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    Lo Specialone Natalizio – Ferrari: i gentiluomini del volante, i cavalieri del rischio, i piloti

    Laura Di NicolaBy Laura Di Nicola3 Gennaio 2016
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    In principio furono gentiluomini al volante: rampolli di buona famiglia, come il conte Giannino Marzotto, consumati viveurs che avevano eletto l’automobile – fuoriserie, velocissima, lussuosa – come espressione massima del proprio status e della propria personalità; senza perdere aplomb e buon gusto, i gentiluomini al volante scelsero di contemplare la propria effige riflessa nella lucente carrozzeria di una vettura da corsa invece che in uno specchio da toletta. I gentiluomini al volante furono dannunziani amanti della competizione, ma non piloti: quelli erano gentiluomini del volante.

    Una fitta lista di eroi a quattro ruote diedero un contributo alla fondazione della Formula Uno alla pari di scuderie come Ferrari, Mercedes, Auto Union, Vanwall, dando origine alla leggenda, che è viva ancora oggi, alimentandola con le loro imprese e, molto spesso, con le loro morti in azione. Essi furono gentiluomini non solo perché incarnarono un’epoca in cui il prestigio e la fama che derivavano dall’essere piloti di automobili da corsa erano inscindibili dall’eleganza, un’epoca in cui la ricchezza sapeva ancora distinguere ciò che è bello da ciò che è banalmente costoso, ma anche perché furono, soprattutto l’uno con l’altro, gentiluomini nel comportamento. In pista si lottava, ma con cavalleresca schiettezza; il rispetto reciproco era un’abitudine e l’amicizia era vera e trasversale. Si mangiava polvere e rischio, ci si sporcava le mani. Alberto Ascari fu uno di questi principi e fu colui che regalò il primo importante mattone all’edificio di gloria della Scuderia Ferrari, fregiandosi del primo, doppio, alloro iridato della storia. Si diceva che il grande Fangio, le battaglie con il quale animarono i primi, ruggenti anni del campionato di Formula Uno, quando prendeva parte a una gara in cui era schierato anche Ascari, partisse con la consapevolezza che, senza qualche accidente esterno, sarebbe arrivato al massimo secondo. Leggendario come pochi, Ascari fu il primo italiano campione del mondo. Con la Scuderia Ferrari. L’unico.

    I cavalieri del rischio, quei piloti simbolo di un’epoca irripetibile in cui il richiamo della Formula Uno era sul serio mondiale, animarono un lungo periodo in cui la sperimentazione tecnologica e la sapienza meccanica artigianale andavano a braccetto, mentre la sicurezza era un blando spauracchio. Le gare erano ancora epiche e la Formula Uno era diventata una vetrina universale di potenza e velocità ammirata da folle di spettatori. Vennero i Regazzoni, i Reutemann, i Tambay. Venne l’assoluto Lauda, venne lo sfortunato Bandini. Vennero, soprattutto, Pironi e Villeneuve. I cavalieri del rischio domavano destrieri in pista e vivevano di battaglie anche fuori; cavalcarono gli anni degli eccessi e pagarono un prezzo spesso troppo alto ma, quando se ne andarono, lasciarono ricordi indelebili, oltre che lacrime vere.

    E così, anche quando divennero semplicemente piloti – professionisti, atleti, sviluppatori – la Ferrari restò sempre La Ferrari. Anche quando l’anno dell’ultimo titolo, quel 1979, divenne esso stesso un avversario contro cui persero fior di piloti: il leone Mansell, il professore Prost e soprattutto lui, Michele Alboreto, italiano. Sarebbe stato il primo dopo Ascari ma il Nume delle corse decise altrimenti. Anche quando ad Alesi non bastavano l’entusiasmo, la rabbia e l’amore per costruire risultati, ma fu appagato di quegli anni tribolati come se avesse inanellato un milione di trionfi e non soltanto uno. Perché ad alcuni, quando si vestono di quella tuta, il rosso passa sottopelle, fino nell’anima. Successe perfino a lui, a quel tedesco al contempo algidamente perfetto e improvvisamente fallibile, proprio come una bella macchina da corsa; a lui, che arrivò già grandissimo ma che solo varcando i cancelli del Cavallino poté raccogliere la sfida di diventare una leggenda.

    I piloti passano, la Ferrari resta: mai niente fu più vero. Ci sono stati momenti di crisi – tecniche, politiche e finanziarie – eventi drammatici e numerosi avvicendamenti, ma la Ferrari non ha mai saltato una stagione e ha vissuto ogni gara come se fosse in prima fila, anche quando i risultati sportivi la relegavano a metà – se non al fondo – dello schieramento. Enzo Ferrari creò la Ferrari e la Ferrari si prese lui e tutta la sua vita ma restituendo, a lui e ai suoi portacolori, l’immortalità e l’immanenza.

    Buon anno, cari amici. Grazie!

    Buon anno, Scuderia Ferrari. Ad maiora!

    Buon anno, Michael. Ti aspettiamo!

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