To race, in Italiano, vuol dire correre gareggiando, essenzialmente in una gara di auto o moto. Ma cosa significa veramente, al di là della semantica? Difficile spiegarlo per chi non è un racer, per chi, volente o nolente, sarà sempre dall’altra parte del teleschermo o delle recinsioni di una pista, difficile ancor più per chi questo mondo ha scelto di raccontarlo, senza scadere nell’abusato trittico istinto-passione-piedepesante. È qualcosa di più profondo di un to drive, guidare, qualcosa di più feroce e fanciullesco al contempo: contiene il correre, l’andare nel vento, l’afferrare la libertà, ma anche lo scontrarsi, il prevalere, l’idea sublime della sfida. E cosa ne pensa chi un racer lo è davvero? Nigel Mansell diceva che nella vita e nei Gran Premi ci sono quelli qualsiasi e i racer. Quelli qualsiasi guardano come vanno le cose, i racer le fanno succedere. Io – concludeva – sono un racer.
Per Fernando Alonso non si tratta di una domanda.
Per Fernando Alonso essere un racer è una risposta.
Che siate o no suoi sostenitori, non è possibile ignorare qualcuno come lui nei nostri paddock che si svuotano di persone per far posto ai personaggi, ai quali manca la caratteristica principale delle prime: la personalità. Non si vuole, in questa sede, discettare sugli episodi critici della sua carriera, sulle sue frequentazioni, sulle sue esternazioni o contarsi fra coloro che lo amano e coloro che lo detestano per tirare le somme e vedere chi vince, ma si sta per celebrare un evento, la 500 Miglia di Indianapolis, che è stata riscoperta come tale da molti Europei proprio perché vi è coinvolto Fernando Alonso. Che è uno che le cose le fa accadere, proprio come fanno i racer, e di questo, cioè del rinnovato interesse per una delle gare più spettacolari e prestigiose del mondo da parte di chi l’ha colpevolmente ignorata negli ultimi anni, gliene va dato obiettivamente merito.
Il fatto di essere un racer è anche la risposta perfetta a chi gli chiede perché abbia scelto di competere nella 500 Miglia di Indianapolis. Lo ha messo nero su bianco lui stesso spiegando come quella sulla Brickyard non sia solo un’esibizione pubblicitaria o un rumoroso diversivo nella sua condizione di pilota di Formula Uno che vede crescere i cavalli della propria power unit Honda in maniera inversamente proporzionale ai suoi anni:
I belong there. Because I’m a racer.
I always have been, and I always will be.
Un vero racer, un vero pilota da corsa, sa di esserlo anche quando non sa ancora cosa sono davvero le monoposto, i circuiti, gli avversari. Gli basta assaggiare un kart, anche da piccolissimo, anche in un Paese, come la Spagna, dove la fama irrideva solo a calciatori, ciclisti o – al massimo – a motociclisti. Anche se il kart su cui gareggiava non era destinato a lui, proprio come è accaduto a Fernando Alonso.
Anche la monoposto che piloterà a Indianapolis non era stata destinata a lui e questa considerazione chiude idealmente il cerchio e suona di buon auspicio per l’avventura americana di Fernando Alonso. Che trovi la via per la Tripla Corona o semplicemente nuovi stimoli, nuove domande.
La risposta, tanto, la conosciamo già.