L’immediato futuro della F1 potrebbe essere vivacizzato da una importante novità. il ritorno dei team privati e team ufficiali al via con più di due auto.
La Formula 1 torna a parlare della cosiddetta “terza vettura”. Un tanto annoso quanto ciclico tema di dibattito, il quale si ripresenta – assieme ad altre ricette intese a migliorare (si fa per dire…) il prodotto Formula 1 – ogni qual volta i principali attori decidono di “rivitalizzare” la categoria mondiale.
Nel weekend monzese, infatti, i vertici dei team hanno dibattuto attorno alla possibilità di vendere le proprie monoposto a terzi. In sostanza, tornerebbero a tutti gli effetti i team clienti-satellite. In caso di avallo di tale proposta – caldeggiata, ad esempio, da Montezemolo, ma osteggiata da Williams e Sauber, fieri costruttori indipendenti – andrebbe rivisto il concetto di “proprietà intellettuale” del progetto.
La storia, in estrema sintesi, la conosciamo tutti. All’alba degli Anni ’80, la Formula 1 rinnegava l’esistenza delle scuderie clienti, team che, invero, avevano animato – anche con estremo successo – la categoria sin dal 1950. Ogni team iscritto al Campionato, pertanto, doveva (e deve tuttora) detenere l’esclusiva del progetto portato in pista. Ecco, allora, che per partecipare al Mondiale di F1, di fatto, occorre ergersi (o almeno spacciarsi per tali…) a costruttori a tutti gli effetti.
In questi anni di storia della F1, non sono mancate le zone grigie, le contraddizioni e le polemiche attorno alla cosiddetta “proprietà intellettuale” del progetto. Nel 1992, la neonata Andrea Moda rileva le Coloni C4 (la scuderia italiana si è, frattanto, ritirata dal Mondiale. La vettura in questione era stata progettata da Christian Vanderpleyn), dando vita alla Andrea Moda C4B. Ma la vettura, la cui proprietà intellettuale è di Coloni, viene rifiutata dalla FIA. Andrea Sassetti commissiona a Nick Wirth la realizzazione della fallimentare ma interessante Andrea Moda S921-Judd.
Nel 1995, la Ligier schiera la JS41, ossia una Benetton B195 sotto mentite spoglie, spinta dal Mugen-Honda MF-301H V10 e firmata dal duo Frank Dernie-Loic Bigeois. La vettura francese suscita puntuali polemiche: all’epoca, infatti, la scuderia transalpina è una sorta di team satellite facente capo a Benetton. Nel 1996, dalla ceneri JS41, prende vita la JS43 (André de Cortanze-Frank Dernie-Loic Bigeois), vettura più simile ancora alla B195 che alla nuova Benetton B196.
Nel 2006, debutta la Toro Rosso STR1 (progetto di Gabriele Tredozi), di fatto un mix tra la Red Bull RB1 del 2005 (Ian Pocock-Robert Taylor-Ben Agathangelou) e la RB2 del 2006 (Günther Steiner-Mark Smith-Ben Agathangelou) leggermente rivisitata e spinta dal V10 Cosworth TJ2006 V10 (flangia da 77mm e regime di rotazione limitato a 16,700 giri/minuto).
La Toro Rosso – benché ancora legata a doppio filo alla Red Bull – inizia necessariamente a discostarsi in modo marcato dai progetti Red Bull a partire dal 2010: sino al 2009 (anno della STR4 di Giorgio Ascanelli), infatti, la scuderia di Faenza, sorta dalle ceneri della Minardi, impiega di fatto vetture Red Bull blandamente modificate nelle forme, sebbene motorizzate Ferrari.
Da questo anno, nuovi accordi renderanno impossibile questo travaso di vetture come nel caso tra Red Bull e Toro Rosso; la scuderia italiana ha recitato per anni il ruolo di autentico team cliente.
Come si evince, i ferrei accordi circa l’esclusività e la proprietà intellettuale dei progetti sono stati ampiamente aggirati e plasmati all’occorrenza.
Pertanto, liberalizzare la vendita delle vetture è l’unica sensata e logica via da perseguire. In questo senso, i team di F1 stanno andando verso la direzione giusta. Liberalizzando – o quantomeno, allargando, e di molto, le maglie normative circa questo spinoso aspetto tecnico-sportivo – la definizione di “costruttore” verrà rivista: la proprietà intellettuale del progetto, dunque, potrebbe investire solo scocca e veste aerodinamica.
La Formula 1, da decenni, ha intrapreso una strada elitaria, isolandosi dal resto del motorismo sportivo. Rinnegare – con le eccezioni sopra citate – vetture e team clienti-satelliti (o autentici privati realmente non legati ad una Casa) si è rivelato errore macroscopico. Non solo ha reso la Formula 1 una categoria in cui tutti e nessuno possono recitare la parte di “costruttore”, ma ha anche eliminato un fattore essenziale per il bene delle corse: i team privati, ossia spina dorsale, cuore pulsante del motorsport di ieri, oggi e domani.
Se un domani la F1 dovesse vivere una allarmante penuria di costruttori, senza l’aiuto e il vitale apporto di eventuali team privati la categoria collasserebbe in un battito di ciglio, soffocata dalla sua stessa essenza elitaria ed “esclusiva” bramata e perseguita da ormai troppi anni.
Analizzata la situazione, solo la Formula 1 non contempla team privati e la vendita delle vettura da parte dei costruttori a scuderie clienti. In ogni campionato internazionale e nazionale riservato e aperto a mezzi non derivati dalla serie (auto o moto che sia), infatti, questo vincolo “burocratico” non è mai stato preso in considerazione. Attualmente, ad esempio, in Moto GP, Honda, Yamaha e Ducati vendono le proprie moto a team esterni, nel Mondiale Endurance – oltre a trovare esempi di medesime vetture gestite da diversi team, attualmente tutte nelle classi LMP2 e GTE – niente e nessuno vieta ad Audi, Toyota, Porsche di realizzare e vendere le proprie auto a volenterosi team clienti (la Peugeot lo ha fatto nel recente passato, destinando le sue 908 HDi-FAP V12 dapprima al Pescarolo Sport – peraltro anch’esso un costruttore – infine al Team Oreca Matmut, team-costruttore che grazie alla LMP1 francese vince nel 2011 la 12 Ore di Sebring).
La “terza macchina”, tuttavia, non solo aprirebbe le porte ad eventuali scuderie clienti comunemente intese, ma anche a team composti da tre vetture: tre Ferrari, tre Mercedes, tre Red Bull, tre Williams e così via. Uno scenario, a nostro avviso, allettante, che renderebbe la Formula 1 – dimenticando per un attimo la pochezza dei regolamenti tecnici – una categoria assai più imprevedibile, ricca di sfumature e competizione.
In campo Endurance, la “terza auto” è all’ordine del giorno. Prendendo in esame il recente passato ed il presente, team ufficiali quali Audi e Peugeot hanno schierato e schierano tuttora tre, quattro auto. Anche Toyota, nel 2015, pare essere intenzionata a schierare tre vetture in quel di Le Mans.
Naturalmente, affinché questa nuova ma non inedita prospettiva regolamentare si possa compiutamente concretizzare, è necessario redigere una legislazione quanto più aperta ed elastica possibile.
Pertanto, è bene permettere ai team di poter schierare tre o più vetture (nell’arco di tutta la stagione o in soli Gran Premi selezionati in base alle particolari esigenze), nonché di poter vendere le proprie vetture ad eventuali team privati.
Ma, al contempo, nessuna imposizione deve vessare i costruttori: vale a dire, il legislatore non può e non deve obbligare i costruttori a schierare più di due auto e vendere le proprie monoposto a terzi.
Il dibattito attorno alla “terza macchina” si presenta ciclicamente acceso. Addetti ai lavori e semplici appassionati si dividono.
Ogni posizione è legittima, tuttavia le tesi sostenute dagli “anti terza macchina” scricchiolano, e non poco. Ad iniziare dalle posizioni della Williams, storico costruttore indipendente ma che, in passato, ha anche interpretato il ruolo di scuderia privata: dapprima affidandosi alla Brabham BT26A, poi alla De Tomaso 505, successivamente alle March 701, 711 e 721. Le più esclusive Politoys FX3 e Iso-Marlboro FX3B, IR e FW, di fatto, aprono l’era della indipendenza costruttiva Williams.
La FW05 del 1976, tuttavia, altro non è che una Hesketh 308C modificata: la vettura viene iscritta solo in tre occasioni sotto le insegne del Frank Williams Racing Cars, per poi passare nelle mani del Walter Wolf Racing.
Non è tutto. Williams, oltre a vestire i panni di scuderia privata grazie all’acquisto di telai prodotti da altre aziende, ha indossato anche le vesti di costruttore fornitore di auto a team privati. Brands Hatch Racing, RAM Racing e Equipe Banco Occidental cercano fortuna schierando le Williams FW07 e 07B tra il 1980 e 1981 (non presente la FW07 di De Villota al GP di Spagna 1981).
Pertanto, la reticenza palesata dalla Williams verso la cosiddetta “terza vettura” appare tecnicamente ingiustificata, storicamente contraddittoria.
Sul fronte appassionati, avanza lo schieramento “anti-terza macchina”: a sostegno di questa discutibile posizione, presunti aumenti dei costi, di personale e la denuncia di una Formula 1 che rischierebbe di diventare di basso profilo, non più selettiva, terra di standardizzazione (una sorta di GP2…) e team improvvisati. Inoltre, sarebbe “troppo facile” per i team privati allestire una vettura F1, magari comprendo un telaio Red Bull ed un motore Mercedes.
Ma davvero sarà così? Perché gridare, in questo caso, alla catastrofe della Formula 1, dimenticando i veri, reali e tangibili problemi che vive la categoria da anni?
A nostro avviso, l’apertura alle vetture clienti e a team ufficiali disposti, eventualmente, a schierare più di due auto sembra una operazione finalmente opportuna.
Chissà, magari torneremo a vedere squadroni con tre, quattro auto e privati che, armati di competenza e scaltrezza, metteranno in riga i ben più militareschi team ufficiali.
Anche questa era Formula 1…
Scritto da: Paolo Pellegrini