Il McLaren Technology Centre è un’immaginifico complesso a metà fra il Museo di Storia Naturale di San Francisco e la base lunare della serie Spazio 1999, inserito armoniosamente fra le colline di una località chiamata Woking. Proprio qui, a Woking, è iniziato tutto, nel 1947. Propri qui, a Woking, è finito tutto, nel 2016.
Gran parte della vita di Ron Dennis è, infatti, racchiusa in una circonferenza che parte da questa graziosa cittadina del Surrey, dove nacque 69 anni fa, attraversa il mondo intero e proprio lì si richiude, qualche giorno fa, quando, proprio dall’avveniristica sede della Mc Laren che lui aveva fortemente voluto, progettato e finanche arredato, è stato freddamente invitato a darsi al giardinaggio. Fine di un’era, si è scritto giĂ copiosamente. Per la McLaren è così, certamente, ma non per lui, perchĂ© se vivi su di una circonferenza, come Ron Dennis, nessuno può determinare dov’è la fine e dov’è il principio. L’ha scritto lui stesso nel suo comunicato ufficiale, in cui non lesina bordate a quanti l’avrebbero proditoriamente estromesso da quella che, a ragione, ritiene essere una creatura tanto sua quanto lo fu del suo fondatore, Bruce McLaren: intendo impegnarmi al massimo per la McLaren anche solo come azionista – afferma – per plasmare il suo futuro, ma intendo lanciare un nuovo fondo di investimento tecnologico quando non avrò piĂą vincoli contrattuali che mi legano a essa. Avanti, a tutti i costi, costi quel che costi.
Ron Dennis ha l’espressione granitica e perennemente corrucciata di un abate di alto lignaggio che a malapena tollera di impartire benedizioni ai villici parrocchiani della sua abbazia perchĂ© troppo preso dalle sue alte occupazioni teologiche. E tutto, nella sua abbazia tecnologica di Woking, doveva girare secondo i suoi precisi dettami. Ron Dennis non usa lo stesso vocabolario degli altri quando parla, usa il Ronspeak, avviluppando le parole secondo un personalissimo stile. Ron Dennis è un duro la cui ira era piĂą funesta di quella di Achille, ma sapeva sciogliersi di fronte alle gesta di un magico brasiliano con il quale ebbe la fortuna di incrociare il suo cammino. Ron Dennis ha attraversato decenni di Formula Uno giganteggiando in quelle irripetibili stagioni di fine anni ’80 – Honda, Prost e Senna – ma con la stessa, giansenistica determinazione che lo aveva portato al successo si è trascinato nella palude della celeberrima Spy Story, che gli costò l’onorabilitĂ , oltre che una multa salatissima e la prima, vera, fine di un’era, nel 2007.
Tempo fa, girava nei social network un meme caustico ma simpatico, che raffigurava l’attuale line up della McLaren come i protagonisti di Star Wars, con Dennis nel ruolo di Darth Vader. Sulle prime si rideva, qualcuno commentava negativamente, altri insinuavano dubbi circa la tenuta del rinnovato “idillio” con Alonso; riflettendo, però, l’accostamento con il Jedi passato al Lato Oscuro va oltre una trovata ridanciana, perché il paragone, consentitemelo, è calzante. E come altro si potrebbe definire se non come “forza” quell’energia spirituale profonda che, assieme alla brama di apprendere e alla dedizione quasi missionaria, ha portato un umile garzone sedicenne a conquistarsi la fiducia di due come Jochen Rindt e Jack Brabham? Nel meccanico di Woking albergavano, però, anche capacità manageriali indiscutibili, ambizione altissima e una innegabile ansia di riscatto, terreno fertile per il “lato oscuro”, simboleggiate da quel grandioso complesso sorto non a caso nelle campagne di quella cittadina del Surrey che l’aveva visto nascere povero, abbandonare la scuola e ritornare come uno degli uomini più ricchi d’Inghilterra, dopo essere diventato uno dei padroni di una delle più grandi scuderie di Formula Uno, della quale ha segnato la vita negli ultimi 35 anni, nel bene e nel male: la McLaren, al contempo il suo obiettivo e il suo mezzo, la sua Morte Nera.
Di Ron Dennis non si può ignorare il segno rosso, il cono d’ombra, ma non si può non ammirarne l’abilità , il carisma, l’abnegazione, il talento, né ricordare ora e continuare a farlo negli anni a venire, con una punta di romanticismo nostalgico, la sua incredibile e bellissima storia personale di motorsport, da garagista assemblatore a magnate della tecnologia. Certi che forse era il caso, per Ron Dennis, di congedarsi dal Circus, ma non altrettanto sicuri che coloro che verranno dopo saranno migliori.
O semplicemente all’altezza.