Malgrado le rassicurazioni del team (il patron Mateschitz aveva dichiarato che i compagni di squadra-rivali potevano correre liberamente), alla Red Bull si potrebbero ancora verificare episodi di insubordinazione e scintille tra piloti. Sono in molti a prevedere che Mark Webber non obbedirà a eventuali ordini di scuderia, primo fra tutti l’ex pilota John Watson, che ha esternato le sue perplessità sulle gerarchie della casa.
Del resto l’aveva fatto capire a caldo in Malesia lo stesso pilota australiano, che secondo la stampa britannica, sarebbe in procinto di lasciare la Formula 1 per tornare a correre la 24h di Le Mans, magari al volante di una Porsche.
Dopo 200 Gp e 14 anni di F1, quindi, il ritorno nella terra dei canguri. Radiomercato e qualche dichiarazione interna alla Red Bull fanno intendere che il possibile erede possa essere il pilota della Toro Rosso Daniel Ricciardo.
Per ora si tratta di un’indiscrezione (in precedenza sempre scongiurata dal diretto interessato), ma di fatto, Webber, a maggior ragione, sentirebbe di avere le mani libere e potrebbe contravvenire alle indicazioni del team, in virtù del fatto che anche Sebastian Vettel è stato parecchio riottoso in questo scorcio di Mondiale. Meno di un mese fa aveva esternato così: “Seb ha fatto le sue scelte oggi e beneficia di una protezione come al solito, e questo è il modo in cui vanno le cose. Sono rimasto deluso del risultato della gara di oggi”.
Allora a Barcellona potrebbe riproporsi un altro duello che andrebbe ad inasprire i rapporti già molto tesi tra le due guide della squadra, creando un clima insostenibile nel lungo periodo. Difficile che non subentrino altri screzi.
Webber è convinto che le qualifiche non saranno determinanti in funzione gara: “In passato potevano influire per l’80%, ora non sono così importanti come una volta. Certo, in generale partire davanti è importante perché, soprattutto nei primi giri, ti consente di risparmiare le gomme”. Già il tema pneumatici, un’altra questione campale tirata in ballo dalla Red Bull, ma questa è un’altra storia.