna è anch’essa resa più efficiente, con evidenti e positive ricadute sui valori di Cx. Ecco, dunque, una concreta dimostrazione di tunnel radiatore il quale, grazie ad un ottimale sfruttamento dell’aria in uscita e ad un Cx negativo, può offrire un dato valore (sì modesto ma tangibile) di spinta supplementare. Flabelli mobili atti ad ottimizzare il refrigeramento del motore (e, in caso di motori a getto, la spinta, mediante ugelli a flabelli multipli) sono, da molti decenni, largamente impiegati in campo aeronautico.
Il P-51 “Mustang”, a distanza di tanti anni, rappresenta ancora una fucina di idee ed applicazioni. Non solo suggerisce un “ideale” tunnel radiatori a Cx negativo, ma ci offre un lampante esempio di redditizia “aerodinamica mobile”. In campo automobilistico, infatti, l’aerodinamica mobile è generalmente e comunemente identificata con aerofreni, profili alari o altre superfici aerodinamiche intese a ridurre o incrementare la resistenza aerodinamica, quindi la deportanza. Dall’aerofreno della Mercedes 300 SLR alle immense ali ad incidenza variabile delle mitiche e modernissime Chaparral, dal flap mobile attuato dall’escursione delle sospensioni posteriori della Porsche 917 all’attuale DRS (acronimo di Drag Reduction System) impiegato in Formula 1 e non solo, passando per le minigonne mobili in voga ai tempi delle Wing-Car e l’ingegnoso sistema adottato dalla Toyota TS040, Prototipo LMP1 provvisto di ala flessibile. Un concetto di aerodinamica mobile, dunque, legittimo e che avrebbe – se solo i regolamenti concedessero ampia libertà di progetto – macroscopici sviluppi e differenti interpretazioni, tuttavia eccessivamente limitante. Immaginate, in caso di regolamenti liberi, cosa potrebbero ideare i tecnici progettisti applicando concetti e soluzioni di aerodinamica mobile al tunnel radiatori: flabelli a geometria variabile intesi ad aumentare la sezione d’uscita dell’effusore alle basse velocità e a ridurne la sezione stessa alle alte velocità, così da ottimizzare il raffreddamento, la portata d’aria e il Cx.
La progettazione di un efficiente tunnel radiatori necessita di logiche accortezze: una corretta diffusione esterna (il flusso d’aria rallenta a monte delle prese d’aria di raffreddamento), una altrettanta e ancor più importante diffusione interna (l’aria diretta ai radiatori scorre all’interno di un diffusore divergente, il quale rallenta il flusso e ne aumenta la pressione), un ottimale “incameramento” del calore all’interno del tunnel stesso (radiatori, motore, scarichi) a fronte, però, della minima dissipazione di energia meccanica possibile, infine, la determinante espulsione dell’aria calda attraverso l’effusore, il quale dapprima espande, quindi accelera nuovamente il flusso, sino a toccare un valore maggiore rispetto alla velocità di entrata. L’effusore, pertanto, ricopre un ruolo fondamentale: è questo, infatti, a determinare la portata d’aria che investe il tunnel radiatori. Un effusore caratterizzato da una sezione d’uscita eccessivamente grande espelle aria a bassa velocità, realizzando, quindi, un dannoso peggioramento del Cx. In ogni caso, in presenza di gran caldo, di temperature d’esercizio particolarmente critiche ed elevate o di circuiti lenti (nei quali l’aria investe i radiatori a bassa velocità), si preferisce aprire – qualora concesso dai regolamenti – vistose aperture a valle dei radiatori e del vano motore, tali da evacuare la maggior quantità di aria calda possibile, anteponendo, quindi, urgenze relative allo smaltimento termico all’efficienza aerodinamica.
Interessante, in tema di smaltimento del calore, lo studio di effusori a “ciminiera”, molto in voga in Formula 1 (e non solo) nella prima decade degli Anni 2000 (vietati nel 2009 a seguito dell’entrata in vigore dei nuovi regolamenti) e riscoperti dalla Mercedes in questo 2017. La bella Mercedes F1 W08, infatti, è caratterizzata da un autentico effusore a ciminiera ricavato sul bordo superiore della pinna dorsale. Questo effusore, atto ad evacuare aria calda dal vano motore, può essere parzializzato o completamente aperto in base alle esigenze di raffreddamento. Oggigiorno – da quando, cioè, i legislatori FIA hanno vietato qualsiasi sfogo d’aria sulle pance (ciminiere, branchie, ecc) – l’aria calda proveniente dal tunnel radiatori e dal vano motore viene espulsa al retrotreno, mediante effusori che “sparano” l’aria calda in direzione dei bracci delle sospensioni posteriori. La carrozzeria in corrispondenza degli effusori può subire sostanziali variazioni di sezione (anche asimmetriche) a seconda delle esigenze di raffreddamento. Interessante la soluzione proposta dai tecnici Ferrari sulla vincente SF70-H. La nuova soluzione prevede due appendici aerodinamiche (una per lato) poste sopra e a valle dell’effusore divergente; siffatte appendici aiuterebbero l’estrazione dell’aria calda – favorendo, quindi, lo smaltimento termico – a fronte di una sezione d’uscita particolarmente vistosa, dannosa per il Cx.
Al contempo, in presenza di piste particolarmente lente o di temperature ambiente molto elevate, si cerca di favorire il più possibile l’ingresso di aria diretta ai radiatori, benché il Cx, generalmente, non ne giovi. Diversamente, in caso di freddo, piste molto veloci o differenti esigenze di refrigerazione (prese d’aria asimmetriche), si tende a ridurre la sezione di passaggio. Si pensi, in tal senso, ai musi “mozzati” tipici delle vetture Anni ’50 e ’60 impegnate a Montecarlo o alla parzializzazione delle prese d’aria (basta del semplice nastro adesivo) in caso, ad esempio, di freddo.
Lo smaltimento dell’aria calda (tunnel radiatori, intercooler, vano motore) assume importanza diremmo “strategica”. Non solo un corretto smaltimento del calore può – anzi, deve – migliorare l’efficienza e la capacità refrigerante degli organi meccanici sottoposti ad elevati stress termici, ma può giocare un ruolo tutt’altro che marginale ai fini aerodinamici. Indirizzare l’aria calda ad alta velocità in uscita dagli effusori verso profili alari o aree della vettura aerodinamicamente “sensibili” e vitali può migliorare l’aerodinamica globale della vettura stessa. È quanto accadeva sulle monoposto provviste di ciminiere sulle fiancate, a valle delle quali potevano trovare collocazione profili alari deportanti.
In 68 stagioni di Formula 1 (e in tanti decenni di competizioni automobilistiche), l’appassionato più attento ha potuto apprezzare molteplici e diverse interpretazioni circa i sistemi di raffreddamento del motore (soprattutto motori raffreddati a liquido, ma anche l’Honda RA302E raffreddato ad aria ed i celebri motori Porsche – comprese le unità che andavano a spingere le celeberrime 917 e 956 –, raffreddati ad aria o aria/acqua), la disposizione dei radiatori e degli scambiatori (anteriori, posteriori o alloggiati in pance laterali, perpendicolari al flusso o a freccia positiva, controventati, coricati in avanti o indietro, paralleli al suolo – leggi, ad esempio, Brabham BT46A/B – o alla mezzeria della vettura), la fattura delle pance (prese d’aria, effusori, ecc.). Una varietà di soluzioni e interpretazioni indicibile e ricca. Radicali evoluzioni e affinamenti, dunque, hanno accompagnato e qualificato la storia della Formula 1 e delle competizioni anche nel settore della refrigerazione del motore in ogni suo dettaglio e aspetto. Da notare, a riguardo, la “strana involuzione” datata 1983 (il trend è andato a morire tra il 1984 ed il 1985), allorché, a seguito dell’abolizione delle Wing-Car, alcuni tecnici progettisti optavano per radiatori alloggiati in pance cortissime e assai arretrate (spesso orientate a freccia positiva), a scapito della realizzazione dell’effetto suolo (drastica riduzione dell’impronta a terra) e delle efficienza termica e aerodinamica del tunnel radiatori. In quanto a bizzarria, probabilmente, la Ensign N179-Cosworth non ha eguali. Siamo nel 1979. Con l’intento di sfruttare al massimo la deportanza generata dalle pance laterali, Dave Daldwin ricolloca i radiatori all’interno del muso. L’esperimento, sebbene molto interessante e ardito, non offre i risultati sperati: lo smaltimento del calore è insufficiente, parimenti al confort del pilota.
I motori sovralimentati, inoltre, quando concesso dai regolamenti (ricordiamo che le norme della statunitense CART – Championship Auto Racing Teams – vietavano simili elementi), debbono far affidamento su appositi intercooler, finalizzati al raffreddamento dell’aria compressa. L’aria, infatti, quando compressa, si riscalda; questo riscaldamento riduce la densità dell’aria stessa. Occorre, pertanto, raffreddarla nuovamente affinché venga immessa nei cilindri aria più densa, parametro determinante ai fini di un ortodosso riempimento, quindi di una corretta sovralimentazione. L’intercooler è un elemento caratterizzante gran parte delle auto turbocompresse, ad iniziare dalle Formula 1, passate e presenti.
La incessante evoluzione tecnica attorno alle componenti che vanno a costituire il sistema di raffreddamento del motore ha portato ad una miniaturizzazione di radiatori e scambiatori di calore (aria/aria o aria/acqua). Le cosiddette “masse radianti” debbono essere molto leggere, presentare ingombri limitati e possedere una elevata conducibilità. L’alluminio si rivela ideale, in quanto materiale leggero e ad elevata conducibilità.
Il fallimento del Marussia F1 Team (divenuto, nel 2015, Manor Marussia F1 Team e, nel 2016, Manor Racing) e la successiva vendita di beni hanno fatto sì che alcuni componenti potessero essere apprezzati ed analizzati da vicino. Tra essi, l’intercooler del motore Ferrari 059/3, V6 Turbo ibrido che, nel 2014, andava a spingere la Ferrari F14-T, la Sauber C33 e, appunto, la Marussia MR03. Nelle mani di Jules Bianchi – che proprio in quell’anno troverà la morte sul circuito di Suzuka – la MR03 raccoglieva i suoi unici punti mondiali (2), frutto del 9° posto acciuffato al GP di Monaco.
Formula 1 Intercooler and Wastegate in detail (Ferrari)
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Come si evince dalle illustrazioni e dal video, si trattava di uno scambiatore di calore aria/acqua caratterizzato da dimensioni ridotte e da un eccellente lavoro di miniaturizzazione di ogni particolare. Esso trovava posto sopra il motore, all’interno del V; questa configurazione veniva adottata dai tecnici di Maranello anche nel 2015. Il condotto centrale riceve aria dalla girante del compressore centrifugo (tutti gli attuali V6 di 1600cc di F1, entrati in vigore nel 2014, presentano come da regolamento un singolo turbocompressore) ed immette l’aria compressa ed ormai eccessivamente calda all’interno dell’intercooler. Qui, una volta raffreddata, l’aria compressa viene immessa all’interno dei cilindri mediante due condotti divergenti. Particolarmente curata e miniaturizzata è il lato acqua dello scambiatore aria/acqua. Qui è visibile una matrice composta da 16000 tubetti, così da amplificare la superficie di scambio anche in presenza di un ingombro ridotto.
Nel 2016, la Ferrari, con la SF16-H, introduceva un nuovo sistema di raffreddamento dell’aria compressa, composto da due intercooler. Il primo intercooler – di tipo aria/aria, situato dietro al motore, montato orizzontalmente sulla Sauber C35, in posizione circa verticale su Ferrari SF16-H e Haas VF-16 – riceve aria attraverso la classica presa dinamica posta sopra e alle spalle della testa del pilota. Essa, infatti, non solo porta aria al compressore ma, attraverso una seconda canalizzazione interna, alimenta il suddetto scambiatore. Questo primo intercooler è collegato in serie ad un secondo intercooler, di tipo aria/acqua e deputato al definitivo raffreddamento dell’aria compressa; esso è posizionato davanti al motore, a fianco del serbatoio dell’olio e, pertanto, annegato all’interno della scocca. Ricordiamo che un intercooler aria/acqua necessita di un ulteriore scambiatore preposto al raffreddamento dell’acqua. Un sistema, dunque, più complesso ma più efficace rispetto ad un più “tradizionale” e semplice intercooler aria/aria.
Come abbiamo visto, la refrigerazione del motore costituisce un campo di indagine vasto, in continuo sviluppo e che tocca e abbraccia molteplici aspetti tecnici e tecnologici. Anche in questo caso, non possiamo fare a meno di muovere una critica ai regolamenti FIA, eccessivamente proibizionisti attorno ad un settore che, se lasciato libero, offrirebbe spunti interpretativi di notevole interesse.
Scritto da: Paolo Pellegrini