Che fate, venite? Aston Martin e Porsche tentate dal richiamo della Formula 1? Il ritorno dei due miti sportivi tra verità e suggestioni.
Estate, tempo di pettegolezzo. Dai vip spiaggiati e in perenne calore al calciomercato, passando per i mille rumors che animano lo sfaccettato mondo dell’automobilismo sportivo. In Formula 1 è tutto un fermento ed un fiorire di voci di corridoio, fantasie, proposte, ipotesi, suggestioni.
Al centro dell’attenzione niente po’ po’ di meno che Aston Martin e Porsche. Entrambe le Case stanno vivendo un periodo sportivo particolarmente felice. La Casa inglese, infatti, si è aggiudicata la classe LMGTE-Pro in occasione della recente 85a edizione della 24 Ore di Le Mans, terzo appuntamento del FIA World Endurance Championship. Ad arricchire il già folto palmarès, infatti, ha contribuito il successo della Aston Martin Vantage V8 #97 (Aston Martin Racing) condotta magistralmente da Darren Turner/Jonathan Adam/Daniel Serra. Si tratta, dunque, del quindicesimo successo di classe in quel di Le Mans (1931, 1932, 1933, 1935, 1937, 1950, 1951, 1955, 1956, 1957, 1958, 2007, 2008, 2014). A questi, ovviamente, va aggiunto il prestigioso trionfo assoluto (e quindi anche di classe, nella fattispecie Sport 3.0) datato 1959: in quell’anno, Roy Salvadori e Carroll Shelby vincono la prestigiosa corsa in terra francese al volante della mitica DBR1/300 #5 (David Brown Racing Dept.), a precedere la gemella #6 condotta da Maurice Trintignant/Paul Frère.
Porsche, dal canto suo, è reduce dall’ennesimo successo assoluto alla 24 Ore di Le Mans, il terzo consecutivo (2015, 2016, 2017), il diciannovesimo a partire dal 1970. Il merito va ancora alla tanto inarrestabile quanto sorprendente Porsche 919 #2, sopravvissuta con tenacia – ma non senza problemi – alla moria dei (pochi) Prototipi LMP1. Timo Bernhard/Brendon Hartley/Earl Bamber trionfano sul filo di lana, relegando una pletora di competitive e affidabili LMP2.
Parliamo, pertanto, di Case esperte, tecnicamente e sportivamente coraggiose, che hanno fatto del motorsport il proprio storico, intramontabile biglietto da visita. Aston Martin, come noto, è partner commerciale di Red Bull Racing, sulle cui monoposto, tute e divise campeggia l’elegante marchio della Casa inglese con sede a Gaydon, nel Warwickshire. La collaborazione tra Aston Martin e Red Bull ha partorito la avveniristica Aston Martin Valkyrie (nome del progetto AM-RB 001), hypercar estrema ed esclusiva frutto del genio di Adrian Newey e che fa sfoggio di molteplici soluzioni tecniche tipiche delle monoposto di F1 e dei più avanzati Prototipi. A motorizzare la vettura, dovrebbe essere un V12 aspirato di 6200cc realizzato dalla Cosworth. Questo legame, a quanto pare ben saldo, ha innescato voci e sublimi fantasie: Aston Martin alle soglie della Formula 1?
Chissà. Allo stato attuale dei fatti, non esistono segni e segnali che possano condurre a conclusioni certe e far sperare in un lieto fine, ossia un impegno serio e diretto di Aston Martin in Formula 1, verosimilmente in veste di motorista. Dall’altro lato, tuttavia, possediamo indizi – ad onor del vero assai generici, in questa fase – che potrebbero far pensare ad un reale coinvolgimento della Casa inglese in F1. In occasione del Working Group dei motoristi, antecedente il GP d’Austria, Aston Martin, Cosworth e Magneti Marelli hanno discusso circa il futuro motoristico (inerente, cioè, alle future “power unit” che sostituiranno gli attuali V6 ibridi) della Formula 1.
Se il futuro in Formula 1 di Aston Martin è ancora da scrivere e programmare, ancor più fumoso è il destino di Porsche. I vertici manageriali sportivi di Porsche, ad iniziare da Fritz Enzinger, non lasciano spazio ad interpretazioni: Porsche proseguirà il rinnovato impegno nel FIA WEC e nella classe LMP1 (dove è presente dal 2014) solo in presenza di nuovi avversari (si vocifera di Peugeot, costruttore impegnato in LMP1 dal 2007 al 2011). All’orizzonte, nel caso dovesse rimanere solo Toyota quale avversario principale e Casa, un ritiro a fine 2017 o a fine 2018. Scenario, questo, che getterebbe ulteriore sconforto in un WEC dalla classe regina attualmente debilitata. Ed ecco aprirsi, dunque, la porta della Formula 1. Porsche, sinora, ha smentito un ingresso immediato in F1, tuttavia ha fatto intendere – ancora tramite Fritz Enzinger – che Porsche è in grado di affrontare la F1 ed è interessata alla categoria stessa.
E in un periodo in cui già si inizia a speculare attorno alle future motorizzazioni che andranno a rimpiazzare gli attuali V6 ibridi monoturbo, Porsche, dall’alto della propria esperienza in fatto di propulsori Turbo ibridi e trazione integrale non permanente, potrebbe trovare pane per i propri denti anche in Formula 1.
Aston Martin e Porsche hanno già assaporato la Formula 1. Nel 1959, la Casa inglese, specialista delle ruote coperte, intraprende l’avventura nella massima categoria per vetture a ruote scoperte. Ted Cutting progetta la DBR4, monoposto a motore anteriore spinta dal 6 cilindri in linea RB6, aspirato di 2500cc (alesaggio e corsa pari a 83 mm x 76,8 mm, potenza massima di 250 CV a 7500 giri/minuto). Una sincera, benché ancora da sviluppare, vettura a motore anteriore nata, però, al tramonto di tale configurazione. Quattro i GP datati 1959: Roy Salvadori chiude al 6° posto i GP di Gran Bretagna (Aintree; ottiene il 2° tempo in qualifica) e Portogallo (Monsanto). Nel 1960, il David Brown Corporation schiera la DBR5 solo in occasione del GP di Gran Bretagna (Silverstone), affidando le due verdi monoposto a Roy Salvadori e Maurice Trintignant. Il pilota francese chiude all’11° posto.
Ben più duratura e prestigiosa la carriera di Porsche in F1. Cinque i modelli schierati dalla Casa tedesca – in forma ufficiale o grazie a scuderie private – dal 1958 al 1964: dalla RSK alla 804 del 1962 (quest’ultima spinta da un 8 cilindri contrapposto raffreddato ad aria di 1500cc; misure di alesaggio e corsa pari a 66 mm x 54,6 mm, potenza massima di 185 CV a 9200 giri/minuto), passando per le “Behra”, 718 e 787. Le Porsche sono vetture semplici e sincere, capaci di conquistare 5 podi tra il GP di Francia 1961 ed il GP di Germania 1962 (tutti merito di Dan Gurney, tre al volante della 718, due su 804), una pole-position (Nürburgring 1962) ed una clamorosa vittoria in quel di Rouen-les-Essarts 1962. Manco a dirlo, c’è sempre il buon Gurney al volante.
Il 28 agosto 1983, in occasione del GP d’Olanda (Zandvoort), Niki Lauda porta al debutto – installato a bordo della McLaren Mp4/1E – il famigerato TAG Porsche P01, 6 cilindri in V di 80° (biturbo e, come da regolamento, di 1500cc di cilindrata; misure di alesaggio e corsa pari a 82 mm x 47,3 mm), nato sotto la direzione di Hans Mezger. Questo motore si aggiudica 25 GP iridati (dal GP del Brasile 1984 corso al Jacarepagua, vinto da Alain Prost, al GP del Portogallo 1987, Estoril, ancora vinto dal campione transalpino), ottiene 54 podi, conquista appena 7 pole-position ma fa suoi ben tre titoli Piloti (1984, 1985, 1986) e due titoli Costruttori (1984, 1985). Nel 1984, Niki Lauda relega per appena mezzo punto il compagno di squadra, Alain Prost, in un tripudio McLaren Mp4/2-Porsche; nel 1985, è Prost a laurearsi campione del mondo al volante della McLaren Mp4/2B-Porsche. Nel 1986, il campione francese ha la meglio su Nigel Mansell (Williams FW11-Honda), dopo un entusiasmante duello durato sedici Gran Premi: protagonista del successo è la McLaren Mp4/2C-Porsche.
Nel 1991, la Porsche – ebbene sì – stecca. Nel 1989, la F1 abbraccia esclusivamente motori aspirati: frazionamento massimo pari a 12 cilindri, cilindrata massima di 3500cc. La Porsche realizza un V12 di 80°, derivato, sotto molti aspetti, dal vincente V6 Turbo. Due “blocchi” di 6 cilindri accoppiati e comandi della distribuzione ricavati al centro del motore, secondo una impostazione già sperimentata con successo ai tempi dei 12 cilindri installati sulle mitiche Porsche 917. Il motore, tuttavia, si rivela un fallimento. L’unità tedesca spinge le Footwork A11C (ultimo stadio evolutivo della Arrows A11 del 1989 progettata da Ross Brawn) e FA12, quest’ultima interessantissima realizzazione firmata Alan Jenkins. Alex Caffi, Michele Alboreto e Stefan Johansson tribolano in qualifica e, quando riescono a qualificarsi, in gara. Dal GP di Francia, la Footwork – col modello FA12C – abbandona i V12 Porsche per convertirsi al V8 Cosworth DFR preparato da Hart. I risultati latitano e le mancate pre-qualificazioni e qualificazioni abbondano; solo a fine stagione, Caffi e Alboreto riescono ad acciuffare piazzamenti decorosi.
Pettegolezzi o verità? Fatto è che accaparrarsi le Case è, per i massimi organismi tecnici e sportivi, una irrinunciabile priorità, a dire il vero non sempre ortodossa, benefica e salvifica per qualsivoglia categoria motoristica. Alfa Romeo, Aston Martin, Porsche, Audi e BMW (queste ultime due sempre più impegnate in Formula E) costituiscono autentici obiettivi a cui mirano i vertici della Formula 1 da anni. Sinora molte chiacchiere, molte illazioni e speculazioni ma nessuna mossa concreta e tangibile. Tormentoni ma, purtroppo, nulla di più.
Attendiamo gli eventi, confidando e sperando in un più ampio e contemporaneo coinvolgimento delle suddette Case su più fronti, dalle ruote coperte alla Formula 1. Mettetevi in gioco, noi siamo pronti.
Scritto da: Paolo Pellegrini