Quando Michael Schumacher pareggiò Juan Manuel Fangio a quota cinque titoli del mondo piloti, rifiutò categoricamente ogni possibile paragone con l’asso argentino. Non potete confrontare – disse, più o meno – le gare, le auto, i rischi con i quali si destreggiavano lui e gli altri eroi suoi contemporanei con quelli con i quali ho a che fare io. Lui è una leggenda, aggiunse, poi.
Eppure l’arte più praticata nei paddock reali e virtuali di tutto il mondo è proprio quella del PR. No, non mi riferisco alle Pubbliche Relazioni o al suono onomatopeico che accompagnava ogni uscita del simpatico zio Bernie al tempo della sua teocrazia, bensì al Paragonismo Ricorsivo. E cosa sarebbe? Si tratta dell’arte secondo la quale, per parafrasare il celeberrimo proverbio africano, ogni volta che un pilota inizia ad acquistare fama e risultati, non importa che tu sia blogger, giornalista o tifoso paraocchiato, l’importante è che cominci a fare paragoni con i grandi del passato. Messi di fronte al Paragonismo Ricorsivo, i piloti hanno mostrato le reazioni più varie: dal signorile diniego all’aperta gratitudine, ribadendo, in alcuni casi, la propria indefessa ammirazione verso coloro che erano stati gli idoli della loro infanzia. Ricordate l’emozionante cerimonia della consegna del casco di Senna a Lewis Hamilton in occasione dell’ultimo Gran Premio del Canada? Quello è stato l’apice del Paragonismo Ricorsivo nel 2017, finora.
Già, Lewis Hamilton e il suo “2017 finora”.
Bisogna cercare di capirlo, Lewis Hamilton. Un predestinato, un talento, un giovane precoce con una bellissima storia di riscatto personale, un personaggio dal grande appeal mediatico. Forte in qualifica e in gara, all’asciutto o sul bagnato, nei budelli cittadini o nei grandi tilkodromi. Capace di trovarsi al momento giusto sulla macchina giusta per vincere – per oculatezza o per fortuna – e implacabile nel momento in cui sente di poter agguantare la vittoria. Il tutto, condito da un carattere complesso, dominato da un certo – cattivo – gusto per l’eccesso, non solo nella categoria “abiti, accessori e accompagnatrici” ma anche nei gesti, quasi sempre plateali, nell’abulia da condivisione social e nella sproporzione di certe dichiarazioni, usate come clava verso questo o quel “nemico”.
Eccessi da un lato e, dall’altro, quelli che, più che black-out, definirei smarrimenti. Momenti, fasi dei suoi campionati in cui è apparso appannato, demotivato, distratto. Non incisivo in qualifica, evanescente in gara, al netto di guasti, incidenti e penalizzazioni. Smarrito, insomma. Il che, a bordo dell’invincibile Mercedes di un paio di stagioni fa e con accanto un compagno di squadra sottotono, sarebbe rimasto confinato entro qualche statistica né avrebbe compromesso la conquista dei titoli mondiali in palio, ma oggi, con una Ferrari solida e costante, una Red Bull in continuo miglioramento e un coinquilino di box affamato, assume i contorni di un caso.
Bisogna cercare di capirlo, Lewis Hamilton. Aveva così calorosamente auspicato una lotta ruota a ruota con un avversario finalmente degno, cioè Sebastian Vettel con la sua Ferrari, e quello che fa? Lo prende a ruotate! Aveva espressamente apprezzato l’arrivo del bravo Valtteri Bottas come compagno di box e quello che fa? Va in pole, vince, e la Mercedes muta! Aveva quasi superato l’onta della sconfitta subita nel 2016 da quel raccomandato di Nico Rosberg, finalmente era libero di non doverselo vedere tutti i giorni davanti e cosa succede? Quei cattivoni di giornalisti gli domandano ogni tre per due di lui! E poi c’è Alonso. Fernando Alonso. Che bello sarebbe averlo per compagno, eh? Certo, è stato bello essere compagni di sventure, relegati nelle retrovie dalla strapotente e strafottente RedBull e alleati nel lamentarsene, ma, Rihanna gli sia testimone, come compagno di box ne ha avuto abbastanza nel 2007!
Qui en es esto niño – who’s that guy?
È il nuovo Senna o solo uno che ne ha raggiunti i record? Lecito chiederselo, dal momento che Senna, giova ricordarlo, demoliva i suoi compagni di squadra a suon di giri veloci, poles e vittorie e certamente non chiedeva via radio che rallentassero per ostacolare un avversario. Dopo averle prese da Rosberg nel 2016, in queste prime nove gare del campionato 2017, Hamilton è riuscito a sfigurare nei confronti di un Bottas da subito veloce e concreto, anche se privo del guizzo del genio.
È il nuovo Senna oppure la riproposizione di un vecchio enigma, quello del pilota che alterna eccessi e smarrimenti? È un guaio, perché la latitanza di Hamilton toglie buona parte del gusto a una competizione realmente avvincente, la quale, dopo anni di piattezza monocolore, riassapora finalmente un duello fra monoposto, oltre che fra piloti.
E quindi?
Cercasi Lewis disperatamente!
Per il suo bene, per lo show, per gli opinionisti e per trovare una risposta a queste domande.