Il Gran Premio del Brasile è ormai alle porte, e proprio in questo appuntamento si potrebbero decidere in via definitiva le sorti di questo mondiale. Sarà Rosberg a prevalere? Oppure Hamilton, apparentemente più in forma del compagno nelle ultime apparizioni, sarà in grado di rimettere tutto in discussione per l’ultima gara di Abu Dhabi?
E’ difficile da dire o prevedere, ma quel che è certo è che il circus della Formula 1 farà tappa domenica ad Interlagos, storico tracciato situato a due passi dalla metropoli San Paolo. Su questo circuito, in modo particolare negli ultimi anni, è stata scritta la storia di questo sport. Proprio qui infatti, anche a causa di uno spostamento della gara verso gli appuntamenti conclusivi del campionato, Interlagos è stato il palcoscenico di tante gare thriller, vissute con il fiato sospeso fino alla bandiera a scacchi e parecchi piloti che, al termine della corsa, hanno avuto la grande gioia di laurearsi campioni del mondo.
In questo articolo però non parleremo di queste giornate (anzi, successivamente ne citeremo solo una), ma ci concentreremo sulle storie di alcuni piloti brasiliani. Brevi racconti di campioni “carioca”, capaci di far innamorare e sognare una nazione intera che, in occasioni dei gran premi di casa, trova la sua perfetta rappresentazione del tifo e del calore brasiliano nella “Torcida”. Siamo abituati a vedere le tifoserie nel calcio, ma in Brasile, dove il gioco più seguito al mondo è quasi una religione, anche un autodromo di Formula 1 riesce ad assumere le sembianze di uno stadio. Quando un pilota di casa sfreccia sotto le gradinate, l’entusiasmo del pubblico è talmente grande che il rumore dei motori riesce a fatica a sovrastare le grida degli appassionati.
Nel corso di tutta la storia della Formula 1 sono stati 30 i piloti che sono scesi in pista con i colori della bandiera brasiliana. Tra tutti questi beniamini sudamericani, “soltanto” in sei sono riusciti ad aggiudicarsi almeno una vittoria in carriera, e la metà di questi ha avuto anche l’onore di vincere un titolo mondiale. Altri tre piloti hanno invece ottenuto un podio ciascuno nella loro avventura nella massima serie (senza mai vincere), mentre un altro ancora è riuscito a registrare un giro veloce.
In ogni caso, a seguito dell’istituzione del campionato di Formula 1 nel 1950, il Brasile non dovette attendere molto tempo prima di assistere al debutto di un proprio connazionale. Anche se la sua avventura nella classe regina non lascerà il segno, Francisco Landi (soprannominato “Chico”) è conosciuto come il primo pilota brasiliano ad aver corso in Formula 1. Landi, che fece il suo ingresso in scena nel 1951, disputò soltanto 6 gare ufficiali, ma chiuse la sua brevissima esperienza conquistando un punto e mezzo. Anche se il bottino non è certo paragonabile a quello accumulato da altri grandi campioni, Landi verrà anche ricordato per esser stato il primo brasiliano a terminare una corsa in zona punti.
Anni ’70: l’inizio del periodo d’oro con Fittipaldi e Pace
Per tutti gli anni ’50 e ’60 il Brasile, pur vantando una buona schiera di piloti, non riesce a sfondare nel mondiale di Formula 1. La nazione che trova grandi soddisfazioni sul rettangolo verde del campo da calcio non trova il suo consueto sorriso nel mondo dei motori. Le cose però, almeno per quanto riguarda la Formula 1, cominciano a cambiare con l’avvento degli anni ’70. Così infatti accade nel 1970, quando a metà stagione la Lotus ingaggia un giovane pilota brasiliano di origini italiane: Emerson Fittipaldi.
“O Rato” (“Il topo”, così veniva soprannominato nell’ambiente per via della sua particolare dentatura) fa così il suo esordio in Formula 1, ma la sua prima stagione sarà costellata da sorrisi e pianti. In quell’anno la Lotus perde tragicamente Jochen Rindt, scomparso a Monza in seguito ad un gravissimo incidente, e l’intero team ne risente. La morte dell’austriaco getta timori e paure sul secondo pilota, John Miles, che decide di ritirarsi anzitempo dalla Formula 1. Pur essendo ancora un esordiente, Fittipaldi si fa coraggio, ed in occasione del Gran Premio degli Stati Uniti termina la gara davanti a tutti, diventando il primo pilota brasiliano a vincere in Formula 1.
Dopo un anno non proprio all’altezza nel 1971, Fittipaldi inizia la stagione 1972 come serio pretendente al titolo mondiale. Il brasiliano deve però vedersela con un altro osso duro come Jackie Stewart, con il quale nasce una delle più belle rivalità degli anni ’70. In ogni caso Fittipaldi riuscirà ad avere la meglio, e al termine della stagione entra ufficialmente nella storia come il primo pilota brasiliano ad aver vinto un mondiale di Formula 1. Il successo non si ripeterà nel 1973 (dove giunge comunque 2° dietro a Stewart), ma Fittipaldi entrerà comunque nella storia:
nell’anno in cui Interlagos ospita per la prima volta il Gran Premio del Brasile, “Emmo” (l’altro suo soprannome) diventa il primo brasiliano a vincere la gara di casa, entrando stabilmente nel cuore dei suoi connazionali. Su questo tracciato (che ritornerà fisso nel calendario di Formula 1 a partire dal 1990 dopo la parentesi di Jacarepaguà), troverà successivamente la propria gloria anche un altro promettente pilota “carioca”: Carlos Pace.
Dopo l’esordio nel 1972, Pace vinse il suo primo ed unico gran premio in carriera nel 1975, proprio in Brasile. Con la sua Brabham, il pilota brasiliano stupì tutti, andando a vincere una corsa che vedeva come favoriti altri piloti. La sua carriera, costellata da altri 5 podi, sembrava prendere il largo sul finire degli anni ’70, ma nel 1977, mentre rientrava dal Gran Premio del Sudafrica, l’aereo sul quale viaggiava precipitò nelle vicinanze di San Paolo. Per Pace non ci fu nulla da fare, ma la sua memoria è ancora viva nel cuore dei brasiliani. Il circuito di Interlagos infatti venne ribattezzato in “Josè Carlos Pace” nel 1985, proprio per ricordare la sua persona sul tracciato dove vinse il suo unico gran premio.
Tornando a Fittipaldi, il 1974 rappresenta l’anno della svolta. Dopo aver salutato la Lotus, è la McLaren ad ingaggiare il brasiliano, portando a termine una delle operazioni di mercato più azzeccate della storia del team di Woking. Al suo primo anno con il nuovo team, Fittipaldi (oltre a vincere per la seconda volta in Brasile) si laurea nuovamente campione del mondo. La difesa del titolo non troverà i risultati sperati nel 1975, quando giunse comunque secondo alle spalle della Ferrari di Niki Lauda.
I brasiliano si attendono la rivincita sull’austriaco nel 1976, ma proprio in quell’anno si consuma una delle più grandi delusioni di sempre. Fittipaldi infatti, convinto da una proposta ambiziosa del fratello Wilson (anch’egli pilota di F1 negli anni ’70, ma con risultati decisamente più scarsi rispetto ad Emerson), lascia la McLaren per lanciarsi in un progetto di pilota-costruttore. Nasce così il team Fittipaldi, con le monoposto alimentate da motori Ford-Cosworth. La vettura però (conosciuta anche come Copersucar-Fittipaldi e successivamente Skol Fittipaldi per ragioni di sponsor), si rivelerà un vero e proprio disastro. Emerson esce definitivamente di scena dalle zone nobili della classifica, non riuscendo mai più a vincere dal 1976 al 1980, anno in cui colse comunque un 3° posto prima di ritirarsi definitivamente dalla Formula 1.
Il nome di Fittipaldi tornò in Formula 1 soltanto negli anni ’90, grazie al nipote di Emerson: Christian Fittipaldi. Il brasiliano, pur sfiorando il podio in più occasioni al volante di Minardi e Footwork, non riuscì a lasciare il segno come invece fece Emerson prima di lui.
Mentre la carriera di Fittipaldi scivolava verso il declino di risultati, nel 1978 si presenta un altro pilota con passaporto brasiliano.
Anni ’80: prima Piquet e poi Senna, ma nessun rispetto
Terminata l’epoca felice degli anni ’70, soprattutto grazie ai successi di Fittipaldi, gli anni ’80 si aprono con un nuovo personaggio, tra i più irriverenti che la storia di questo sport ricordi: Nelson Piquet.
Noto per la testa calda e per la sua fama da tombeur de femme (epiche le sue interviste in italiano con Ezio Zermiani), Piquet esordì in F1 nel 1978, iniziando a farsi notare solo nel 1980. Al volante della Brabham coglie le sue prime vittorie, e sfiora la conquista del titolo dopo una lunga battaglia con la Williams di Alan Jones. Deciso a rifarsi subito, il brasiliano non mancò all’appuntamento con il titolo mondiale nel 1981, vincendo il campionato da protagonista indiscusso. L’anno seguente, nel 1982, Piquet iniziò a difendere il titolo conquistato con una vittoria memorabile a Jacarepaguà, dove svenne stremato sul podio. Successivamente però la FIA riscontrò alcune irregolarità tecniche sulla sua monoposto, squalificandolo dalla classifica di quella corsa. Da quel momento la sua stagione non prese mai il decollo, ma nel 1983 ci fu la grande occasione per invertire la tendenza negativa. Oltre a vincere nuovamente in Brasile (e stavolta legittimamente), il 1983 si concluse con il suo secondo sigillo mondiale, eguagliando il record di Fittipaldi (tra i piloti brasiliani) e diventando nuovo idolo dei tifosi di tutto il mondo. I due anni successivi alla Brabham non si rivelarono all’altezza, e così, nel 1986, Piquet ottenne il divorzio dal team di Ecclestone per approdare in Williams.
Ostacolato da una rivalità interna con il compagno di squadra Mansell, Piquet non riuscì mai ad imporsi come vero e proprio candidato per la vittoria del titolo, ma la stagione lo vide protagonista di un sorpasso ai limiti dell’incredibile. Sul circuito dell’Hungaroring (che proprio nel 1986 fece il suo esordio nel calendario di F1), Nelson riuscì a superare il rivale/connazionale Ayrton Senna all’esterno della prima curva (all’epoca da affrontare in discesa), facendolo in sbandata controllata. Piquet andò poi a vincere la corsa, ma quel sorpasso resta ancora uno dei più belli e complicati di sempre mai visti in questo sport. Talmente bello che Jackie Stewart commentò così il sorpasso:
“E’ stato come fare un looping (un giro della morte in gergo aeronautico) con un Boeing 747″.
Quella con Senna (di cui parleremo successivamente) fu una delle rivalità più sentite nell’intera carriera di Piquet. Tra i due c’era in gioco la popolarità a livello nazionale, condizionata anche dal fatto che Senna s’impose sin da subito come uno dei piloti più talentuosi e carismatici dell’intero circus. Tra i due non è mai corso buon sangue, e le battute al vetriolo di Piquet sulla persona e sulla vita privata di Senna furono la conferma di un dualismo molto teso.
Ad ogni modo, pur con le battute discutibili di Piquet su Senna (che purtroppo non cessarono anche dopo la morte di Ayrton), Nelson restò ai vertici della Formula 1 anche con la Williams. Per un curioso ed amaro scherzo del destino che accomuna i due piloti, Piquet rischiò seriamente la vita ad Imola nel 1987. Nel corso delle qualifiche la sua Williams uscì di pista alla curva del Tamburello, e nel violentissimo impatto il pilota perse conoscenza ed entrò in coma. La sua stagione (e probabilmente anche la sua carriera) sembrava finita anzitempo, ma grazie ad un recupero fisico straordinario, Piquet saltò solo due appuntamenti in calendario e ritornò in pista. La netta superiorità delle Williams ripropose la sfida tra i compagni di squadra Piquet e Mansell, ma questa volta il titolo finì nelle mani del brasiliano. Nelson, che ottenne il mondiale in Giappone, vinse anche a causa di un brutto incidente occorso al compagno di squadra proprio a Suzuka, e che tenne l’inglese lontano dalla pista. Piquet ottenne così la terza corona d’alloro della sua carriera, la quale si concluse nel 1990 dopo aver corso anche per Lotus e Benetton. Al momento del suo terzo mondiale, Piquet poteva vantare il maggior numero di titoli vinti da un pilota brasiliano.
Così come fu per Fittipaldi, anche il cognome di Nelson ritornò in Formula 1 anni più tardi. Nel 2007 infatti la Renault, campione del mondo in carica, decise di puntare su Nelson Piquet Jr. come seconda guida. I risultati del figlio d’arte non furono all’altezza di quelli del padre, anche se nel 2008 “Nelsinho” colse il suo unico podio in Formula 1, giungendo 2° ad Hockenheim. Il 2008 però fu anche l’anno che vide Piquet Jr. al centro di uno degli scandali più amari della Formula 1. In seguito ad un’inchiesta delle televisione brasiliana, e con la confessione dello stesso pilota, il team Renault venne ritenuto responsabile dell’incidente occorso al brasiliano durante il Gran Premio di Singapore. Successivamente infatti si scoprì che “l’incidente” fu ordinato al pilota direttamente da Flavio Briatore e Pat Symonds, i quali avevano calcolato il tutto per favorire la vittoria del compagno di squadra Alonso. La gara si concluse con la vittoria dello spagnolo, ma il tribunale sportivo radiò Briatore e squalificò per cinque anni Symonds. Il caso passò alla storia come “Crashgate”.
Anni ’80 e ’90: Ayrton Senna, il più amato
Mentre l’era di Piquet volgeva lentamente alla sua naturale conclusione, nello stesso momento iniziava ad imporsi colui che nel giro di qualche anno sarebbe diventato per sempre il pilota (e forse anche l’uomo sportivo) più amato da tutti i brasiliani: Ayrton Senna da Silva.
Anch’egli di origini italiane come Fittipaldi, Senna s’impose sin dalle categorie minori per il suo enorme talento, ma anche per la sua perseveranza e per la sua cura quasi maniacale del mezzo. Il suo esordio in F1 avvenne nel 1984 al volante della Toleman. Pur disponendo di un mezzo poco competitivo, Senna riuscì a conquistare un clamoroso quanto incredibile 2° posto a Monaco, peraltro sotto un vero e proprio acquazzone. Suscitando una grandissima impressione anche tra i top team, Senna passò alla Lotus l’anno successivo, nel 1985, ottenendo subito la prima vittoria in Portogallo. Velocissimo sul giro secco in qualifica, Senna conquistò ben 65 pole position in carriera, stabilendo un record assoluto che verrà battuto soltanto nel 2005 da Michael Schumacher. Dopo gli anni di “apprendistato” in un top team come la Lotus, nel 1988 il brasiliano viene chiamato dalla McLaren. Qui trova come compagno di squadra Alain Prost, con il quale darà vita alla rivalità più bella e travolgente che la storia della F1 ricordi. Tra ripetuti colpi proibiti dentro e fuori pista, polemiche e gare memorabili, Senna riuscirà nel giro di quattro stagioni ad eguagliare il record di mondiali vinti da un pilota brasiliano. Con i primi piazzamenti ottenuti nel 1988, 1990 e 1991, Ayrton entra definitivamente nel cuore dei brasiliani, proprio quel popolo che per lui non fa altro che tributargli sempre un tifo caldissimo. Memorabile è la vittoria di Senna ad Interlagos nel 1991, dove riesce a tagliare per primo il traguardo sotto la pioggia nonostante un grave guasto al cambio (resta bloccato in 6° marcia nei giri finali) ed un taglio al braccio che lo costringe ad uno sforzo fisico immenso. In uno dei primi “team radio” trasmessi in diretta, Senna, dopo il traguardo, si lascia andare in un urlo liberatorio che ancora oggi, a sentirlo dopo anni di distanza, mette i brividi.
Interlagos vedrà ancora una volta il proprio beniamino sul gradino più alto del podio, stavolta nel 1993, anno in cui il brasiliano decide di dire “basta” al matrimonio con la McLaren. L’obiettivo di Senna è il quarto titolo mondiale, e per riuscirsi firma un contratto per il 1994 con il team più competitivo dell’epoca: la Williams. Dopo due gare deludenti, Senna è deciso a rifarsi ad Imola, dove però troverà tragicamente la morta alla curva del Tamburello il 1° maggio. Ancora oggi il ricordo di Ayrton resta vivo nella memoria di migliaia di appassionati e tifosi sparsi per il mondo. Un ricordo, il suo, alimentato negli ultimi anni grazie al nipote Bruno Senna, che nel 2010 fece tornare in pista il cognome dello zio suscitando un strano effetto nostalgico, quello che in Brasile viene chiamato “Saudade”. In ogni caso il nipote non lasciò mai il segno, anche se nel Gran Premio del Belgio del 2012, proprio al volante della Williams, fece registrare il giro più veloce della corsa.
Barrichello e Massa: i brasiliani sotto il segno della Ferrari
Il sogno di vedere Senna al volante della Ferrari non si concretizzò solo per un destino beffardo. Ad ogni modo altri due brasiliani (entrambi di origini italiane) riuscirono invece a coronare il loro sogno di poter correre con la scuderia di Maranello. Il primo fu Rubens Barrichello, che sbarcò in Emilia nel 2000 dopo aver passato il decennio precedente al volante di Jordan e Stewart. Grande amico di Senna e dotato di un talento molto tosto, “Rubinho” approdò nel non facile ruolo di compagno di squadra di Michael Schumacher. La convivenza tra i due non fu sempre facile (vedi Gran Premio d’Austria del 2002), ma la coppia di piloti contribuì a stabilire il periodo più ricco di successi della storia della Ferrari. Grazie alle numerose doppiette ed ai piazzamenti a punti di Barrichello, la Ferrari vinse ben 5 campionati costruttori consecutivi, ed altri 5 con i titoli piloti ottenuti da Schumacher. Rubens rimase in Ferrari fino al 2005, vincendo ben 10 gare, la prima delle quali passò alla storia come una delle più sensazionali mai viste. Ad Hockenheim, nel 2000, il brasiliano è costretto a partire dalla 17° posizione della griglia. Il ritiro immediato di Schumacher in gara fa si che quella di Barrichello sia l’unica Ferrari superstite. Senza nulla da perdere, il brasiliano inizia una strepitosa rimonta che lo porta fino ad un’insperata 3° posizione. Il gap da colmare con le McLaren, leader della classifica, è però eccessivo. Quando tutto sembra perduto, ecco che un ex dipendente della Mercedes decide di entrare in scena invadendo pericolosamente la pista in segno di protesta per il suo licenziamento. Considerata la pericolosità, su uno dei circuiti all’epoca tra i più veloci del mondo, i commissari decidono di chiamare in pista la safety car. I distacchi si azzerano, e alla ripartenza comincia a piovere. Le McLaren di Hakkinen e Coulthard rientrano ai box per il cambio gomme, mentre Barrichello (correndo un rischio pazzesco) decide di restare in pista con le gomme da asciutto. Con il passare dei giri, e con una pioggia che cade in modo discontinuo sul tracciato, la mossa del brasiliano si rivela la migliore, offrendo l’occasione a Barrichello di vincere il suo primo gran premio in Formula 1. Divenendo il primo “carioca” a vincere dopo la morte di Senna, le emozioni esplodono sul podio, dove Rubens non riesce a trattenere le lacrime.
Dopo essersi laureato vice-campione del mondo nel 2002 e nel 2004, Barrichello lascia la Ferrari nel 2006 per approdare alla Honda. Contrariamente alle proprie attese, il brasiliano è protagonista di stagioni incolori fino al 2009, anno in cui accade l’impensabile. Il team giapponese lascia la Formula 1, ma al suo posto viene costituita la Brawn GP. Nessuno scommetterebbe sul neonato team di Ross Brawn, ma contrariamente alle attese (e sfruttando un regolamento tecnico poco chiaro), la monoposto funziona davvero. Non a caso, a fine campionato, il mondiale se lo aggiudica Jenson Button, mentre Barrichello conquista la sua 11° ed ultima vittoria in carriera proprio a Monza, sullo stesso circuito dove aveva trionfato in “rosso” nel 2002 e nel 2004.
Terminata l’esperienza in Honda / Brawn GP, Rubens passa alla Williams nel 2010, dove chiuderà la carriera l’anno successivo. Grazie a tutte le stagioni accumulate in Formula 1, Barrichello ha conservato il record di pilota con il maggior numero di gran premi disputati in Formula 1. Le sue 323 presenze lo hanno fatto restare in cima a questa classifica fino al 2013, anno in cui fu Schumacher a stabilire il nuovo record.
Mentre Barrichello si trovava nel bel mezzo della sua esperienza in Ferrari, nel 2002 fece il suo debutto in Sauber un altro giovane pilota brasiliano di belle speranze: Felipe Massa.
L’attuale pilota della Williams (al suo ultimo anno in F1 proprio quest’anno) si fece notare con il team elvetico per tre stagioni, pur non partecipando al campionato del 2003. Nonostante disponesse di una vettura poco competitiva, al termine del 2005 la Ferrari attua un passaggio del testimone tutto verde-oro. Barrichello infatti lascia Maranello, ma i vertici della Ferrari puntano proprio su Felipe Massa per supportare Michael Schumacher nel 2006, quella che sarebbe stata l’ultima stagione in F1 per il tedesco. Massa svolge egregiamente il suo dovere, conquistando il suo primo podio nel Gran Premio d’Europa (Nurburgring) e la sua prima vittoria in Turchia, sul circuito di Istanbul. Nel giorno in cui “Schumy” corre la sua ultima gara in Ferrari, e con il campionato ormai nelle mani di Fernando Alonso, Massa s’impone ad Interlagos, dove vince il gran premio di casa per la prima volta in carriera.
Felipe vincerà in casa ancora una volta, nel 2008, ma quella che doveva essere la festa più grande di sempre si trasforma invece nell’incubo più totale, per lui e per i brasiliani. Dopo il titolo vinto clamorosamente ad Interlagos nel 2007 da Raikkonen, lo stesso circuito è il palcoscenico dell’ultimo atto del campionato 2008. Il favorito per la vittoria finale, così come nella passata stagione, è Lewis Hamilton su McLaren. Dal canto suo però, Massa potrebbe vincere il mondiale ad una difficile condizione: vincere la gara e sperare che Hamilton finisca almeno 6°.
Verso il termine della corsa inizia a scendere la pioggia. Massa è primo, mentre Hamilton è 5°. Così facendo il mondiale sarebbe dell’inglese, ma poco prima dell’inizio dell’ultimo giro Hamilton commette un piccolo errore e si fa superare dalla Toro Rosso di Vettel. Il tedesco resiste agli attacchi della McLaren per tutto il giro finale, consentendo quindi a Massa di tagliare il traguardo non solo da vincitore della corsa, ma anche da campione del mondo. Nessun pilota brasiliano era mai riuscito nell’impresa di vincere un mondiale in casa, e la festa comincia ad esplodere ai box della Ferrari e sugli spalti. Nell’euforia generale però, nessuno si accorge di quanto accade all’ultima curva. La Toyota del tedesco Timo Glock, che in quel momento monta delle gomme non idonee alle condizioni dell’asfalto, si fa superare sia da Vettel che da Hamilton. Così facendo l’inglese, proprio negli ultimi metri, conquista la tanto desiderata quinta posizione, vincendo incredibilmente il mondiale.
La gioia e le emozioni di Massa di trasformano in rabbia, amarezza e delusione. L’albo d’oro non vedrà mai il nome di Felipe Massa tra i campioni del mondo, ma quella gara lo ha reso campione del mondo soltanto per qualche istante.
Il brasiliano non tornerà più a contendersi il titolo, ed anzi rischia la vita nel corso delle qualifiche del Gran Premio d’Ungheria 2009, quando viene colpito al casco da una molla staccatasi dalla monoposto di Barrichello.
Massa è costretto a saltare tutta la rimanente stagione, rientrando in pista soltanto nel 2010. Resterà in Ferrari fino al 2013 compreso, lasciando Maranello dopo 8 stagioni e 139 gran premi disputati, che lo rendono ancora oggi il secondo pilota più presente nella storia della Ferrari dopo Schumacher.
Dal 2014 ad oggi ha corso per la Williams, dove ha ottenuto tre terzi posti, due dei quali a Monza ed uno ad Interlagos.
Le note di merito: Gugelmin e Moreno
Oltre a tutti i campioni brasiliani citati in precedenza, ci sono altri due piloti che meritano di essere inclusi tra i “grandi” di questa nazione. Nel 1989, proprio in occasione del Gran Premio del Brasile, fu Mauricio Gugelmin a conquistare il podio al volante di una sorprendente March-Judd, giungendo in terza posizione a Jacarepaguà.
L’anno successivo, nel 1990, si replicò un altro podio, ed un altro terzo posto. Ad ottenerlo non fu Gugelmin, ma un altro brasiliano che non doveva nemmeno esser presente quel giorno. Alla vigilia del Gran Premio del Giappone il mondo della Formula 1 è scosso dalle notizie che arrivano dall’Italia, dove Alessandro Nannini, all’epoca pilota della Benetton, è rimasto gravemente ferito in un incidente con il suo elicottero. Il pilota toscano, che nell’accaduto perde l’avambraccio, è ovviamente costretto a saltare l’appuntamento nipponico. Al suo posto viene quindi chiamato Roberto Moreno, che si presenta in Benetton con Nelson Piquet come compagno di squadra. Mentre Piquet vince la corsa (in una gara che passa alla storia per il celebre quanto discusso contatto tra Senna e Prost alla prima curva, con Senna che diventa matematicamente campione del mondo), Moreno è protagonista di una splendida quanto inattesa prestazione, giungendo secondo al traguardo e regalando una doppietta alla Benetton tutta brasiliana.