No all’abolizione di Pinne dorsali e T-wing in Formula 1!
Diciamo no alla abolizione delle pinne dorsali e delle T-Wing. Stop alle norme liberticide che uccidono sul nascere interessanti sviluppi tecnici.
Riavvolgiamo il nastro…
2008
Test precampionato. La nuova Red Bull RB4-Renault è la prima vettura a sfoggiare una vistosa “shark fin” dorsale. A riscoprire questa soluzione – datata, collaudata ma caduta nel dimenticatoio da molti anni – è lo staff tecnico del team anglo-austriaco; ne fanno parte Adrian Newey, Geoff Willis, Rob Marshall, Peter Prodromou. Alla direzione sportiva vi è già Christian Horner, quello stesso Horner che oggi invoca a gran voce l’abolizione delle pinne.
2009
Nonostante l’ala posteriore situata più in alto rispetto al 2008, i progettisti proseguono nella applicazione di vistose pinne dorsali. Red Bull, Renault, Toyota, BMW-Sauber, Force India adottano il suddetto elemento aerodinamico. A Spa-Francorchamps, la Brawn GP presenta una “shark fin”, poi scartata a favore del classico cofano motore privo di pinna. La vettura, ricordiamo, è firmata da Ross Brawn.
2012
Magny Cours, “Rookie Test”. La Mercedes F1W03 testa una specifica pinna, deputata ad accogliere nome del pilota e numero di gara. Una sorta di “fan fin”, simile a quanto fatto da alcuni team nella statunitense IRL a fine Anni ’90, i quali sfruttano la deriva – codificata e unificata – a valle del cofano motore per apporci in molti casi il numero di gara. L’idea è di Ross Brawn (all’epoca in Mercedes), quello stesso Brawn che oggi guida la crociata contro le pinne. La proposta di una pinna codificata preposta ad accogliere numero di gara e nome del pilota viene – fortunatamente – scartata. Quello stesso Ross Brawn che, a capo del team Honda, gestisce la RA108, vettura dotata di pinna dorsale e di sconcertanti “Dumbo Wings” sul muso.
La pinna dorsale, probabilmente, è tra gli elementi aerodinamici-estetici che più fa discutere addetti ai lavori e pubblico appassionato. Oggigiorno, dietro a talune “rivoluzioni” aerodinamiche e all’introduzione-imposizione di taluni dispositivi aerodinamici, si nascondono ragioni poco tecniche: commerciali o puramente estetiche, soprattutto. Nel 2009, la Formula 1 sposava vesti aerodinamiche più pulite, prive, cioè, di quel sottobosco di appendici che, sino al 2008, proliferava senza sosta sui corpi vettura delle monoposto. Come ammesso da Paddy Lowe in tempi non sospetti, però, dietro quel cambio regolamentare si celava anche la chiara volontà degli sponsor di poter usufruire di superfici inserzionistiche più pulite. In questo 2017, invece, alcuni mutamenti regolamentari – ci riferiamo alle nuove pance e alle nuove ali – sono intesi a conferire alle auto maggior appeal estetico.
La pinna dorsale e la sua ampia superficie rappresentano, in questo senso, un elemento che fa gola agli sponsor. Inutile nasconderlo: in altre categorie (leggi WEC e vetture LMP, ad esempio) questo dispositivo aerodinamico puzza di trovata commerciale. Nel 2008, anno della riscoperta in F1 delle pinne dorsali, in molti parlavano di meri “cartelloni pubblicitari”, ad anteporre il beneficio commerciale rispetto a finalità squisitamente tecniche.
Nella realtà, la pinna dorsale è anche un dispositivo aerodinamico legittimo ed utile. Di certo, contrariamente a quanto ritengono i legislatori di ACO, essa né evita né previene in modo definitivo i decolli dei Prototipi (le Oreca PC gareggiano da anni senza pinna e non decollano e le LMP, messe in condizioni di decollare – situazioni anomale, si intende, come sempre accaduto, pinne o non pinne –, continuano a decollare…), unitamente all’introduzione delle antiestetiche aperture sui passaruota. E altrettanto certamente, una siffatta pinna non dovrebbe essere mai imposta per Regolamento, cosa che, purtroppo, avviene nel caso dei Prototipi di classe LMP1, LMP2 e LMP3. Non discutiamo la pinna in quanto tale e in quanto valida opzione tecnica, ma solo ed esclusivamente la sua imposizione su convinzioni, all’atto pratico, effimere e fuorvianti. Medesimo discorso vale per la sottile “pinna” obbligatoria che caratterizza i musi delle vetture IndyCar e concettualmente equivalente alle derive posteriori asimmetriche installate sui tetti e sulle code delle vetture NASCAR; posta longitudinalmente al centro del muso, essa dovrebbe scongiurare il rischio di pericolosi decolli in caso di testacoda e di imbardate estreme. In uso da diversi anni, questa particolare deriva nulla può di fronte a condizioni che causano incidenti e decolli incontrastabili e inevitabili. Insomma, in qualità di “dispositivo di sicurezza”, pinna dorsale e simili lasciano il tempo che trovano.
2017
In questo 2017, come noto, la Formula 1 ha riabbracciato in massa compiute “shark fin”, in luogo di derive dorsali di ridotte dimensioni che generalmente seguivano l’andamento discendete del cofano motore. Pinne non obbligatorie, bensì frutto – ribadiamo con piacere – di legittime e libere scelte dei progettisti. Scelte che, è bene ricordarlo, estranee alla sicurezza.
Eppure, nonostante siano accattivanti sotto il piano estetico, siano nuovamente apparse con finalità squisitamente funzionali mirate all’affinamento delle prestazioni e siano espressione di libertà di progetto (valore imprescindibile), queste pinne hanno ormai i giorni contati. Da Charlie Whiting (direttore di gara della F1) a Ross Brawn (Formula One Managing Director of Motorsports), passando per Christian Horner (Team Principal Red Bull) e alcuni giornalisti del settore (ad esempio, il nostro Gianfranco Mazzoni, telecronista RAI da oltre 20 anni) è tutto un coro contro la pinna. Un coro tanto insensato quanto demagogico. Un coro che, ne siamo certi (ma felici in caso di smentita), porterà al divieto delle pinne dorsali. Nutrito è anche l’esercito dei semplici appassionati, quelli che schifano le pinne dorsali delle F1 ma poi sbavano davanti a tutte le vetture ugualmente pinne-munite che “non-siano-Formula 1″…
Come detto, la pinna dorsale è una soluzione datata e collaudata, ripresa e abbandonata ad intermittenza seguendo le diverse esigenze ed i guizzi dei singoli progettisti. Singole o multiple (famose le pinne doppie delle Porsche 917 e Ferrari 312PB), grandi o piccole, centrali o laterali, le pinne qualificano le vetture da competizione da numerosi decenni, dalle ruote scoperte a quelle coperte.
La pinna dorsale ricopre due mansioni principali. Anzitutto, essa funge da classica pinna stabilizzatrice, ottimizzando, pertanto, le corrette caratteristiche di imbardata (stabilità trasversale) di una qualsivoglia vettura. Opportune pinne, infatti, stabilizzano il comportamento dinamico della vettura in presenza di vento laterale, specie in tracciati particolarmente veloci (alte velocità in percorrenza curva e in frenata). È questo, invero, il ruolo più ricorrente e, per così dire, tradizionale della (o delle) pinna stabilizzatrice. In secondo luogo, una deriva dorsale può migliorare l’efficienza dell’alettone posteriore, laminando e rendendo meno turbolento il flusso d’aria che va ad investire intradossi ed estradossi dei profili alari. Infatti, l’aria che investe l’ala posteriore risulta “sporcata” da tutti gli elementi della vettura posizionati a monte dell’ala stessa, compresa la presa d’aria dinamica a periscopio per motore e raffreddamento. L’alettone delle F1 2017 è posizionato più in basso rispetto al 2016, risultando, pertanto, meno efficiente: 800 mm a partire dal Reference Plane contro i 950 mm degli anni 2009-2016; un fattore, dunque, che ha portato alla ribalta la pinna dorsale. Pinne dorsali, invero, possono essere impiegate anche in presenza di alettoni posteriori più alti, come avvenuto in F1, ad esempio, a partire dal 2009.
Attualmente, oltre alla F1, pinne dorsali più o meno ampie e di varie forme sono utilizzate in IndyCar (particolarmente vistosa e di impostazione tipicamente “formulaunistica” quella visibile sulla Dallara DW12 con aerokit Honda), in GP2 e GP3. In entrambe queste ultime Dallara, a valle e in basso rispetto alla aguzza e leggermente discendente pinna, trovano posto i terminali di scarico. Anche la Dallara Superformula è provvista di pinna stabilizzatrice.
Nel 2010, la McLaren Mp4/25 inaugura l’era dell’F-Duct, complesso dispositivo finalizzato a ridurre la resistenza aerodinamica offerta dall’alettone posteriore così da incrementare le velocità di punta. Questo dispositivo si avvale di appositi condotti ricavati all’interno della pinna dorsale.
La Mercedes, con la sua nuova F1Wo8, si è spinta oltre. La bella pinna che svetta sul cofano motore della vettura di Hamilton e Bottas non assolve, infatti, solo le funzioni precedentemente e brevemente illustrate (controllo della stabilità trasversale e conferire all’ala posteriore maggior efficienza). La pinna presenta, anzitutto, uno spessore maggiore rispetto alle pinne studiate dalle altre scuderie. Grazie a tale configurazione, è stato possibile ricavare un autentico effusore a ciminiera, volto a smaltire verso l’alto l’aria calda proveniente dal cofano motore (sfogo che può essere parzializzato, come visto in occasione del GP d’Australia). Una soluzione ugualmente degna di nota veniva adottata dalla Williams nel 2014 (Williams FW36-Mercedes). Sulla superficie della spigolosa deriva posta a valle del cofano motore e che seguiva l’andamento di quest’ultimo, era ricavata una griglia di raffreddamento. Questa soluzione, inoltre, comportava benefici aerodinamici, poiché generava minori turbolenze rispetto ad un unico effusore di dimensioni più grandi. Tale configurazione non ha avuto seguito.
L’alettone posteriore più basso e meno efficiente (ma anche più largo, 950 mm contro i 750 mm del periodo 2009-2016) ha inoltre contribuito alla nascita di un ulteriore dispositivo aerodinamico: la cosiddetta T-Wing. Una soluzione legittima, interessante e che potrebbe condurre – qualora lasciata libera di svilupparsi – a scenari tecnici-aerodinamici inediti. Tuttavia, benché si tratti di una ulteriore espressione di libertà progettuale – accattivante sotto ogni punto di vista, tecnico ed estetico –, il solito coro di cui sopra ha dichiarato guerra alla innocente T-Wing.
La T-Wing – anche provvista di winglet di estremità – è una nuova variazione sul tema di quella famiglia di dispositivi aerodinamici che gli anglosassoni definiscono “flow conditioner” (in questa vastissima e multiforme famiglia rientrano, ad esempio, gli ormai abbandonati profili disposti a ponte sopra i musetti, in voga tra il 2007 ed il 2008, e le X-Wing, profili posteriori anch’essi in uso prima delle mannaie regolamentari del 2009). Ancora non del tutto chiarita ed assodata la funzione delle T-Wing: chi ipotizza servano principalmente a reindirizzare ed ulteriormente ottimizzare ed energizzare il flusso diretto verso i profili dell’alettone posteriore a beneficio dei valori di deportanza, chi, al contrario, vagheggia un loro intervento utile alla riduzione del drag offerto dall’ala posteriore alle alte velocità. Ad ogni modo, propendiamo per la prima ipotesi, ritenendo plausibile un contributo delle T-Wing – la portata di tale contributo è ancora tutta da valutare – alla generazione di carico deportante.
Fatto è che le T-Wing ormai spopolano. Si va da interpretazioni (per ora) semplici (Ferrari SF70H, Haas VF-17) a più elaborate. Ci riferiamo alla Mercedes F1W08 – la quale presenta una T-Wing a tre profili disposti a schiera (tre per lato, il profilo più in alto presenta una apertura ridotta) sorretta da un singolo pilone centrale posto a valle del cofano motore e della pinna dorsale – e alla Williams FW40. Quest’ultima monoposto presenta due T-Wing direttamente connesse alla pinna anche tramite sostegni semicircolari: una posta in alto, a valle della pinna dorsale stessa, una seconda posta in basso – ancora a valle della pinna – il cui profilo è orientato, proprio in prossimità della grande deriva, verso il basso.
Di seguito, riportiamo alcuni esempi di vetture da competizione provviste di pinne stabilizzatrici e appendici aerodinamiche – tutte vietate nel corso degli anni – accostate alle T-Wing. Si tratta, in questo ultimo caso, di autentici profili alari, dei piccoli alettoni supplementari e centrali posti sul cofano motore. Esperimenti stimolanti che, se rimasti in vita, sarebbero stati oggetto di due fenomeni antitetici: estinzione per selezione naturale o sviluppo con esiti altamente intriganti ed esasperati.
La Belond Exhaust Special Salih-Offy con cui Jimmy Bryan vince la Indianapolis 500 del 1958. Questa vettura aveva vinto la celebre corsa anche nel 1957 con Sam Hanks e costituisce una delle tante interpretazioni di pinna stabilizzatrice applicata alle monoposto di scuola statunitense.
La Jaguar D-Type (qui la vincitrice della 24h di Le Mans 1957 con Ivor Bueb/Ron Flockhart, gestita dalla Ecurie Ecosse) è forse una delle vetture più note e ricorrenti circa l’applicazione di una vistosa pinna stabilizzatrice.
Tony Brooks al GP di Monaco 1960 al volante della Cooper T51-Coventry Climax dello Yeoman Credit Racing Team dotata di piccola pinna caudale.
Degna di nota la poco conosciuta Fry F2, vettura di Formula 2 che, nel 1959, tanta la qualificazione al R.A.C. British Grand Prix. Moderna e all’avanguardia, la compatta monoposto, condotta da Mike Parkes e concepita da David Fry, sfoggia un curioso retrotreno a disegnare una chiara deriva dorsale.
Dopo anni di “oblio”, una sorta di pinna dorsale viene riscoperta dalla Ferrari all’alba degli Anni ’70. Qui la Ferrari 312B2 del 1971-1972, la cui carrozzeria carenante il roll bar sfocia in una vistosa struttura a pinna connessa all’ala posteriore. Nel 1980, la fallimentare 312T5 presenta una piccola deriva a caratterizzare la carrozzeria posteriore, assente sulla 312T4 del 1979.
Nel 1982, la Porsche CK5 (Kremer) Gruppo C (qui l’esemplare condotto da Rolf Stommelen/Stefan Bellof alla 1000 km di Spa-Francorchamps 1982) passa alla storia quale bel Prototipo provvisto di pinna stabilizzatrice.
A metà degli Anni ’80, la originale e competitiva Gebhardt JC843 di Gruppo C2 (qui coi colori ex ADA Engineering) sfoggia la pinna dorsale. Rimanendo in ambito ruote coperte, una piccola pinna stabilizzatrice viene applicata, a fine Anni ’90, alla Ferrari 333 SP.
Negli Anni ’90, le monoposto CART presentano una pinna stabilizzatrice, poi divenuta obbligatoria a fine Anni ’90 nel campionato IRL (anche per offrire più spazio al numero di gara), infine tolta. Qui, la Reynard 95I-Cosworth CART condotta da Jacques Villeneuve e vincente alla Indianapolis 500 del 1995.
Nel 2008, la F1 conosce il ritorno delle pinne dorsali grazie alla Red Bull. Qui la Honda RA108 condotta da Jenson Button, vettura concepita da Jörg Zander, Löic Bigois, Shuhei Nakamoto. A capo del team, Ross Brawn, oggi ostile alle pinne.
Sull’onda di quanto fatto in F1, anche numerose formule “minori” e monomarca cavalcano la “pinna mania”. Qui, la bellissima Mygale M10 Formula 3 ritratta nel 2012. Negli stessi anni, anche qualche Dallara F3 viene dotata di pinna.
Nel 2010, ecco l’F-Duct, il cui condotto scorreva annegato nella pinna dorsale. Qui, la soluzione proposta dalla Ferrari F10.
I Prototipi LMP debbono presentare, per Regolamento, una estesa pinna dorsale, regolamentata in ogni suo aspetto. Lo scopo è stabilizzare la vettura e prevenire i tanto temuti decolli in caso di imbardate estreme. Qui, la pinna installata sulla Oreca 05-Nissan di classe LMP2 (Eurasia Motorsport) condotta alla 24h di Le Mans 2016 da Tristan Gommendy/Pu Jun Jin/Nico Pieter de Bruijn. Generalmente, la pinna viene connessa all’attacco centrale dell’ala posteriore di tipo “swan neck”.
La filante Dallara Superformula è un moderno esempio di monoposto “extra F1” dotata di pinna dorsale.
La HRT F111-Cosworth, nel 2011, presenta una piccola pinna dorsale sulla quale viene applicato un cubitale numero di gara. Nello stesso anno, la prima versione della Red Bull RB7 sfoggia una pinna molto simile a quella della HRT F111, poi abbandonata.
Le McLaren Mp4/10B (Nigel Mansell, 1995) e Mp4/11 (David Coulthard, 1996), entrambe motorizzate Ilmor-Mercedes, sono caratterizzate da un curioso alettone supplementare posto sopra il cofano motore. Apprezzabili le differenti interpretazioni.
Pinne dorsali e T-Wing, in conclusione, incarnano il concetto portante che dovrebbe e deve essere alla base della Formula e di qualsivoglia campionato automobilistico di vertice: la libertà progettuale e di scelte. L’uccisione delle pinne dorsali e delle T-Wing si staglia all’orizzonte minacciosa. E costituirebbe l’ennesima operazione errata e liberticida in nome di astrusi valori e convinzioni puramente ideologiche-demagogiche.
Salviamo le pinne e le T-Wing dai burocrati dalla memoria corta.
Scritto da: Paolo Pellegrini