“Salut Gilles”, così recita la scritta adiacente alla linea del traguardo del circuito che sorge sull’isola di Notre-Dame, bagnata dal fiume San Lorenzo, a Montreal. Con questo saluto, così semplice, il Canada omaggia da anni la memoria del suo campione più grande, Gilles Joseph Henri Villeneuve, per tutti Gilles.
Senza nulla togliere a suo figlio Jacques, campione del Mondo di Formula 1 nel 1997 oltre che vincitore della 500 Miglia di Indianapolis 1995, Gilles ha avuto semplicemente qualcosa in più: la capacità di aver fatto emozionare milioni di appassionati, dando sempre il cento per cento, anche a costo di rotture meccaniche o incidenti spettacolari.
I numeri del piccolo canadese non sono poi così strabilianti: sei sono i Gran Premi vinti. Non un numero esiguo, certo, tuttavia neanche lontanamente paragonabile alle 91 vittorie di Schumacher, le 51 di Prost, le oltre quaranta di Senna, Hamilton e Vettel, e così via.
L’ingiustizia dei freddi numeri, delle statistiche sterili, che mai come in questo caso non possono trasmettere il calore e la passione che Gilles sapeva scatenare nei cuori di chi l’ha tifato e amato.
Sei vittorie, dicevamo, di cui la prima ottenuta propria a casa sua, a Montreal, sul circuito sorto sull’isola di Notre-Dame, tra le acque del San Lorenzo.
L’anno è il 1978, un anno difficile per Gilles, alla prima stagione da titolare alla Ferrari, come seconda guida di Carlos Reutemann, il “Gaucho Triste”. La macchina, la Ferrari 312T3, non sarebbe lenta, ma contro le eleganti Lotus 79, forse le vetture più belle che abbiano mai gareggiato in Formula 1, c’è poco da fare per chiunque. Tuttavia Reutemann, durante l’anno, è riuscito a vincere quattro gare, issandosi al terzo posto nella classifica Piloti.
Discorso diverso per il suo compagno di scuderia: causa inaffidabilità (e qualche errore di troppo), Gilles ha ottenuto solo otto punti in quindici gare, ma le sue prestazioni durante l’anno sono migliorate costantemente, tantoché Enzo Ferrari, che ormai stravede per lui, lo conferma per l’anno a seguire.
Ma a Gilles la conferma non può bastare: ha dimostrato di poter lottare per la vittoria, ma non l’ha ancora ottenuta, e ormai la stagione è agli sgoccioli.
Manca un solo appuntamento, in Canada, sul nuovo tracciato di Montreal, al debutto nel Circus iridato.
E qui entra in gioco l’altro protagonista di questa storia, l’antagonista di Gilles: Jean-Pierre Jarier. Per Jean-Pierre il 1978 è un anno da dimenticare: a inizio anno, con la modesta ATS, non era mai riuscito a emergere, anzi: a Monaco, quinta gara della stagione, manca la qualificazione per la gara e il suo posto in seno al team tedesco salta. Da lì il nulla, eccezion fatta per il GP di Germania, ma è un misero fuoco di paglia, che si conclude con una seconda non qualificazione, sempre a borso della ATS.
Per Jarier sembra arrivato il momento di dover chiudere con la Formula 1, ma il terribile week-end del Gran Premio d’Italia, culminato con la morte dell’asso svedese Ronnie Peterson, gli concede un’altra chance, particolarmente ghiotta: guidare nientemeno che la Lotus 79 negli ultimi due appuntamenti stagionali.
Jarier debutta col nuovo team a Watkins Glen, nel GP degli Stati Uniti-Est: dopo un buon ottavo posto in griglia, è ottimo terzo in gara, ma la gioia del podio, dello champagne, non si concretizza, a causa della peggior beffa che possa colpire un pilota: rimanere a secco di benzina.
Jarier viene classificato quindicesimo, col palliativo del giro veloce. Si arriva così in Canada, per l’ultima gara della stagione. Nelle qualifiche Jarier centra una magnifica quanto sudata Pole Position, battendo il sudafricano Scheckter (prossimo ferrarista) per appena undici millesimi di secondo. Villeneuve è terzo, a poco più di due decimi dal miglior tempo.
Allo spegnimento dei semafori Jarier è autore di un buono scatto, che gli permette di difendere il primato, mentre Villeneuve perde una posizione, e sul traguardo transita quarto.
Ma Gilles non si scoraggia (non sarebbe da lui), e subito tenta la rimonta, ma passare la Wolf di Scheckter e la Williams di Alan Jones non è facile, e così al piccolo canadese ci vogliono venticinque giri per portarsi alla piazza d’onore, ma Jarier è lontano, irraggiungibile.
A metà corsa le speranze di Gilles di vincere di fronte ai suoi connazionali sembrano già essere nulle: Jarier là davanti va fortissimo, confortato dalla dolce Lotus 79, che letteralmente vola, come ha fatto per tutta la stagione.
Sembra fatta, dopo anni e anni di sfortune, di vetture poco competitive, di occasioni perse per colpe non sue, Jean-Pierre Jarier è ormai in procinto di vincere, finalmente, il suo Gran Premio. Ma Jarier non ha diritto a questa gioia, o così almeno pensa il suo Ford-Cosworth, che lo costringe a fermarsi ai box nel corso del 49° giro, per guai alla pressione dell’olio.
Una beffa peggiore delle precedenti, per Jarier, che ancora una volta vede tutti i suoi sforzi andare in fumo e, di nuovo, non per colpa sua.
Uscito di scena Jarier il testimone passa proprio a Gilles Villeneuve, per la gioia delle decine di migliaia di persone che si sono riversate sugli spalti del circuito per sostenerlo.
Ma mancano ancora venticinque giri, venticinque lunghi giri in cui Villeneuve fa la conoscenza di due perfide emozioni traditrici, ovvero la paura e l’ansia: c’è un rumore strano di sottofondo, Gilles lo sente bene, e ciò non lo fa stare tranquillo: sta già guidando pulito, senza sforzare inutilmente la monoposto, cos’altro potrebbe fare di più?
Sono venticinque lunghi, interminabili, giri, per Gilles, che prega che la vettura non si rompa… non può succede… non lì!
E alla fine non succede; qualcuno ha ascoltato le sue preghiere, le sue ansie, e ha deciso che il piccolo canadese, per quel 1978, di sfortuna ne ha già avuta abbastanza: la Ferrari 312T3 non si ferma e Gilles sperimenta la grandissima gioia di essere il primo a passare sotto la bandiera a scacchi: Gilles ha vinto il Gran Premio del Canada 1978.
Il seguito è una grande festa di paese, tutta in onore dell’idolo locale, che riceve il trofeo da Pierre Trudeau, il Primo Ministro canadese, a cui ammette che, se Jarier non avesse rotto, lui non avrebbe mai vinto.
Una bella dimostrazione di sincerità e onestà, ma che non stupisce più di tanto. Perché in fondo si parla di Gilles Joseph Henri Villeneuve, per tutti Gilles. “Salut Gilles”