L’imprevisto successo di Alonso a Sepang è da prendere con le molle. Lo spagnolo è una garanzia. La F2012 è ancora una monoposto enigmatica e acerba ma che va difesa. Massa è non pervenuto ma merita ancora fiducia.
Quando si parla di Ferrari, media e tifosi passano, nel giro di un nanosecondo, dal pessimismo cosmico al trionfalismo sfegatato. Ricordate il GP di Silverstone del 2011? Pista bagnata, poi asciutta ed un Regolamento tecnico ritoccato dalla FIA in fretta e furia (ancora gli scarichi!). Insomma, Regolamento a parte, una situazione che ricorda da vicino quella vista in Malesia. Anche all’epoca, la stampa si sperticò in lodi, trionfalismi, rinnovati proclami di battaglia. “Rosso Volante”, “Non sarà un’avventura”, “ora ama le curve”, “ecco perché Alonso ora può sognare”, titolava e scriveva Autosprint. Ebbene, la vittoria di Silverstone, come il successo di Raikkonen nel 2009 a Spa-Francorchamps, si rivelò un fuoco di paglia, un jolly, un episodio isolato. Da lì alla fine della stagione, il campionato della Ferrari si trasformò in una lenta agonia: la 150° Italia, anche dopo Silverstone, non ha mai amato le curve…
E oggi siamo qui, di nuovo al cospetto di una bella ma, probabilmente, fortunosa vittoria del pilota spagnolo. Un jolly, appunto. Una vittoria sbocciata quasi per caso, frutto del caos generato dalla interruzione del GP per pioggia. Persino Alonso ha dovuto ammettere, a fine gara, l’eccezionalità della vittoria poiché “qui non eravamo competitivi”. Vittoria che, dall’alto del suo essere jolly, porta Alonso in vetta alla classifica provvisoria del Mondiale Piloti: 35 punti.
Nei primissimi giri di gara, infatti, Alonso navigava in quinta piazza, approfittando del testacoda di Schumacher: non sapremo mai come sarebbe andata a finire la corsa senza la solita Safety Car e la successiva interruzione, ma con ogni probabilità le McLaren avrebbero portato a casa una tintinnante doppietta (Sauber a parte).
E invece, il meteo aiuta ancora una volta il Cavallino; quello stesso meteo che, in più occasioni, il Cavallino lo ha mandato a gambe all’aria: la pioggia, la ripartenza, il pandemonio generato dai continui pit-stop, le disavventure occorse a Button, Hamilton, Vettel (mai in gara) e Pèrez (che avrebbe stravinto, peccato l’errore). E Fernando Alonso, che scemo non è, approfitta della situazione, comanda con saggezza e costanza la gara, resiste alle portentose rimonte della Sauber del giovane pilota messicano, vero protagonista della giornata. Alonso si dimostra, per l’ennesima volta, un campione di razza, un duro a morire: freddo, lucido, concentrato, indubbiamente perfetto.
L’affermazione del pilota di Oviedo, tuttavia, non convince appieno. La Ferrari, tanto nelle libere del venerdì che nelle qualifiche ufficiali del sabato, ha sofferto. E non poco. E anche in gara, con la pista che gradualmente andava asciugandosi (ed il serbatoio svuotandosi), i tempi di Alonso si sono alzati inesorabilmente, subendo per ben tre volte l’arrembaggio della velocissima Sauber C31 di Pèrez. E benché mai in lotta per la vittoria nel secondo troncone di gara (dopo l’interruzione), le McLaren hanno continuato a segnare cronometrici convincenti. È la Mp4/27 la vettura da battere.
Dunque, la Ferrari F2012 è ancora una monoposto acerba, altalenante. Impossibile, infatti, che la F2012 si sia trasformata (come???) nell’arco di un’ora da brutto anatroccolo (o brutto ornitorinco, con quel popò di scalino sul muso!) a principe azzurro. Almeno, stando a quanto visto nelle fasi di pioggia, la F2012 ben si comporta con pista bagnata. Ma, nel complesso, la F2012 palesa ancora ritardi tecnici nei confronti delle McLaren e non solo: avantreno e retrotreno eccessivamente ballerini, una sospensione pull-rod anteriore ancora da mettere a punto e macchinosa nelle regolazioni, un carico aerodinamico non dei più efficienti, qualifiche poco convincenti, un comportamento a serbatoio “scarico” ancora non ottimale, consumo degli pneumatici da perfezionare.
Sino a questo momento, la Ferrari ha subito ingiuste critiche, molte delle quali davvero aspre. Le scelte tecniche deliberate da Pat Fry e Nikolas Tombazis vanno sempre e comunque comprese e difese, non osteggiate quando le cose vanno male ed elogiate quando ci scappa la vittoria. La F2012, prendendo in esame le monoposto del 2012, è quella che più si discosta dalla vettura del 2011. Non solo logici affinamenti e forzosi adeguamenti regolamentari, ma anche sostanziali cambiamenti che hanno interessato molte aree di progetto: sospensioni, sistema di raffreddamento e smaltimento del calore e così via.
Ovviamente, due le conseguenze: vincere o soffrire. E per ora, vittoria a parte, la Ferrari ha da soffrire. Se la F2012 avesse ben figurato e sbaragliato la concorrenza sin dai test invernali, adesso tutti sarebbero intenti a glorificare lo staff tecnico di Maranello, le scelte fatte, i cambiamenti. Una situazione che ricorda da vicino, con le dovute differenze (20 anni, tra la F1 di ieri e quella di oggi, sono davvero tanti), quanto accadde nel 1992. La vettura era la interessantissima e rivoluzionaria F92A di Migeot. La monoposto, come noto, fu un fiasco. Eppure, a inizio stagione, la F92A era ritenuta una sorta di arma totale. Ma quando le cose iniziarono a girare male, ecco uscire fuori il voltagabbanismo all’italiana: e giù a denigrare la F92, giù a sputtanare Alesi e, soprattutto, Capelli.
Con la F2012 sembra di rivivere un déjà vu lungo 20 anni. Eppure, ieri come oggi, va difeso a spada tratta il coraggio delle scelte operate dalla Ferrari. Già, perché una monoposto ardita e fuori dal coro, vincente o perdente che sia, merita sempre e comunque il massimo rispetto e la massima ammirazione. Nel 1991, la Ferrari non fu mai della partita: occorreva cambiare. Nel 2011 idem. Nel 1992, il Cavallino tentò l’azzardo della F92, nel 2012 gioca la carta della F2012. Nel tentativo di smuovere una situazione altrimenti stagnante e perdente, occorre saper prendere scelte temerarie, partendo da un foglio bianco. E cambiare comporta, inevitabilmente, prendere dei rischi.
Il campionato della Ferrari può trasformarsi magicamente in un trionfo oppure ritornare sui binari della mediocrità, sui quali la F2012 ha viaggiato stabilmente dai test invernali sino ai primi giri del GP della Malesia. È verosimile che, attualmente, la vera F2012 sia quella incerta e poco competitiva vista in Australia e sino alla interruzione del GP della Malesia per pioggia; tuttavia, vada come vada, la F2012 rimane pur sempre una monoposto figlia della volontà di ribaltare una situazione deficitaria. E per ciò andrebbe, anzi, va difesa, anche nella sconfitta.
Certo è che sovvertire i valori, nella odierna Formula 1, è sempre più difficile, ma non impossibile. Troppe le aree di progetto soggette ad omologazioni, congelamenti e standardizzazioni, dirette o indirette. Troppo pochi i test per collaudare in pista soluzioni tecniche altrimenti testate in freddi, imprecisi e spesso ottimistici simulatori, troppo vincolanti le maglie regolamentari entro cui operare e muoversi. Impossibile stravolgere la vettura, impossibile modificare il telaio (persino i cerchi sono omologati e non più modificabili…!!), impossibile intervenire sul motore (una variabile tecnica che potrebbe fare la differenza). Inoltre, il regime di parco chiuso non aiuta di certo (anzi, lo impedisce!) a tirare fuori dal cilindro la carta vincente tra qualifiche e gara. Insomma, cambiare le carte in tavola è sempre più ostico. Solo i confusi e proibizionisti cambiamenti regolamentari attuati dalla FIA sono in grado di mescolare il mazzo della Formula 1: accadde nel 2009, accade in parte nel 2012, con Sauber e Lotus divenute competitive e con la Red Bull improvvisamente non più regina. Ma a campionato in corso, è sempre più difficile sovvertire i valori: e non basta copiare la vincente concorrenza.
Dunque, tempi duri attendono la Ferrari. Migliorare la F2012 (dall’aerodinamica al consumo degli pneumatici passando per il comportamento delle sospensioni) non sarà facile. Ma non impossibile. Allo stesso tempo, il box di Maranello dovrà sostenere una stampa feroce e maligna ed un pubblico appassionato esigente, bacchettone, tradizionalmente incline a repentini cambiamenti di opinione e umore. Se vinci sei un fenomeno, se perdi sei un brocco. Molti ragionano così.
E a proposito di brocchi e paracarri, anche sul fronte piloti la Ferrari vive un periodo delicato. Da una parte un Fernando Alonso mai domo e capace di vincere nonostante le bizze della sua F2012. Dall’altra un Felipe Massa apparentemente sopraffatto dalle carenze tecniche della propria monoposto, attardato in prova, impalpabile in gara.
Differenze abissali, quindi. Ma attenzione: Massa non può essere insultato quasi fosse un farabutto. Pilota inutile, bollito, pippa: se ne sentono di ogni colore. Criticare Massa, oggi, è facile. Ma non dimentichiamoci che stiamo parlando di un pilota capace di vincere già 11 GP e di conquistare 15 pole-position. E non dimentichiamoci che il paracarro Massa, nel 2008, ha quasi vinto un titolo mondiale (che poi, giustizia divina, ha vinto Hamilton). Non dimentichiamoci che, nel 2009 (annataccia per la F60), il paracarro Massa, sino al GP del suo grave incidente (una botta fisica e psicologica non indifferente), aveva raccolto più punti del signor Kimi Raikkonen (altro pilota che il popolo ferrarista ha dapprima incensato e poi buttato al gabinetto). E non dimentichiamoci che, nel 2010, il paracarro Massa avrebbe vinto il GP di Germania, salvo poi venire stoppato da uno scomposto ordine di scuderia.
Ecco, appunto, il GP di Germania 2010: l’episodio che, probabilmente, ha tolto il sorriso al pilota di San Paolo. Da quel GP, se ci avete fatto caso, Massa è diventato l’ombra di sé stesso. Massa non sarà Alonso, ma è pur vero che la Ferrari non lo ha supportato a dovere: oltre a vetture oggettivamente deboli, la Ferrari ha rincarato la dose con discutibili ordini di scuderia ed una sequela impressionante di errori ai box (solo a Massa capitavano certi clamorosi errori durante i pit-stop: c’è da pensar male? Speriamo di no). E, come se non bastasse, il pilota brasiliano è incappato in qualche disavventura di troppo in pista. Non vorremmo che la Ferrari, dopo aver distrutto la carriera ad Ivan Capelli, distrugga anche quella di Massa. 1992-2012: date che, in questa faccenda di vetture rosse e piloti che cavalcano un cavallino rampante, ricorrono in modo inquietante e misterioso.
Eppure, il divario tra Alonso e Massa, in qualifica, non è elevato. Nelle qualifiche del GP d’Australia, Alonso fa segnare il 12° tempo in 1’26”494, Massa il 16° in 1’27”497: poco più di 1 secondo a separare i due. Entrambi fuori al Q2. Nulla di così tanto grave: in passato, era normale trovare compagni di team (con vetture apparentemente uguali) distaccati da oltre 1 secondo. Ma le qualifiche sono le qualifiche, la gara è sempre un’altra storia.
Musica diversa in Malesia: Alonso, 9° tempo, stacca un 1’37”566 (Q3), Massa è 12° ma a meno di 2 decimi dal compagno di squadra: 1’37”731. Robetta. Dunque, neanche Alonso brilla in qualifica.
Il vero divario, allora, emerge in gara: da un parte c’è Alonso, capace di calpestare e “ignorare” i limiti della F2012, dall’altro c’è Massa, in balia della F2012 (a Sepang la sua vettura non riusciva nemmeno ad andare dritta…) e, alla fine, disperso in azione.
Senza dubbio, un bel rompicapo. Rigenerare la F2012 e Massa non sarà compito facile. Ma se da un lato la F2012, vada come vada, incarna un lodevole tentativo di riscossa tecnica rispetto ad un 2011 in sordina, Massa deve ritrovare la grinta e la voglia di un tempo. E deve farlo con le sue stesse forze: si ha l’impressione che la Ferrari lo abbia già scaricato.
Scritto da: Paolo Pellegrini