Il mondo della IndyCar e del motorsport globale, nella giornata del 25 agosto 2015, sì è fermato per piangere la morte di Justin Wilson. Il pilota 37enne britannico, con un passato in F1 sui sedili di Minardi e Jaguar, è deceduto in seguito alle gravi ferite alla testa causate dall’impatto con i detriti sul circuito di Pocono. Durante la gara in Pennsylvania, Wilson è stato colpito alla testa dal musetto della vettura di Sage Karam, protagonista di uno schianto sulle barriere all’esterno di una curva. I pezzi della vettura distrutta, inseguito allo schianto, sono ripiombati pericolosamente in pista mentre lo sfortunato pilota britannico transitava sul luogo dell’impatto. Colpito al capo dal musetto della vettura di Karam, Justin Wilson ha perso conoscenza ed è andato a sua volta a schiantarsi contro il muro sul lato interno del tracciato. Immediatamente il pilota è stato trasportato in elicottero al Cedar Crest Hospital, ma per lui non c’è stato più niente da fare, è morto nella giornata di ieri senza mai riprendere conoscenza.
Il povero Justin Wilson è l’ultimo di una lunga serie di piloti che hanno perso la vita nel mondo della IndyCar e della Formula1. Le categorie più veloci e pericolose nel mondo del motorsport. Al Las Vegas Motor Speedway nel 2011 Dan Wheldon è deceduto in seguito ad uno schianto sulle barriere che delimitavano l’ovale. La sua testa colpì uno dei pali di sostegno della recinzione e il pilota morì sul colpo.
Come non ricordare poi l’assurdo incidente di Jules Bianchi del 5 ottobre 2014. Durante Gran premio del Giappone il giovane francese impattò contro una gru mobile presente sul tracciato intenta a rimuovere una vettura uscita di pista. La sua testa si scontrò contro il mezzo pesante provocando la perdita di conoscenza, il coma e dopo pochi mesi la morte di Bianchi. La commissione d’inchiesta voluta dalla FIA rivelò che la forza dell’impatto della testa di Jules contro la gru fu di 240 volte superiore alla forza di gravità.
E’ andata decisamente meglio a Felipe Massa che nel 2009, sul circuito dell’Hungaroring, venne colpito al capo da una molla staccatasi dalla sospensione di una vettura che lo precedeva. Il pilota brasiliano, perse conoscenza e si scontò contro le barriere. Entrò anche in coma, ma venne prontamente soccorso e operato. Per fortuna Felipe riuscì a cavarsela e dopo pochi mesi salì nuovamente su una monoposto di Formula 1.
Tutti questi episodi fanno di sicuro riflettere sull’importanza della sicurezza nel mondo del motorsport a ruote scoperte. Molte novità sono state introdotte negli anni per tutelare il pilota e per incrementare il livello di protezione, sia a bordo della vettura che sul tracciato.
Sono state ideate barriere, ai lati della pista, in grado di assorbire l’impatto diminuendo drasticamente così la forza di decelerazione. Sono stati introdotti i collari HANS, che hanno contribuito a scongiurare danni al collo e alla spina dorsale in seguito ad un forte incidente. Le monoposto di Formula 1 sono state dotate di una “cellula di sopravvivenza” in fibra di carbonio e kevlar, composta da strutture deformabili e pannelli anti intrusione per evitare lo sfondamento in una collisione a 90° con un’altra vettura. All’interno la cellula è avvolta da pannelli assorbenti per attutire gli urti e garantisce la protezione completa delle gambe e del corpo dei piloti.
Tutti questi dispositivi di sicurezza lasciano però scoperta la parte più preziosa di un pilota, ovvero la testa. Il casco sicuramente è fondamentale per la protezione, ma con vetture così potenti e con velocità, anche nella percorrenza di curva, così elevate è probabilmente necessario pensare ad una soluzione diversa più aggressiva, anche stravolgendo il design e la natura delle vetture a ruote scoperte.
La proposta di monoposto con l’abitacolo chiuso è più che mai attuale e viva. La possibilità di coprire il cockpit porterebbe ad alcuni vantaggi assolutamente rilevanti e non solamente in termini di sicurezza. Con l’abitacolo chiuso le monoposto di Formula 1 potrebbero diventare ancora più rigide dal punto di vista telaistico, con vantaggi evidenti nella percorrenza delle curve. Inoltre nuove soluzioni potrebbero essere pensate a livello aerodinamico. Si annullerebbero così le turbolenze provocate dal cockpit scoperto aumentando il coefficiente di penetrazione aerodinamica. I flussi d’aria sul parabrezza integrale potrebbero essere sfruttati per creare carico aerodinamico sul retrotreno e garantire miglior tenuta. La possibilità di avere un abitacolo chiuso garantirebbe inoltre un ulteriore protezione per la testa e il corpo del pilota. Probabilmente, con tale dispositivo, incidenti mortali come quelli sopra elencati sarebbero stati scongiurati.
Coprire l’abitacolo delle monoposto di Formula 1 non servirebbe solo a proteggere la testa del conducente, ma aprirebbe la strada a mille soluzioni per rendere le vetture ancora più veloci e performanti. Verrebbe conservato inoltre tutto lo spirito e l’adrenalina che le vetture a ruote scoperte sanno dare, avvicinando magari nuovi fans in grado di riportare la Formula 1 ai fasti di un tempo.
Molti designer si sono messi in gioco pensando a come potrebbe essere realizzata una vettura di F1 con cockpit chiuso. E’ il caso del disegnatore e designer olandese Andries van Overbeeke che ha realizzato una vettura a ruote scoperte con parabrezza e abitacolo chiuso. Egli è partito dalla McLaren di Ayrton Senna, la leggendaria MP4 che è stata ripensata e riproposta in chiave moderna. Ecco a voi le foto di questo prototipo così futuristico e così attuale. Sarà questa la forma delle future monoposto della classe regina del motorsport?
Scritto da Daniele Vanin