La questione è di quelle cicliche; si ripropone ad intervalli regolari ma, alla fine del dibattito, le conclusioni sono puntualmente insoddisfacenti. Il bubbone è scoppiato nuovamente in questi giorni a seguito delle ormai note dichiarazioni di Ross Brawn, tra i progettisti più valenti e stimati degli ultimi trent’anni.
Il tecnico inglese, nella fattispecie, ha avanzato più di un dubbio circa il travaso tecnologico che sta avvenendo, in questo determinato momento storico, dalla produzione di serie alla Formula 1 (aggiungiamo noi, dalla produzione di serie alle competizioni automobilistiche più in generale). Il riferimento esplicito va ai motori ibridi. Gli attuali Turbo ibridi, secondo Ross Brawn, sono autentici prodigi tecnologici, tuttavia non consoni alla Formula 1. Gioielli tecnologici, costosissimi, i cui concetti base sono eccessivamente presi in prestito dalla produzione di serie. Di questo passo, ancora secondo Brawn, la Formula 1 diventerà – nella spasmodica imitazione ed emulazione della produzione di serie – terreno fertile per vetture elettriche e fuel-cell. Uno scenario da scongiurare, secondo Ross Brawn, il quale auspica un allontanamento della Formula 1 dalla tecnologia ormai imperante nella produzione di serie, ossia le motorizzazioni ibride ed elettriche, volgendo lo sguardo, pertanto, verso altre forme di motorizzazioni. Ma procediamo con ordine.
Il ragionamento formulato da Ross Brawn è, in molte parti, condivisibile. Purtroppo, ed è un incontrovertibile, preoccupante dato di fatto, le attuali competizioni motoristiche (dalla Formula 1 al World Endurance Championship e così via) altro non sono che la prosecuzione su pista delle politiche demagogiche-legislative intraprese nella produzione di serie, orientate verso la demonizzazione delle auto, per così dire, “tradizionali” (benzina e Diesel) intesa, anzitutto, a favorire la diffusione di vetture ibride (ma pur sempre benzina e Diesel), alimentate attraverso l’uso di carburanti alcolici (i cosiddetti “bio-carburanti”) ed elettriche. Lo scopo, ovvio, è perseguire finalità anti-inquinamento, il più delle volte assolutamente “di facciata”, fittizie e puramente propagandistiche. Enormi interessi economici e politici, infatti, muovono e alimentano quotidianamente la “macchina ambientalista”, la quale, più che tutelare realmente e scientificamente il benessere e la salute dei cittadini, arricchisce se stessa mediante norme vessatorie, becero populismo, ipocrisie e falsità tecniche-scientifiche ad ogni livello. Dalle strade di ogni giorno alla pista, il passo è breve.
Ed ecco, dunque, il proliferare, timidamente a partire dalla fine degli Anni ’90, di vetture da competizione che strizzano l’occhio alla produzione di serie, nei contenuti e persino nella retorica imbastita loro attorno dalle Case e dai massimi organismi tecnici e sportivi, ad iniziare da FIA e ACO. I motori ibridi, elettrici, Turbo (questi ultimi ritenuti oggi, secondo la “retorica verde”, assai efficienti dal punto di vista dei consumi, quindi puliti, quindi “eco-compatibili”) e i sedicenti “bio-carburanti” sono ormai elementi tecnici entrati prepotentemente (quasi sempre imposti dai legislatori) nelle competizioni moderne. I Turbo, certamente non nuovi nel panorama sportivo e di serie, oggi, però, hanno assunto una bizzarra valenza “green”; stessa sorte è toccata ai carburanti alcolici, in uso da decenni e decenni ma, oggigiorno, elevati a “green” e “bio” (grazie alla loro derivazione da prodotti vegetali), benché tutt’altro che salutari. Per non parlare dei motori ibridi ed elettrici, autentici portenti tecnologici in grado, secondo la “bio-retorica”, di “recuperare” misteriose energie altrimenti disperse così da abbassare drasticamente consumi (cosa non vera, peraltro…) e rispettare l’ambiente grazie ad “emissioni zero”.
Anche le competizioni, pertanto, hanno deciso di assumere vaghi e demagogici contorni di “eco-compatibilità”. Che “eco” non sono: un V6 Turbo ibrido di Formula 1 non è, certamente, eco-compatibile (i due moto-generatori elettrici non contribuiscono in alcun modo all’abbassamento dei consumi), al contempo non possiamo definire eco-compatibili le unità ibride impiegate, per esempio, nel WEC, più precisamente nella classe LMP1-H, dedicata alle Case (anche in questo caso, i motori elettrici debbono, in primo luogo, offrire extra-potenza), poiché per percorrere una 24h di Le Mans occorrono ancora e pur sempre circa 2000 litri di carburante, come 30 anni fa. Ovviamente, tanto in F1 quanto nel WEC, siamo alle prese con motori ibridi pur sempre sviluppati per le corse ma, bizzarramente, dirette emanazioni al livello concettuale dei prodotti di serie e della retorica ad essa collegata.
I motori Turbo attualmente vigenti in Formula 1, quindi, si inseriscono in questo quadro, volto a conferire una parvenza di “eco-compatibilità” alla categoria. Come detto in precedenti articoli, la Formula 1 ideale dovrebbe (anzi, deve) abbracciare più tecnologie. Un propulsore Turbo-ibrido costituirebbe, in questo caso, solo una delle molteplici valide alternative percorribili, la quale coabiterebbe con Turbo non ibridi e aspirati. Non è necessario, pertanto, abbandonare tout court il Turbo-ibrido e cercare una unica strada alternativa ad esso ma, al contrario, è bene promuoverlo a soluzione contemplabile: saranno i tecnici progettisti, infine, a optare per quello che ritengono sia il miglior compromesso.
Ross Brawn accenna anche al costo, oneroso, delle unità V6 Turbo ibride. Senza dubbio, si tratta di motori particolarmente complessi ed economicamente dispendiosi; ma siamo sicuri che un regolamento assai più libero di quello attuale e che abbracci diverse tipologie di motori produca unità “a basso costo” o, quantomeno, dal costo inferiore agli attuali V6 Turbo ibridi? Dubitiamo fortemente. Ecco, allora, un ulteriore tema di dibattito: il problema dei costi. Un problema che, al più, può porsi – ma senza demagogie e inutili artifici – una categoria Turismo nazionale, un monomarca propedeutico, non certo la Formula 1 o qualsiasi altro campionato di respiro mondiale. Un plurifrazionato aspirato ad altissime prestazioni, traboccante di tecnologia e soluzioni non certo economiche e alla portata di tutti, verrebbe a costare parecchi denari…
Più in generale, è bene che le competizioni facciano le competizioni, la produzione di serie faccia la produzione di serie. Diverse necessità ed esigenze, infatti, distinguono e caratterizzano i due ambiti. Ovviamente, non vi è nulla di anomalo qualora una soluzione tecnica ideata nella e per la produzione di serie venga introdotta anche nelle competizioni; di certo, è errato quanto avviene oggi, ossia mutuare forzosamente le soluzioni della produzione al fine di conferire alle competizioni un aspetto più “umano”, vicino al fruitore giornaliero di automobili e alle auto normalmente in vendita, ed “eco-compatibile”. All’epoca della prima era del Turbo in Formula 1 (tra la fine degli Anni ’70 ed il 1988), erano soprattutto i GP a spingere e trainare la moda del Turbo nella produzione di serie europea (giacché il Turbo faceva la propria comparsa di massa nelle competizioni “made in USA” a partire dalla fine degli Anni ’60); oggi, invece, accade l’esatto opposto: è la produzione di serie (la quale ha iniziato a riscoprire il Turbo di piccola cilindrata per mere ragioni legate alle emissioni) ad aver dettato alle competizioni una rinnovata adozione del Turbo il quale, infatti, oggi monopolizza – in modo addirittura eccessivamente artificioso – le piste di tutto il mondo.
Semmai, debbono essere le competizioni – Formula 1 compresa – a, eventualmente (quindi, non obbligatoriamente), trainare la produzione di serie, travasando soluzioni dapprima nate in pista e successivamente adattate alla meno esasperata produzione di serie. Un processo storicamente inevitabile ma non automatico e che, soprattutto, non deve in alcun modo costituire il ruolo primario delle competizioni stesse. Queste, infatti, debbono – a nostro avviso – sviluppare soluzioni solo ed esclusivamente col pensiero rivolto alla pista e alla natura specifica di ciascuna competizione, ricavando il massimo dai rispettivi regolamenti tecnici, non pensando, cioè, ad eventuali, prossime ricadute sulla produzione stradale.
Una mossa ben congegnata sarebbe, è quella di consentire ai tecnici di elaborare elementi tecnici racing (escludendo le ovvie categorie e classi per vetture GT e Turismo, derivate dalla serie), ad iniziare dai motori, partendo da unità di serie. Una iniziativa attualmente sempre meno in vita e presa in considerazione da legislatori e Case, del tutto morta e dimenticata in Formula 1, ma che rappresenta sempre una sfida alquanto solleticante: il miglior connubio tra corse e produzione di serie.
Scritto da: Paolo Pellegrini