Ivan Capelli si racconta in esclusiva a CircusF1
Gentile, cordiale ed umile. Qualità già rare nella vita di tutti i giorni, ancor più se la persona in questione può essere tranquillamente riconosciuta come uno dei talenti più brillanti della storia automobilistica italiana recente. Stiamo parlando di Ivan Capelli, ex pilota di Formula 1 tra gli anni ’80 e ’90 con una breve quanto sfortunata esperienza anche in Ferrari nel 1992. E’ proprio lui (ancora oggi molto conosciuto nell’ambiente delle corse in qualità di commentatore televisivo per la Rai e di Presidente dell’ACI di Milano dal 2014) che ci ha gentilmente concesso un’intervista in esclusiva a 360 gradi tra passato, presente e futuro. Vittorie, sconfitte, gioie e dolori, tutto raccontato in prima persona da un campione che non ha mai abbandonato le sue passioni automobilistiche.
Alessando Prada (CircusF1): Signor Capelli, ci può raccontare il percorso che ha fatto prima di approdare in Formula 1?
Ivan Capelli: “La passione per le corse l’ho di fatto ereditata da mio padre, anch’egli amante del mondo dei motori. Le mie prime esperienze risalgano al termine degli anni ’70 nella filiera dei kart, che in quel periodo erano molto in voga. Da li è iniziato il mio percorso, e non mi sono più fermato fino al 1985, anno in cui ho fatto il mio debutto in Formula 1 (nella sua carriera nelle categorie minori, Capelli non cita il suo ricco palmarès costituito da un titolo di Formula 3 italiana, uno di Formula 3 Europea ed uno di Formula 3000, rispettivamente nel 1983, 1984 e 1986)”.
AP: Nel 1985 si avvera il sogno della F1 debuttando con la Tyrrell. Per lei solo due presenze ma un 4° posto da ricordare in Australia. Cosa ricorda di quel risultato più che positivo?
IC: “Fu senz’altro una grandissima sorpresa, anche perché avevo fatto poche prove prima di quella gara. In effetti ho scoperto realmente la macchina proprio in occasione del gran premio, tanto che mi fu realizzato il sedile solo il giorno prima della gara. La domenica poi, a discapito di una rottura proprio dello stesso sedile, arrivai comunque 4° al traguardo e fu una gioia incredibile. Il risultato non fu solo una soddisfazione per me, ma si rivelò importante anche per il mio team, perché all’epoca quel piazzamento comportava ad un premio in denaro di qualche milione di dollari, indispensabile soprattutto per ciò che riguardava i trasporti”.
AP: Nel 1986 disputa altri due GP con l’AGS poi inizia, l’anno successivo, una vera e propria avventura con la March-Leyton House fino al 1991. Al di là delle soddisfazioni e dei risultati raggiunti, può riconoscere questo periodo come il più bello della sua carriera?
IC: Assolutamente si! La squadra si era appena costituita, c’era un bellissimo ambiente e si respirava un entusiasmo vero senza alcun tipo di pressione, cosa che contava molto. Ricordo con piacere quel periodo anche perché, seppur brevemente, nel team si sono incrociate tante di quelle persone che, in un modo o nell’altro, hanno contribuito a scrivere la storia della Formula 1 negli anni successivi. Parlo di Adrian Newey, che disegnò la March per la stagione 1988, oppure di Mario Illen e Paul Morgan. Entrambi erano proprietari della Ilmor, che all’epoca motorizzava la Leyton House, e gli stessi avrebbero poi sviluppato il motore Mercedes a partire dai primi anni ’90. Se tutte queste persone fossero rimaste tutte insieme, forse in quel periodo la storia sarebbe stata diversa. Ma non ho alcun tipo di rimpianto, perché è stata una bellissima esperienza”.
AP: Nel 1988 arriva la gioia del primo podio in Belgio, ma soprattutto un ottimo secondo posto ad Estoril, in Portogallo. Cosa ricorda di quel momento emozionante?
IC: Eh si è stata una forte emozione. Bisogna considerare che in quella gara partivamo sfavoriti in quanto il nostro era un motore aspirato, e doveva competere contro i turbo che possedevano ben 100 cavalli in più. Eppure, grazie anche allo splendido lavoro di Newey sulla monoposto, riuscii addirittura a superare Ayrton Senna con un bel sorpasso infondo al dritto. A quel punto, con il 2° posto conquistato, provai anche ad andare a caccia di Alain Prost, ma alla fine vinse lui ed io arrivai secondo. Detto ciò, considerando il tutto, fu un risultato formidabile”.
AP: Lo stesso Prost, nel 1990, le ruba una vittoria che sembrava sua fino ad un soffio dal traguardo. Cos’è accaduto esattamente in quel GP di Francia?
IC: In quella gara rimasi in testa per 46 giri, tutti trascorsi con la Ferrari di Prost alle calcagne. Al penultimo giro però, mentre affrontavo il curvone veloce “Signe” infondo al rettilineo del Mistral, mi si accende la spia dell’olio. In quella gara, purtroppo, va detto che anche il mio compagno di squadra Mauricio Gugelmin patì alcuni problemi al motore. Ad ogni modo, con la mia monoposto che andava si e no, Prost ebbe la grande opportunità di superarmi andando a vincere, e così accadde. Nonostante le difficoltà tagliai comunque il traguardo al secondo posto, davanti alla McLaren-Honda di Ayrton, che all’epoca era la macchina da battere ed andava molto forte”.
AP: Tre podi conquistati con la March e tanti altri buoni risultati. Con questo curriculum arriva la chiamata della Ferrari nel 1992. Al di là della sfortuna e dei tanti ritiri per inaffidabilità del mezzo, che effetto le ha fatto approdare a Maranello? E come arrivò in Ferrari?
IC: “Prima di arrivare in Ferrari avevo sempre lavorato con team inglesi, quindi quando arrivai a Maranello non mi sembrava vero di poter parlare in italiano -sorride Capelli- ma questo è solo folklore. L’accordo con la Ferrari nacque in modo piuttosto rocambolesco. Avevo firmato infatti un contratto con la Scuderia Italia, ma lo stesso team passò dai motori Judd a quelli Ferrari proprio nel 1992. A Maranello volevano un pilota italiano su una monoposto italiana, ed in quel momento pensarono a me. Un giorno infatti mi chiamò l’ingegner Lombardi, che era a capo della Gestione Sportiva della Rossa. In poco tempo il contratto firmato con la Scuderia Italia venne ceduto alla Ferrari, e con questo realizzai il sogno di approdare in Ferrari. La F92 nacque con buoni propositi, ma purtroppo tradì le nostre aspettative…un grande peccato”.
AP: Nella sua carriera si è affrontato con tanti compagni di squadra. Secondo lei, chi è stato il più tosto?
IC: “Tra tutti posso dire senz’altro Rubens Barrichello nel periodo in Jordan nel 1993. Li ho sofferto un po’, non solo per le sue qualità, ma anche perché in quell’anno ci furono parecchi cambi regolamentari. Andava molto forte. Era un giovane rampante con l’etichetta della promessa della Formula 1, e mi ha messo un po’ alle corde. In qualifica tutto sommato eravamo molto vicini come tempi, però avevo capito che era uno molto tosto”.
AP: Negli anni in cui lei correva c’erano davvero molti piloti italiani in pista. Chi apprezzava di più come uomo e come pilota?
IC: “Ho avuto senz’altro un rapporto molto particolare con Michele Alboreto. Lui era il capostipite dei piloti italiani che avevano fatto tanta gavetta per entrare in Formula 1, e poi aveva anche corso per ben cinque anni in Ferrari quando c’era ancora il Commendatore (Enzo Ferrari), con il quale andava anche d’accordo. Per me è stato un punto di riferimento come pilota, ma era allo stesso tempo una bella persona. Poi lui era milanese come me, per cui ogni tanto capitava anche di condividere la nostra territorialità. In ogni caso è vero, c’erano molti piloti italiani, tutti molto bravi e veloci. A parte Michele, credo che chi ha avuto davvero modo di mettersi in mostra e di correre con monoposto competitive è stato sicuramente Riccardo Patrese. Non ha mai fatto sconti a nessuno, sia dentro che fuori dall’auto. Davvero molto talentuoso e tosto”.
AP: Il GP di Francia del 1990 è stato il momento più alto della sua esperienza in F1. Quale momento, invece, ricorda con più dispiacere?
IC: “Chiaramente tutte quelle sconfitte maturate a causa di ritiri, e quindi tutte quelle volte in cui non sono riuscito a vedere la bandiera a scacchi. Quella era una Formula 1 in cui ti poteva accadere di tutto, e non era detta l’ultima parola fino all’ultimo giro. Tante volte sono stato fermato da problemi tecnici, ed in vari casi avrei potuto raggiungere altri risultati positivi che purtroppo non si sono concretizzati. Se devo riconoscere un punto dolente è senza dubbio questo”.
AP: Ricollegandoci proprio al discorso dell’affidabilità, nota delle differenze sostanziali tra le vetture di ieri e di oggi? E tra i piloti?
IC: “Certamente! Una volta era tutto gestito dal pilota. Frizione, gomme, freni, cambio, eccetera. Quando ad esempio cominciavano a mancare le marce, e di conseguenza si andava a rovinare il rapporto, a quel punto bisognava per forza saltare la marcia. Ai piloti dei miei anni era infatti richiesta non solo la capacità di essere veloci, ma anche di saper essere “affidabili” nella guida della propria vettura. Oggi invece il discorso è completamente diverso, ed è tutto banalmente connesso all’elettronica. Prendendo sempre l’esempio di un guasto al cambio, che è quello più eclatante, oggi i casi sono due: o funziona o esplode. Non c’è una via di mezzo, e questo da l’idea di come invece si viveva una Formula 1 nel passato. Per quanto riguarda i piloti, oggi sono indubbiamente più favoriti. Ancor prima di entrare in pista conoscono già tutte le informazioni necessarie, mentre negli anni precedenti era tutto da scoprire direttamente sul posto. Quando mi sono presentato per la prima volta a Brands Hatch, per esempio, a momenti non sapevo nemmeno in che senso girava la pista. E poi la grande differenza si vede soprattutto nei roockie, ovvero i giovani piloti debuttanti. Diversamente da chi affrontava una gara d’esordio nella mia “epoca”, oggi i debuttanti scendono in pista sapendo già tutti i segreti del circuito. Perché? Grazie al simulatore, con il quale si allenano e percorrono 6000 o 7000 km, il che vuol dire crearsi non tanto la velocità, perché quella si ottiene nelle categorie minori, ma più che altro dei veri e propri meccanismi”.
AP: Tralasciando un attimo il brivido della velocità vissuta sulla propria pelle, lei commenta la Formula in Rai dal 1998, sempre in compagnia del collega Gianfranco Mazzoni. Com’è nata quest’esperienza che la vede ancora in cabina di commento?
IC: “Prima ancora di iniziare in Rai mi fa piacere ricordare la breve esperienza con Tele+ nel 1997. Quella è stata una vera e propria gavetta molto importante, perché tra prove libere, qualifiche, warm up e gara, davamo spazio a tutto il weekend di gara con quasi 12 ore di diretta. Si è trattato di un ottimo allenamento, utile per svezzarmi sul campo. Al termine di quell’anno sono stato infine contattato dalla Rai. All’epoca il commento tecnico era affidato a René Arnoux, il quale era sempre a fianco di Gianfranco. In Rai si erano resi conto che un ex pilota francese, che parlava comunque italiano, andava incontro a dei limiti. Non solo per l’accento, ma anche e soprattutto per il proprio vocabolario, che da straniero non era ovviamente così ricco come quello di una persona che parla l’italiano come lingua madre. Per cui, ringraziando Tele+ per l’opportunità concessa, ho accettato l’offerta della Rai dove ancora oggi commento..sempre che -chiudendo con un battuta- mi rinnovino il contratto anche per l’anno prossimo”!
AP: Nell’ultimo periodo la Rai ha dovuto fare i conti con la suddivisione delle esclusive con Sky. Lei spera in un ritorno dell’esclusiva sulla tv di Stato?
IC: “E’ una speranza non solo mia, ma credo anche di tante persone. La Formula 1 è uno sport che è sempre stato raccontato, anche più di altri sport seguiti dalla Rai, e negli ultimi anni abbiamo assistito ad una crescita notevole di qualità e di presenza. Quindi la speranza c’è sempre”.
AP: Da commentatore, c’è una gara o un momento che conserva con piacere?
IC: “Un momento esatto no, piuttosto è meglio parlare di periodo. Mi riferisco in particolare ai mondiali vinti da Schumacher, che ricordo con grande tenerezza. Prima di tutto perché portava al trionfo una Ferrari, e questo ovviamente trasmetteva un emozione ed un entusiasmo più che comprensibile. In secondo luogo perché a vincere era lui. Inizialmente tra me e Michael c’era un rapporto un po’ conflittuale. Con gli anni però si sono stemperate le tensioni, e questo ha reso possibile la nascita di un’amicizia vera, concreta e sincera, pur con i dovuti paletti. Ad ogni modo quelle erano occasioni che mi davano prova della grande intelligenza di quella persona”.
AP: In chiave futura, secondo lei è possibile rivedere a breve in pilota italiano in Formula 1?
IC: “Lo speriamo tutti, anche perché ciò sarebbe trainante per tutto il resto. Per arrivare in Formula 1 oggi è molto complicato, perché un pilota deve investire tante di quei soldi che ormai non si giustificano più”.
AP: Prima di ringraziarla chiudiamo con un’ultima domanda rivolta al futuro. Per il rinnovo del Gran Premio d’Italia a Monza lei, in qualità di Presidente dell’ACI di Milano, ha espresso un parere positivo sull’argomento, confermando di essere decisamente a buon punto nella trattativa con Ecclestone. Ma tornando alla pista, se la sente di fare un pronostico sul campione del mondo 2016?
IC: “Da italiano e da tifoso Ferrari oserei dire Sebastian Vettel. Sempre per celebrare il nostro paese nella Formula 1 non dimentico affatto la Toro Rosso. E’ una squadra di casa nostra che sta facendo benissimo, con due piloti che hanno dimostrato di essere veramente bravi. Secondo me anche il team di Faenza potrebbe essere una sorpresa per il 2016″.