Pare incredibile, ma è proprio così: trenta anni fa, il 15 maggio 1986, Elio de Angelis spirava all’ospedale di Marsiglia in seguito a un tremendo incidente occorso al pilota romano durante una sessione di test privati al Paul Ricard.
Il giorno prima Elio stava spingendo al massimo, cercando di capire perché mai la sua macchina, la Brabham BT55, non stesse per niente rispettando le attese della vigilia. Eppure la “Sogliola”, così chiamata perché obbligava il pilota a correre praticamente da sdraiato tanto era bassa, prometteva bene: il progettista rispondeva al nome di Gordon Murray, già autore delle Brabham iridate di Piquet, il motore era il potente BMW Turbo, come piloti Ecclestone aveva contattato due italiani niente male: oltre a de Angelis era stato infatti ingaggiato il cavallo di ritorno Riccardo Patrese, già pilota per la scuderia inglese nel biennio 1982-1983.
Ma bastarono poche gare per capire che le aspettative riposte erano semplicemente troppo alte per poter essere raggiunte: la monoposto, oltre a non essere competitiva, non era minimamente affidabile, tanto che Elio, dopo essere giunto all’ottavo posto nel primo Gran Premio della stagione, in Brasile, nelle successive tre gare non vide più la bandiera a schacchi.
Poco meglio era andata a Patrese, che a Imola, terzo appuntamento iridato, riuscì a conquistare un punto grazie al sesto posto, sebbene avesse dovuto finire la gara anzitempo per mancanza di benzina nel serbatoio.
Poi venne quel maledetto 14 maggio 1986: l’alettone posteriore che si stacca, l’urto violento contro le barriere, la Brabham che prende fuoco, i soccorsi troppo tardivi, l’arrivo all’ospedale di Marsiglia in condizioni critiche, quasi disperate, e infine la morte, il giorno seguente.
La tragedia turbò molto l’ambiente della Formula 1: subito dopo l’incidente non mancarono proteste e commenti negativi nei confronti della FIA e del suo operato, e addirittura venne paventata la minaccia di uno sciopero collettivo dei piloti fino a quando le cose non fossero stare radicalmente cambiate.
Come altri martiri del motosport, la morte di Elio servì per aumentare le norme riguardanti la sicurezza e la loro efficienza ed efficacia, ma ormai nulla poteva riportare indietro il pilota romano, all’epoca appena 28enne, figlio di una famiglia agiata che l’aveva aiutato a entrare nel mondo delle corse.
Ma Elio non fu mai quello che si può definire un “pay-driver”: in pista era spietatamente concreto e veloce, tanto che persino due piloti del calibro di Nigel Mansell e Ayrton Senna, beniamini delle folle oltre che grandi protagonisti dell’epoca, non ebbero mai vita facile contro di lui.
L’esordio di de Angelis avvenne nel 1979, a neanche ventun’anni compiuti, con la Shadow del misterioso Don Nichols, ex-agente della CIA. Per la scuderia americana non è periodo facile: l’anno prima aveva perso tecnici di valore quali Alan Rees, Tony Southgate e l’ex-pilota Jackie Oliver, ed era ormai alle battute conclusive della sua militanza in Formula 1, iniziata nel 1973. Ciononostante, nell’ultimo Gran Premio della stagione, a Watkins Glen, Elio riuscì a conquistare un prezioso quanto inaspettato quarto posto, ottenendo i suoi primi tre punti iridati e al tempo stesso gli ultimi per il suo team.
Questa eccellente prestazione, unita ad altre comunque ottime vista la scarsa competitività della vettura portata in pista dalla Shadow, gli valse il prestigioso passaggio al team Lotus per il 1980.
Con la Lotus rimarrà fino al 1985 incluso, collezionando due vittorie (il GP d’Austria 1982, vinto in volata contro la Williams di Keke Rosberg, e il GP di San Marino 1985, successo che gli consentì anche di guadagnare il primato nella classifica Piloti per qualche tempo), oltre a vari piazzamenti nei primi sei e ad un eccezionale terzo posto nel Campionato Piloti 1984, dietro solo ai due alfieri dell’imprendibile McLaren TAG–Porsche, Lauda e Prost, piazzamente ottenuto grazie ai suoi34 punti.
Poi, come detto, il passaggio alla Brabham nel 1986, un trasferimento praticamente obbligato, dovuto alla sempre maggiore importanza che il suo nuovo compagno, il giovane ma già velocissimo Ayrton Senna da Silva, aveva saputo accattivarsi in seno al team.
Infine, triste, la morte, che decise di portarsi via quel pilota così talentuoso, che aveva già dato tanto alla Formula 1 ma non tutto, e che, senza ombra di dubbio alcuna, sarebbe stato grande protagonista per molti altri anni a seguire.