Montecarlo, come ha detto un amico saggio, è come Natale anche se sei ateo: ti chiedi il perché ci si ostini a correre in quel budello che è una sottile linea rossa fra pacchiano e mondano, in un circuito dove non emergono le doti velocistiche, non conta il motore e anche il più grande genio del pilotaggio può finire a decorare le fioriere del Casinò per una banalità, eppure quando Montecarlo arriva sei invaso da un rassicurante piacere. C’è anche quest’anno, siamo ancora tutti qua, questa è ancora la nostra Formula Uno – e non quella degli Americani o dello zio Bernie – evviva! Il Gran Premio di Montecarlo è, oltre che un’occasione lieta, qualcosa che c’è sempre stato e che è, pertanto, un simbolo del giusto procedere delle cose: come l’arrivo della bella stagione, la retrocessione del Pescara l’anno dopo la promozione in serie A o una festa comandata da passare in famiglia. Anche qui c’è una famiglia, del resto, di principi glamour e sofisticati e principesse eteree e bellissime. Se volete far capire a qualcuno che non ne sa nulla cosa sia la Formula Uno, fategli vedere il Gran Premio di Montecarlo, perché vi troverà il fascino del rischio, lo spadroneggiare del caso, l’esclusività dello spettacolo e magari anche la noia di tatticismi e trenini, che sono tutte caratteristiche di questo sport ma che solo in questa gara avvengono tutti insieme e ogni volta. Può essere che si annoi e ve lo rinfacci a vita – Eh, meno male che c’erano le bellone in costume! – oppure s’innamorerà perdutamente.
Montecarlo è il principato che spodesta i re: basta andare non troppo indietro nel tempo e vedremo che tante volte i grandi tenori del volante hanno steccato durante l’opera monegasca, per errori propri o altrui, come è accaduto a Lewis Hamilton o a Michael Schumacher. Montecarlo, se da una parte detronizza i predestinati, dall’altra ci ha consegnato, spesso, improbabili eroi domenicali assurti a gloria motoristica perenne: Olivier Panis e la sua vittoria nel ’96 ne è l’archetipo, come pure quel certo brasiliano che, nel 1984, rischiò di vincere a bordo di un frigorifero sotto un diluvio da dies irae. E molti tifosi ferraristi ricorderanno con affetto un roccioso Enrique Bernoldi su Arrows che si tenne dietro uno smanioso David Coulthard su McLaren per mezza gara; curioso che oggi la McLaren, che allora tanto recriminò, abbia fatto di tutto per assomigliare, nella livrea e nella prestazione, a quella asmatica Arrows. Corsi e ricorsi monegaschi, amici.
Montecarlo è l’alibi dei dominatori, che sempre potranno giustificarsi con un Ehi, non guardate la nostra prestazione opaca di Monaco, il Principato è una parentesi glamour che non conta o con un Non abbiamo punti deboli, siamo vincenti perfino alla lotteria del Principato di segno uguale e contrario. Montecarlo è il rifugio dei perdenti, i quali potranno liberarsi con un Avete visto che bella figura abbiamo fatto nella difficilissima tappa monegasca? oppure nascondersi dietro un Monaco è gara anomala, anche chi domina può andare al di sotto delle attese. Prendete la Ferrari: ci sono state annate in cui dominava in lungo, in largo e pure in diagonale, ma l’ultima vittoria di una monoposto del Cavallino risale al 2001. E ora? Pole position, vittoria, doppietta, doppio vantaggio nella classifica piloti e in quella costruttori.
È tutto bellissimo.
Mi state forse dicendo che c’è puzza di anno buono? Mi state forse dicendo che non posso lamentarmi di niente? Oh, ci sarebbe quell’ordine di scuderia camuffato da overcut che ha fatto perdere la testa della gara a Kimi e favorito Seb, una cosa che ha fatto indignare perfino Hamilton. Sì, il bue che dice cornuto all’asino. Lewis, un re spodestato dal Principato. Come Kimi, re del sabato spodestato alla domenica dal principe ereditario Seb. Il fatto è che i campionati non si vincono con il romanticismo e con la bellezza della prestazione di Raikkonen, ma con la determinazione spietata di Vettel; la Ferrari, con cinica lungimiranza, ha assecondato il verdetto che la pista e i giri veloci avevano già emesso e ha meritatamente conquistato la vetta.
Il motorsport è pericoloso, amici, anche perché spezza i cuori: guardate ieri Raikkonen, pensate ad Alonso che vede Chilton – colui che a Montecarlo, in regime di Safety Car, si impastò creativamente addosso a una Ferrari mentre era doppiato – veleggiare in vetta alla 500 miglia di Indianapolis attraverso la caligine del suo motore Honda fuso. Ma ogni volta i cocci si incollano, i cuori spezzati si riparano e si riparte verso una nuova gara, in questo viaggiare a domeniche alternate che è esaltante e rassicurante, come l’arrivo dell’estate, il fascino di una principessa, il pranzo di Natale e il Gran Premio di Montecarlo.