Il risveglio da Monza – si sa – è un po’ come il dopo-sbornia: si smaltisce in qualche giorno e lascia in bocca il sapore dolce del divertimento goduto e allo stesso tempo l’amaro delle cose che non sono andate bene, nella vita come nella gara. Il 15 settembre 2008 quelli che si svegliarono con l’amaro per non aver visto sul podio la Ferrari di Felipe Massa, almeno a una certa latitudine, furono molti di più di quelli che sentivano ancora il sapore dello zucchero lasciato dall’astro nascente Sebastian Vettel o che avevano gli occhi a forma di cuore per aver visto realizzarsi quello che passò alla storia come il podio più giovane di sempre. Ve lo assicuro, perché io c’ero, appollaiata su una sedia scomoda a battere al ritmo del grande cuore Ferrari per tutta la durata di quella gara zuppa, più che bagnata, ed era tutto un ma dov’è Massa, dov’è Hamilton, speriamo bene … Perché, se ci pensate bene, finire giù dal podio a Monza fu l’ennesima beffa di un campionato combattuto e pieno di episodi anomali: fra prime vittorie con record, crash-gates, esordi in notturna, sventure da rifornimenti, esplosioni di motori e un titolo piloti assegnato negli ultimi cinquecento metri della stagione, nel 2008 s’è visto veramente di tutto. E buona parte di questo tutto ai danni di Felipe Massa.
Massa rischiò di vincere quello che si potrebbe definire l’ultimo campionato romantico della Formula Uno attuale, prima che questo cieco Circus fosse affollato da fenomeni da via di fuga col sedile pagato, comparse sacrificabili, predestinati affamati, precoci divoratori di record, dominatori designati – per grazia del regolamento e volontà della FIA – e figli di Verstappen. Un campionato dove potevi incontrare ruota a ruota gente come Robert Kubica e Giancarlo Fisichella; dove l’aerodinamica aveva già fondato le prime colonie ma non aveva ancora dato inizio alla successiva, asfissiante invasione; un campionato con più pretendenti al titolo su macchine diverse e più scuderie capaci di mettersi in luce e vincere (perfino la piccola Toro Rosso e anche, ehm, la rientrante Renault …); un campionato che potesse essere appannaggio dell’uno o dell’altro e non l’ennesimo anello di una catena di più anni di dominio incontrastabile e incontrastato. Invece Massa quel campionato lo perse, circondato dalla stessa incontrovertibile fatalità di cui sono impregnati i film d’autore che vincono i festival, per quella serie di successivi eventi (occasioni non sfruttate, calamità in pit lane, fatalità in pista e accadimenti dubbi) che gli si ritorsero contro; questi, uniti anche all’obiettivo valore dei contendenti, prima fra tutti la McLaren, che emanava ancora l’olezzo non proprio di verbena e gelsomino dello scandalo – fotocopie dell’anno precedente e che riuscì, comunque, a far certificare da un titolo mondiale il talento del pupillo Lewis Hamilton.
Ma The winner takes it all, The loser standing small, quindi a Massa, che ha annunciato il ritiro a fine stagione 2016 in occasione dell’ultimo Gran Premio d’Italia, come ad altri illustri predecessori e successori, resterà solo l’alloro del “Se però …”. Sorte ben diversa aveva arriso all’altro ritirando di questo 2016, Jenson Button, affascinante e sornione signore delle piste che centrò il bersaglio nel 2009, ma questa è una storia di diffusori vietati, di scuderie vendute per un dollaro e di vecchi maghi della strategia, insomma: è un altro tipo di storia.
Nato nel Paese di Senna ma troppo giovane per essere divorato dalla sua ombra prima di riuscire a dimostrare qualcosa di suo, come accadde, invece, al conterraneo Barrichello, Felipe Massa deve alle sue doti velocistiche, al sostegno costante di una famiglia unita ma non invasiva e a una delle felici intuizioni di Peter Sauber l’approdo in Formula Uno. Dotato di una certa grazia naturale che generava simpatia sia nell’interlocutore diretto che nello spettatore televisivo, mai arrogante o fuori luogo, nemmeno quando stress e frustrazione avrebbero levato i freni a chiunque – i freni veri, quelli di meccanica, di forza, non ‘sto brake-by-wire per nativi digitali che si usa adesso – Felipe Massa ci mancherà anche e soprattutto per il garbo con cui ha attraversato i paddock della Formula Uno. Certamente gli è sempre mancata quella efficacia costante, quella continuità schiacchia-classifica che ti porta sempre a punti, sempre a podio o comunque sempre nelle prime posizioni, anche nelle stagioni migliori, quando ce lo ricordiamo indulgere a centro classifica per giri e giri, bloccato da questo o quello, ma è altrettanto certo che Felipe Massa ha lasciato un buon ricordo di sé, come essere umano e professionista, in qualunque scuderia abbia militato. Imprimatur con ceralacca dato perfino dall’emotivo pubblico di Monza, che lo acclama ogni volta come se avesse ancora la tuta rossa.
Già, la tuta rossa. La indossò con il rispetto estremo di chi sa distinguere le leggende vere dai semplici protagonisti e chi scrive è solo una formichina nell’etere che troppo poco sa per poter affermare se Felipe sia stato bistrattato da una Scuderia ingrata oppure sopravvalutato nonostante una serie di stagioni deludenti; fatto sta che, dopo essersi chiuso alle spalle le porte di Maranello, Massa si è saputo ritagliare il suo spazio anche in Williams, regalandosi un finale di carriera che non è stato tutto champagne e cotillons ma tutto sommato non avaro di soddisfazioni e podi (indimenticabili i due consecutivi a Monza nel 2014 e nel 2015). Alla Ferrari lo legano anche i ricordi terribili dell’incidente di Budapest, a proposito del quale viene da pensare che tutta la buona sorte destinata a Felipe e che, meschinamente, gli aveva voltato le spalle nel 2008 si fosse, invece, risparmiata per affiancarlo in quella unica, decisiva volta l’anno successivo, salvandogli un occhio, la carriera e – forse – la vita; lui si riprese, magari non con tutto lo smalto di un tempo, ma mantenendo inalterato il suo atteggiamento rispettoso e corretto da uomo squadra.
Con lo stesso spirito di correttezza e rispetto si accostò a Michael Schumacher, del quale condivise l’ultima stagione in Ferrari. Gli si sedette accanto non bramoso di batterlo o sostituirglisi, anche se più di una volta gli arrivò davanti, aiutandolo, peraltro, nell’infelice rincorsa all’ultimo titolo, che sarebbe stato l’ottavo, in quel famoso 2006; il più bel tributo, però, gliel’ha riservato dieci anni dopo, dichiarando di voler annunciare il ritiro a Monza perché proprio lì fece lo stesso l’indimenticabile campione tedesco. Onore, rispetto, gratitudine pur nella rivalità: riaffermando questi valori Felipe Massa ha dimostrato che la Formula Uno può essere ancora salvata. Sì, ma da quelli come lui.
Auguri, Felipe, per la tua prossima, nuova vita che sarà altro dalla Formula Uno. Che sia piena e non ti lasci rimpianti, come i risvegli dolceamari dopo Monza.