Pare che tutto d’un tratto, caratteristiche e fenomeni un tempo ritenuti fisiologici, ordinari e apprezzati oggi costituiscano problemi insormontabili agli occhi di addetti ai lavori e pubblico appassionato.
Dopo la ormai stucchevole diatriba attorno al sound dei V6 Turbo, dopo l’altrettanto stucchevole rigetto verso gare che contemplano – udite, udite – distacchi cospicui e persino – udite, udite – i doppiati, ecco profilarsi all’orizzonte una nuova, possibile “grana” per la F1 2014: le rotture meccaniche.
“Ah, che vergogna, questa non è Formula 1!”, tuonano in molti, evidentemente in malafede o di corta memoria (altre opzioni, a riguardo, non esistono).
Attorno a questo inedito fenomeno di “demonizzazione” delle rotture meccaniche, gravita tutto un mondo straordinariamente variopinto, che si nutre, soprattutto, della bizzarra vitalità dei cosiddetti social network e di un certo pressappochismo tipico della informazione motoristica degli Anni 2000.
Le monoposto di Formula 1 2014, come noto, presentano numerose novità tecniche introdotte simultaneamente, alcune delle quali (il riferimento va ai motori, termico e motogeneratori elettrici, e annesse componenti e al cosiddetto brake by wire, il sistema elettronico di frenata assistita al posteriore) sostanziose (anche molto illogiche e demagogiche, ma questo è un altro discorso…) e che aumentano notevolmente la complessità meccanica.
I guai tecnici, pertanto, erano stati preventivati. E puntualmente, i guai sono venuti a galla. Ovvio.
Dov’è, pertanto, lo scandalo? Dov’è il problema? Perché schifarsi?
Lo scandalo, a quanto pare, risiede proprio nelle rotture meccaniche. Insomma, pare che il pubblico appassionato non tolleri più, nello sport del motore (!), le rotture meccaniche. È come se queste andassero ad inquinare l’immagine di efficienza, velocità, progresso tecnologico e perfezione che, qualche losco figuro, ha imboccato dall’alto nell’ultimo decennio. È come se il pubblico televisivo – la fetta più grande e sempre più generalista, superficiale e affamata di motorismo in salsa reality show – non gradisca più la visione di vetture ferme in partenza, di motori fumanti o di piloti appiedati da una qualsivoglia avaria tecnica.
Ripercorrendo la storia della F1 – dal 1950 al 2014 – si riscoprono e riassaporano tante sfaccettature dimenticate, sepolte dal corso degli anni, distorte da ciclici luoghi comuni, da altrettante ciclici “vuoti di memoria” palesati da addetti ai lavori e appassionati nonché da una galoppante improvvisazione in materia.
Saremo lapidari: sino ai primi Anni 2000, sulle vetture di Formula 1 si rompeva di tutto, nel senso letterale di “tutto”. Non per incapacità dei tecnici, ma perché – senza inutili giri di parole – questi spiacevoli episodi fanno parte delle corse. Semplice, lineare.
Inoltre, specie in passato, le rotture meccaniche erano più frequenti: l’evoluzione tecnologica, ad esempio, nel campo dei materiali e dei lubrificanti ha permesso di ridurre l’insorgere di determinate rotture. Tuttavia, bisogna sempre entrare nell’ottica che all’epoca – in un passato più o meno lontano dal nostro presente – quello era lo stato dell’arte della tecnologia: è ovvio che il progresso è inteso sempre al miglioramento.
Ma non è tutto. Le F1, per tanti decenni, non avevano vincoli di sviluppo, non avevano elementi congelati, omologati o standardizzati, le principali componenti meccaniche non erano soggette a vincoli circa la durata. Tutto era in continuo divenire, tutto era – come si suole dire – al limite, usa e getta (nei limiti del possibile e delle possibilità finanziarie di ciascuna scuderia).
I GP – i GP della Formula 1 degli anni d’oro, quella bella Formula 1 del fare che tutti, almeno a parole, rimpiangono… – erano, spesso (e per spesso intendiamo quasi sempre), caratterizzati da elenchi interminabili di vetture messe al tappeto da rotture meccaniche. Una moria di auto da fare impressione. Se capitasse oggi, apriti cielo: già immaginiamo i titoloni deprimenti dei media in guanti di velluto e i commenti al veleno dei lettori. Frasi del tipo “vergogna, questa non è F1!”.
Al GP d’Australia, a Melbourne, prima prova del campionato 2014, cinque vetture sono incappate in irreparabili guasti meccanici: la Mercedes F1 W05 di Hamilton (motore), la Red Bull RB10 di Vettel (generici problemi elettronici connessi alla cosiddetta “power unit”), la Caterham CT05 di Ericsson (problemi alla pressione dell’olio) e le due Lotus E22 di Grosjean e Maldonado (entrambe messe al tappeto da problemi al sistema ERS, Energy Recovery System).
Sono bastate queste cinque vetture alle corde (contro le tre del 2013…) per far gridare allo scandalo, alla vergogna.
Eppure, per tanti anni, la F1 del fare e delle vetture sbracate a seguito di rotture meccaniche ha viaggiato a gonfie vele. E piaceva. Eccome se piaceva! La Formula 1 è diventata “la” Formula 1 proprio in quelle epoche.
Il nostro viaggio alla riscoperta dei casi più eclatanti di GP infarciti da rotture meccaniche inizia dal 1950, GP di Francia, Reims: 8 motori rotti (di cui 6 Maserati e 2 Talbot), due ritiri per surriscaldamento (altri due Talbot) ed una pompa della benzina KO (Alfa Romeo). In Italia, a Monza, la storia si ripete: tra motori, radiatori, trasmissioni, cambi e freni rotti, guai ai sistemi di refrigerazione e lubrificazione e surriscaldamenti, sono ben 19 le vetture ritirate.
1951, 500 Miglia di Indianapolis, corsa, all’epoca, inserita forzosamente nel calendario del campionato mondiale di F1. Ebbene, su 33 canonici partenti, si ritirano in 25, di cui ben 22 per assortiti guai meccanici. Epica.
1952, Nürburgring: 19 vetture ritirate (una non partita, motore rotto, una squalificata per partenza anticipata): per il resto, è una sequela di motori andati, ruote perse, cambi triturati, candele rotte, freni e sospensioni KO, pressione dell’olio impazzita.
1953: ai GP di Gran Bretagna (Silverstone) e Germania (Nürburgring), va in scena il campionario perfetto delle rotture meccaniche. 16 vetture ritirate per guasti tecnici in Gran Bretagna, 18 in quel di Germania (ben 12 motori rotti).
Francia 1954, l’apoteosi: partono in 21, arrivano al traguardo in 6, si ritirano – tutti per guasti meccanici – in 15 (i motori rotti ammontano a 10)!
1955, Aintree, GP di Gran Bretagna: 16 ritiri (una vettura non partita, motore rotto), solo in 9 vedono la bandiera a scacchi. Nel 1956, il GP di Gran Bretagna torna a Silverstone, la moria di auto è servita: in ben 17 lamentano problemi meccanici. Le trepidanti e vive stagioni 1957-1958 se ne vanno anch’esse accompagnate da una scia di rotture meccaniche in ogni dove. GP degli USA, 1959, Sebring: partono in 18, in 7 vedono la bandiera a scacchi, gli altri, dispersi in azione, vittime di perdite d’olio, frizioni, cambi e trasmissioni rotti.
Negli Anni ’60, nulla cambia, in questo senso. Ogni gara – chi più, chi meno – è un concentrato di rotture meccaniche: ai piloti e alle scuderie, come ovvio, non fa piacere abbandonare prematuramente una corsa a seguito di questi spiacevoli episodi, ma così è: sono le corse, vanno accettate per ciò che sono. E, soprattutto, il pubblico non guarda schifato alle tante rotture meccaniche.
Il GP d’Italia (Monza) 1961 è, senza dubbio, una perla in quanto a rotture meccaniche: 10 motori rotti e altre varie noie tecniche estromettono da quella tragica edizione del GP monzese ben 16 vetture (gli altri ritiri sono per incidente).
Con un balzo, andiamo al 1967, grande annata di Formula 1. E poi c’è lui, quel trittico fantastico di gare in cui i motori partivano come i petardi a Capodanno. A Silverstone sono 6 i motori KO (ai quali vanno aggiunti tre ritiri per rottura della frizione, problemi alla pressione dell’olio e alla trasmissione), a Monza sono 7 i motori rotti (a questi, si aggiungono altri ritiri per surriscaldamento e guasto della pompa della benzina), a Watkins Glen, infine, solo in 7 vedono la bandiera a scacchi. Le altre 11 vetture abbandonano a seguito di molteplici rotture meccaniche: alternatore, problemi alla pressione dell’olio e alla pompa della benzina, 4 motori rotti, una sospensione andata, problemi alla accensione, perdita d’acqua. Insomma, un bollettino di guerra.
Nel 1968, il Watkins Glen distilla l’ennesima perla: appena 6 vetture vedono il traguardo, ben 13 sono costrette al ritiro, due i non partiti (Pescarolo per rottura del V12 Matra). Anche in questo caso, le rotture meccaniche (dai motori alle frizioni) la fanno da padrone: solo Hulme abbandona a seguito di un incidente. Un simile canovaccio si ripete in Messico: 9 al traguardo, 12 ritirati per problemi e rotture meccaniche. Olè!
1970, altra annata di grandissima, leggendaria Formula 1. E, appunto, zeppa di guai tecnici. Hockenheim e Monza, circuiti particolarmente probanti per la affidabilità delle vetture, motori in particolare: in quel di Germania si rompono la bellezza di 8 motori (altri, sono vittima di noie all’acceleratore, accensione, cambio e perdita d’olio), in quel d’Italia, invece, sono 7 i motori arrosto (più un caso di surriscaldamento ed uno di frizione rotta).
Degno di nota, relativamente ai primi Anni ’70, il GP di Montecarlo 1973: c’è di tutto, dai motori rotti ai cambi in frantumi, passando per trasmissioni KO, freni al tappeto, surriscaldamenti e perdite di carburante. 13 i ritirati per guasti meccanici, ai quali vanno aggiunti i casi di Hunt (classificato 9° ma col motore andato) e W. Fittipaldi, 11° ma con noie all’iniezione.
E via di questo passo, verso la fine degli Anni ’70. Anderstorp 1976, bella, coi suoi 6 motori rotti, Monza 1977, altra bella sinfonia di motori rotti (7) ed un elenco di ritirati che comprende 15 piloti, di cui ben 11 vittime di problemi tecnici. Le Castellet 1978, Francia: pochi ritiri (8), ma che ritiri: possono bastare 6 motori rotti?
Österreichring 1979: 14 ritiri complessivi e solo il povero Lammers vittima di un incidente. Chiaro, no?
Rimaniamo in Austria, anno 1981. 12 ritiri complessivi e solo Villeneuve a seguito di incidente: chiaro atto secondo, no? A completare il tutto, Surer non prende il via al GP: problemi di accensione, ovvio.
Intanto, si entra nell’era Turbo. Eh, i Turbo di una volta, amati ieri, odiati (chissà perché) oggi. Misteri della fede.
L’era Turbo coincide con un periodo di particolare vitalità tecnica. Lo sviluppo dei turbocompressi e la convivenza con gli aspirati (eccezion fatta per la stagione 1986) sono manna dal cielo per gli appassionati di tecnica.
Com’è, come non è, si arriva al GP di Germania 1983, Hockenheim. L’era Turbo non va ricordata solo per le rotture meccaniche e per i casi (a conti fatti, saltuari e non diffusi come preannunciato da pessimisti del tempo…) di vetture a secco di benzina nel corso degli anni della formula consumo (1984-1988), però, quando rompevano, era sempre uno spettacolo pirotecnico non indifferente.
Ebbene, in Germania sono ben 10 (dieci!) i motori arrosto o quasi arrosto (surriscaldamento). Pronti per l’elenco? 2 Alfa Romeo Turbo, 2 Hart Turbo, 2 Renault Turbo, 1 Ferrari Turbo, 1 Honda Turbo, 2 Cosworth aspirati. A questi, vanno aggiunti l’incendio sulla Brabham-BMW Turbo di Piquet e la rottura della pompa della benzina del Renault Turbo di Cheever e del Cosworth aspirato di Alboreto.
1983, ed ecco che al Kyalami la storia si ripete: 9 ritiri causati da motori o turbocompressori rotti. Fumo, fioco e fiamme.
Nel 1984, sono i GP del Brasile al Jacarepagua, San Marino a Imola e USA Est a Detroit a regalare le migliori perle di affidabilità non pervenuta. Nell’inferno di Detroit, sopravvivono in 5. Gli altri, vittime sacrificali di incidenti (pochi) e rotture meccaniche (tante).
1985, Österreichring: roba da record, roba da Guinness dei primati, roba da mitologia dello sport, roba da Omero e Virgilio, roba da far impallidire l’Apocalisse. Queste le cifre: 26 qualificati, in 9 terminano la gara (Bellof pure sena carburante), 17 i ritirati, 14 dei quali (quattordici e ribadisco quattordici) appiedati da rotture al motore o al Turbo. Questa era la vera Formula 1, signori.
E torniamo in Italia, per il GP di San Marino 1986, Imola. In questo GP, appaiono tutti gli ingredienti tipici dell’era Turbo: vetture alla canna del gas col carburante, rotture meccaniche in rapida sequenza: 4 piloti senza carburante (tre, comunque, classificati), 8 ritiri causati da motore o Turbo rotti. Solo per citare i casi di ritiro più eclatanti.
1987: l’anno di “Quel” GP di Germania. Sì, sì, quello lì, ricordate bene. Hockenheim. 26 qualificati, in 7 al traguardo e classificati, 1 non classificato (Brundle), 18 piloti ritirati, 13 dei quali (e sottolineo il lucky 13…) vittime di rotture al motore o al Turbo. E non mancano i casi, in questa ennesima ecatombe firmata Formula 1 degli anni ruggenti, casi di problemi all’acceleratore, accensione, trasmissione, alternatore, sospensioni.
Nel 1989, accantonati i motori Turbo e rispolverati i soli aspirati, le vetture Formula 1 non tradiscono le attese: una Formula 1 che ancora emoziona e che, all’epoca, non viene criticata per le tante e ben assortite rotture meccaniche. Come a Phoenix, o come a Monza, in cui si registrano 6 casi di motori cotti a puntino e che vanno a profumare l’aria del Parco Nazionale.
1990, l’anno di un GP di Montecarlo da annali del motorismo. 26 al via, in 6 vedono la bandiera a scacchi, Foitek classificato al 7° posto nonostante una collisione al 72° giro, 18 ritirati, 1 squalificato (Piquet, partenza anticipata). Ebbene, in quei 18 ritirati, ben 17 sono vittime di rotture meccaniche: in particolare, sono i cambi a cedere in quattro occasioni.
1991, è la volta di Montréal, Canada: 7 motori rotti in gara e via, tutti a casa.
1997, GP di Gran Bretagna, Silverstone: 7 motori rotti, kaput, da buttare. E siamo nel 1997…
Beh, anche Imola 1998 merita: altri 7 motori rotti, solo per citare i motori rotti, appunto…
E fa sorridere ripensare ai casi – non frequenti, d’accordo, ma comunque significativi e, per certi versi, paradossali – di vetture rimaste a secco di carburante nell’era dei rifornimenti e dei pit-stop (introdotti da Regolamento nel 1994). Austria 1999: oltre ai 3 motori fumanti, abbiamo anche due casi di “out of fuel” (Alesi e Zanardi). 2000, GP degli Stati Uniti, Indianapolis: 6 motori rotti, come on baby!
Francia 2001, Magny-Cours: un GP contraddistinto da pochi ritiri ma – eh già – di quelli buoni, di quelli che oggi farebbero ribrezzo: su 6 ritirati complessivi, 5 i casi di motori rotti. Hakkinen non parte: rottura del cambio. Nel 2002, era dei V10 non congelati, a Spa-Francorchamps è ancora una discreta moria di motori: se ne rompono 6.
Interessante lo strano caso del GP di Francia 2003, Magny-Cours. Solo 4 vetture ritirate: 3 motori rotti ed un caso di “out of fuel” (Button su BAR).
Dalla prima metà degli Anni 2000, il numero di rotture meccaniche è drasticamente sceso. Nel 2006, all’indomani della introduzione delle unità V8 aspirare di 2400cc, si apre un nuovo mini-ciclo di problemi legati ai nuovi motori. Nei primi due GP del 2006 (Bahrain, Malesia) sono 5 i motori complessivamente rotti in gara, ai quali vanno aggiunte le tipicamente vaghe e fantomatiche “noie idrauliche” nate, appunto, negli Anni 2000 per nascondere chissà quali altri problemi.
Al GP d’Europa 2006 (Nürburgring), si registrano altri casi di rotture meccaniche importanti: 3 motori rotti, una trasmissione andata e tre casi di “noie idrauliche”.
La drastica riduzione delle rotture meccaniche (soprattutto motori) si deve, anzitutto, a pochi fattori: i vincoli di congelamento-omologazione imposti dalla FIA, la durata delle unità anch’essa imposta dalla FIA (fattore che ha obbligato i motoristi a realizzare, gioco fora, motori assai affidabili e che durino per molti GP consecutivi), progresso tecnologico nel campo dei materiali e della metallurgia (e relativi sistemi anti-attrito), carburanti e oli lubrificanti.
Sintesi perfetta dei suddetti fattori è il GP d’Europa 2011, Valencia. In quella occasione, tutte le 24 monoposto che prendono parte alla prova iridata vedono la bandiera a scacchi. Nessuna vettura ritirata.
La contraddizione, pertanto, è evidente: non si può detestare la F1 2014 in base alle rotture meccaniche e, al contempo, rimpiangere la Formula 1 del passato, fatta anche, come abbiamo visto nel breve excursus, da elenchi interminabili di vetture, per dirla alla Brumotti, “ferme con le quattro frecce”.
Non solo: contraddizione delle contradizioni è vedere pubblicare, sui social network, foto di motori esplosi intese ad elogiare la Formula 1 dei tempi andati (“queste cose non accadono più…”, scrivono) e leggere, dalle medesime persone, critiche alla F1 attuale in riferimento alle 5 rotture meccaniche verificatesi in Australia. Coerenza portami via…
La Formula 1 attuale non funziona ed è profondamente malata per tante ragioni. Affermare che la F1 moderna sia una “vergogna” per le rinnovate e fisiologiche rotture meccaniche non è cosa buona e giusta. Peraltro, le fisiologiche e, alla fine della fiera, nemmeno tante numerose (per ora) rotture meccaniche diminuiranno drasticamente di intensità, parimenti a quanto accaduto con i V8 aspirati, per le seguenti ragioni: i tecnici troveranno il bandolo della matassa, i congelamenti-omologazioni-vincoli sulla durata faranno sì che i motori, per forza, dovranno manifestare una notevole affidabilità. Non dimentichiamoci che, già in questo 2014, ogni pilota ha a disposizione 5 motori a stagione. Una miseria.
In conclusione, se la coerenza non è una opinione, non ci si piò vergognare della Formula 1 attuale per poche rotture meccaniche e, al contempo, fare l’apologia della Formula 1 dei tempi andati, dimenticando che quella, vera, autentica Formula 1 era caratterizzata da una miriade di rotture e problemi meccanici.
La F1 attuale vive numerosi problemi di gestione e indicibili storture tecniche e sportive: ma agli stolti, evidentemente, piace guardare il dito – con malafede – anziché la Luna…
E la domanda rimane. Rotture meccaniche: che male vi hanno fatto?
Scritto da: Paolo Pellegrini