Per fortuna che è arrivata Monaco! Daniil Kvyat, pilota russo della Red Bull, è infatti giunto 4° al termine della gara nel Principato, realizzando il suo piazzamento più alto da quando è in Formula 1 e mettendo a tacere le critiche che sono piombate su di lui e sulla sua squadra nell’ultimo periodo.
La tappa monegasca è stata l’occasione migliore per rompere una serie di gare non affatto positive per il giovane debuttante in Red Bull, alle prese con una macchina che, rispetto alle passate stagioni, sta affrontando uno dei suoi periodi storici più complicati e critici in termini di risultati ottenuti.
Se si fa eccezione per l’ultima gara svolta in calendario, dove Kvyat ha brillato sia in partenza che nell’intera gestione della corsa, le prestazioni del russo hanno certamente deluso, creando un malcontente generale specialmente in casa Red Bull, dove i vertici del team stavano già pensando di aver commesso un errore nella scelta di Daniil, promosso dopo la sua scorsa stagione da debuttante dal volante della Toro Rosso a quello della sorella maggiore Red Bull, con il non semplice compito di ereditare la pesante parte lasciata da Sebastian Vettel e di confrontarsi con un Daniel Ricciardo in costante crescita.
Dopo la gara di Monaco per Kvyat sono arrivati solo complimenti, ma prima di quell’appuntamento il ventunenne è stato vittima di feroci polemiche, alimentate anche da uno scarso rendimento della Red Bull, incapace in certi frangenti di tenere testa proprio alle due Toro Rosso, governate da due piloti ancor più giovani del duo Red Bull e addirittura al loro primo anno in Formula 1.
Per il russo ora arriva una vera e propria boccata d’ossigeno, che gli consentirà di affrontare il prossimo appuntamento in Canada con maggiori consapevolezze sulle sue doti di guida e con minor tensione e pressione, ma andando ad analizzare le brevi storie della Red Bull e della Toro Rosso in termine di gestione e rapporto con i piloti, si capisce che Kvyat non può più permettersi di sbagliare o non convincere ancora a lungo.
E’ verissimo che entrambe le scuderie hanno consentito, e lo stanno facendo ancora oggi, di poter far entrare moltissimi giovani e promettenti piloti nel mondo della Formula 1, ma è altrettanto vero che se i risultati non sono soddisfacenti, come accade di frequente in quanto il talento è spesso mischiato con una naturale carenza di esperienza, allora si rischia veramente non solo di perdere il sedile in Red Bull o Toro Rosso, ma di non trovarne un altro in altre squadre, accettando al massimo un ruolo da collaudatore che comunque può compromettere una carriera iniziata con ben altri auspici.
Con un rapporto durato al massimo due anni, piloti come Sebastien Buemi, Scott Speed, Sebastien Bourdais, Robert Doorbos, Jaime Alguersuari, Jean-Eric Vergne e Christian Klien non solo hanno corso solo ed esclusivamente per Toro Rosso o Red Bull (tranne Doorbos), ma una volta terminato il loro incarico nei team citati non si sono mai più rivisti in Formula 1 in qualità di piloti ufficiali, e quindi partecipanti alle gare. Gli unici che fanno eccezione in questa lista sono davvero pochi, e guarda a caso tutti sopravvissuti per motivi legati a vittorie o grande esperienza del pilota. David Coulthard, che chiuse la sua carriera dopo ben quattro stagioni passate alla Red Bull regalandone i primi punti ed il primo podio. Mark Webber, capace anche di sfiorare il titolo nel 2010 vincendo 9 gare con la Red Bull, e Sebastian Vettel, quattro volte campione del mondo con la Red Bull ed unico pilota ad essere riuscito nell’impresa di vincere una gara con la Toro Rosso.
Il messaggio dunque, statistiche alla mano, sembra essere maledettamente chiaro per Daniil Kvyat:
o continua a far bene come ha fatto a Monaco, o la sua esperienza in Red Bull potrebbe chiudersi con il grande rammarico di non esser riuscito ad esprimere il grande talento che comunque possiede, con il rischio di rimanere appiedato anche in Formula 1, in un mondo dove non si fanno sconti a nessuno. E’ giunto quindi il momento di riconfermarsi, tenendo sempre presente che è vero che campioni si nasce, ma bisogna anche avere il tempo necessario per confermarsi tali, e per farlo bisogna essere il più liberi possibile da pressioni premature.