Cresce l’aspettativa per la nuova stagione di Formula 1, che aprirà ufficialmente i battenti il 20 marzo con il Gran Premio di Australia.
Nel frattempo un primo assaggio del nuovo campionato si potrà avere con la presentazione delle monoposto, previste indicativamente tra il 19 e il 22 febbraio, e i test pre-stagionali, che si terranno a Barcellona, dal 22 al 25 febbraio, e dal 1 al 4 marzo.
Anche la 67° edizione del mondiale sarà caratterizzata, purtroppo, dall’assenza di piloti italiani: a tenere alta la bandiera tricolore ci saranno le due scuderie italiane Ferrari e, Toro Rosso, che da quest’anno monterà le Power-Unit del cavallino.
Nell’attesa della loro presentazione, vogliamo parlare di un altro team tutto italiano, che circa dieci anni fa corse la sua ultima gara di Formula 1 e dalle cui ceneri è nata appunto la Toro Rosso: la Minardi.
E proprio il suo fondatore Giancarlo Minardi, dalle pagine del suo sito, minardi.it, ha voluto giocare con i numeri riguardanti il suo team, andando ad evidenziare che sebbene la scuderia faentina non abbia mai portato a casa una vittoria e men che meno un mondiale, rappresenti comunque un pezzo significativo nel puzzle della Formula 1.
Tanto per cominciare è opportuno segnalare che, se da una parte il team Minardi è al primo posto come numero di Gran Premi disputati senza conquistare alcun podio, dall’altra occupa ad oggi la settima posizione, alle spalle di colossi del calibro di Ferrari, McLaren, Williams, Lotus, Tyrrel e Brabham, come numero di Gran Premi disputati in totale: 340. Una manciata in più di team più blasonati quali Ligier, Sauber e Renault.
Nella classifica totale dei punti conquistati nel mondiale, la Minardi rientra nella Top 40, occupando precisamente la 36esima posizione, sopravvanzando anche in questo caso scuderie storiche quali Prost GP, Toleman e Footwork.
Se per compiere un giro in testa ad un Gran Premio per la Minardi ci sono volute ben 73 gare, Gran Premio del Portogallo del 1989, altre scuderie hanno dovuto aspettare ancora di più: come ad esempio Sauber con 178 gare e BAR 82.
Per quanto riguarda i piloti, ricordiamo che la Minardi è stata un’ottima scuola per molti piloti italiani, quali Alessandro Nannini, Luca Badoer e Pierluigi Martini: e ha anche allevato futuri campioni del mondo. Uno su tutti lo spagnolo Fernando Alonso, che debuttò al volante della monoposto di Faenza nel mondiale 2001.
Martini è inoltre al 14esimo posto come numero di gare corse con lo stesso team: 103, su 118 presenze totali, che lo collocano in 48esima posizione assoluta come numero di Gran Premi disputati, e al sesto posto tra i piloti italiani.
Il nome di Fernando Alonso rientra nella Top Six dei debuttanti più giovani: l’asturiano infatti salì per la prima volta su una Minardi a 19 anni e 218 giorni. Altro pilota, legato al team di Faenza, rientrante in questa speciale classifica è il meno conosciuto Esteban Tuero, che debuttò a 19 anni e 320 giorni.
Volendo poi analizzare la carriera del team Minardi, applicando il sistema di punteggio attuale, si evidenzia che il team faentino sarebbe andato a punti fin dalla sua prima partecipazione al mondiale di Formula 1, grazie ad un ottavo posto conquistato in Australia da Pierluigi Martini. In 21 stagioni, solamente nel 1987 la Minardi non avrebbe raggiunto la Top Ten.
Un elemento importante da tenere in considerazione per comprendere fino in fondo la portata dell’avventura del piccolo team di Faenza, è legato alla fornitura del motori. Mentre infatti oggi i costruttori sono obbligati a fornire Power-Unit tutte uguali, salvo deroghe fatte ad hoc, come nel caso di Toro Rosso per il 2016, Minardi fu sempre costretta a correre con propulsori di secondo piano e vecchi anche di tre generazioni. Nonostante questo però, in alcune circostanze, le monoposto del team faentino riuscirono a stare davanti a costruttori ben più titolati.
Piccoli numeri e piccole soddisfazioni!
Sicuramente il team e il suo fondatore avrebbero meritato di più.
Ma nel corso dei vent’anni in cui le monoposto hanno calcato i circuiti di tutto il mondo, la Minardi è riuscita a dimostrare che, all’epoca, bastavano poche monete e tanta passione per entrare nella storia della Formula 1.