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    Monza F1 2001 e la quella strana atmosfera per le Torri Gemelle

    Mattia ScaliBy Mattia Scali31 Agosto 2016
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    michaelschumacher_ferrari_monza_20011
    C’è un’atmosfera greve sulla griglia di partenza, a pochi attimi dal via di un Gran Premio d’Italia che, per la verità, in pochi vorrebbero correre. Sono successe troppe tragedie per poter pensare solo a premere l’acceleratore un pelo di più degli altri.

    È passata meno di una settimana da quando il mondo è cambiato: l’11 settembre, mentre a Monza cominciavano ad arrivare i primi materiali, i box venivano montati e piloti giungevano al paddock, il resto del mondo si attaccava al televisore o alla radio, venendo a conoscenza della più nefasta delle notizie: a New York due aerei dirottati da terroristi affiliati ad al-Qaida si sono andati a schiantare contro le celebri Twin Towers, le Torri Gemelle, causando oltre 3000 morti.

    Le strazianti immagini che provengono dalla Grande Mela fanno rapidamente il giro dell’intero globo, turbando gli animi di tutto il Mondo Occidentale, che scopre un’amara verità: gli illusi che avevano profetizzato un duraturo periodo di pace e di benessere in seguito alla fine della Guerra Fredda si erano clamorosamente sbagliati, perché una nuova minaccia era già all’orizzonte; quella del terrorismo e del fondamentalismo islamico, che si prefiggeva e si prefigge tutt’oggi di disintegrare quello che è il modello di vita occidentale.
    Basterebbe solo questo a turbare profondamente l’animo umano, ma per i ventidue piloti che si apprestano a sfidarsi sul filo dei 300 chilometri orari e a dare spettacolo lì a Monza, è in arrivo un’altra notizia altrettanto scioccante: il 15 settembre, a poche ore dal via della gara, giunge nel paddock la voce di un grave incidente al Lausitzring, in Germania, durante una prova del Campionato Cart, in cui è rimasto coinvolto il pilota italiano Alessandro Zanardi.
    Le voci ben presto diventano realtà, accompagnate fedelmente da immagini terribili: la vettura di Alex che si intraversa lungo la pista, l’impatto con la monoposto di Tagliani all’altezza del muso, la Reynard del pilota italiano che si spezza in due, quasi fosse un grissino.
    Il pilota, sebbene soccorso tempestivamente, appare in condizioni disperate, tanto da ricevere l’estrema unzione dal cappellano della serie automobilistica, ma alla fine la forza di volontà di Alex prevale, e con essa la bravura dei chirurghi che lo operano e assistono: Alex uscirà vivo dall’ospedale, anche se in carrozzina, con le gambe amputate dal ginocchio in giù.
    Intanto, al di qua delle Alpi, i piloti di Formula 1 chiedono a gran voce di non correre, ma Bernie Ecclestone fa muro, costringendoli a tornare sui loro passi.

    E così, poco prima delle quattordici di domenica 16 settembre, l’aria è greve mentre un assordante silenzio ricopre griglia e platee colme di pubblico solitamente festante, ma non per quel minuto, dedicato alle 3000 vittime dell’odio scellerato e al collega Zanardi, il quale, sedato dai farmaci, lotta tra la vita e la morte.

    Sulla griglia di partenza sono molte le scuderie che hanno deciso di dedicare una parte delle loro vetture al ricordo e al cordoglio, dipingendo una bandiera americana o un simbolo di lutto, ma è la Ferrari che apporta la modifica più importante sulla livrea: il musetto viene listato a lutto, mentre tutta la carrozzeria viene ripulita dai loghi degli sponsor, e lo stesso procedimento viene compiuto sulle tute di piloti e meccanici.

    Poi si spengono le luci rossi, la gara prende regolarmente il via, e per poco più di un’ora ci si dimentica di tutte le cose brutte che sono successe al di fuori di quell’Autodromo.
    La corsa diventa presto un duello tra le Ferrari e le Williams, e soprattutto tra le seconde guide dei due team: Rubens Barrichello e Juan Pablo Montoya, che danno vita ad un appassionante duello in salsa latino americana, capaci di relegare fin dalle battute iniziali i fratelli Schumacher alla lotta per il bronzo.

    Per tutto il resto del plotone c’è poco da fare, e il quinto posto diventa da subito l’obiettivo massimo, McLaren comprese: le vetture di Woking vivono un week-end letteralmente stregato, iniziato con l’annuncio, da parte di Mika Hakkinen, di volersi prendere un anno sabbatico dalla Formula 1, e conclusi anticipatamente per un doppio ritiro dopo appena diciannove giri, causati dai soliti problemi di affidabilità.
    Alla fine è proprio Montoya a passare per primo sotto la bandiera a scacchi, ottenendo il suo primo successo iridato, davanti a Barrichello e a Ralf Schumacher, che riesce a battere di pochi secondi il fratello Micheal, decisamente poco brillante per gli standard offerti in quell’anno trionfale.

    Il dopo gara è un triste ritorno alla realtà: da quando sono cadute le Torri Gemelle, quella mattina americana dell’11 settembre, il mondo non è più lo stesso.

    11 settembre 2016 barrichello F1 ferrari formula 1 hakkinen mclaren montoya schumacher williams zanardi
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    Mattia Scali

    Mattia Scali - Toscano. Appassionato di Formula 1 sin da infante. Sogno di raccontare la Formula 1 in mondovisione dalle elementari.

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