24 agosto 2003: il giorno in cui i piccoli Michael superarono Schumacher
Nell’avvicendarsi delle stagioni della Formula Uno ve ne sono alcune in cui cambia tutto: macchine, tecnologie, regolamenti e la struttura stessa dello show. Un cambiare pelle che dovrebbe realizzare un virtuoso connubio fra esaltazione delle eccellenze sportive e tecnologiche, esigenze di spettacolarità e massimizzazione dei tempi televisivi, il tutto a condire una lotta di uomini e macchine che si spera si mantenga combattuta fino all’ultima gara, senza verdetti già scritti. Il 2017, l’anno dei gommoni, delle belve da pista e del duello mondiale Hamilton – Vettel, sembra essere sulla buona strada, ma l’elenco è lungo se guardiamo al passato. Senza spingerci troppo indietro all’era del turbo-ibrido, c’è stato un anno che fu emblematico: il terribile e al contempo trionfale 2003.
Il campionato era iniziato nel segno delle novità: spariva il glorioso warm up e veniva battezzata la discussa regola del parco chiuso, mentre le qualifiche venivano rivoluzionate dall’introduzione della formula del giro secco; la distribuzione del punteggio subiva, inoltre, una modifica, “diluendo” i punti fra i primi otto classificati. Fra nuovi piloti desiderosi di ribalta, giovani in cerca di conferme e addii dolorosi come quello della Arrows, solo una sfida restava immutata: quella verso la Ferrari e Michael Schumacher, la scuderia e il pilota da battere.
Impoverita da lunghi anni di miseria sportiva, la Scuderia sembrava destinata a mantenere solo il nome e la memoria di un glorioso passato, ma negli anni precedenti si era lanciata in una resurrezione inimmaginabile e furiosa, che aveva cancellato e riscritto una lunga serie di record. All’alba del campionato 2003, la Ferrari si schierava con la monoposto dell’anno precedente, perché allora era concesso di concedersi il lusso degli sviluppi a stagione iniziata, mantenendo altresì la coppia titolare artefice dei successi degli ultimi due anni: Rubens Barrichello e lui, il Kaiser Michael Schumacher.
Il figlio del popolo diventato il re della massima serie delle competizioni automobilistiche era giunto al culmine di un cammino che sarebbe stato definito leggendario negli anni a venire. Amato in maniera viscerale e incrollabile ma anche odiato per i motivi più disparati, Michael Schumacher non aveva perso la fiera baldanza dei suoi primi anni da racer, quando osò sfidare Senna, né la chirurgica abilità con la quale dimostrava il suo superiore talento a detrattori e concorrenti; come un buon vino o una grassa forma di Parmigiano, invecchiando acquistava valore e non soffriva la concorrenza di smaliziati avversari. Arrivato come un corpo estraneo, era diventato una bandiera: la Ferrari aveva ingaggiato Schumacher e aveva guadagnato un Michele, un pilota sopraffino ma anche un compagno di tante battaglie, un uomo squadra che vinceva e perdeva assieme a tutta la Scuderia. Ebbene, cosa avrebbe riservato il 2003 alla Ferrari e al suo pilota di punta? Avremmo assistito a un ennesimo, lungo monologo rosso oppure l’agguerrita Williams, la rediviva Renault e la bestia nera McLaren avrebbero ripreso a menare forte invece di limitarsi a i prenderle? E lui, Schumacher, il Kaiser, avrebbe abdicato, magari in favore del fedele Barrichello, oppure avrebbe continuato ad alimentare quella fame atavica di successi della quale non trovava sazietà?
Il responso fu quanto mai incerto ma era chiaro che il campionato 2003 non sarebbe stato una passeggiata sul red carpet per la Ferrari e per Michael Schumacher. Fra guasti, errori e colpi di scena, la prima parte del campionato, fu, infatti, un cammino accidentato. Le vittorie arrivarono tardi – al prima fu a San Marino – e la classifica era quanto mai accorciata, anche perché i nuovi punteggi, nell’economia della classifica generale, premiavano molto i piazzamenti, per cui anche chi aveva poca esperienza ma contava su un mezzo valido e una condotta di gara assennata poteva diventare pericoloso. La Ferrari, però, fu in difficoltà anche grazie alla tenace e consistente bravura degli avversari: l’indomabile Juan Pablo Montoya, spietato, velocissimo e privo di qualsivoglia gentilezza, ma soprattutto i giovanissimi Kimi Raikkonen e Fernando Alonso. Il primo aveva la faccia da ragazzino guastafeste ed era un personaggio indecifrabile: non rilasciava dichiarazioni e non indulgeva in tatticismi ma se ne sbatteva, correva e basta. Molto, molto forte. Il secondo era un sorprendente concentrato di talento, rabbiosa determinazione e intelligenza tattica versato nel corpo di un bambino spettinato, che aveva ben presto dimostrato di essere tutt’altro che un mediterraneo caliente ed emotivo. Tutti e tre non avevano timore reverenziale e correvano per vincere, convincere e abbattere record.
Per farlo, dovevano battere lui, il Kaiser.
Michael Schumacher lo sa. Si è fatto le ossa come racer negli anni in cui si moriva nel week end di gara e si è consacrato campione negli anni in cui gli incidenti accadevano ancora, ma con conseguenze molto limitate. Dagli infortuni ci si riprende e si ritorna come prima, meglio di prima, come è accaduto a lui nel ’99, le monoposto diventano più facili da guidare e le carriere si allungano. Questi giovani – lui lo sa – se si affermeranno, resteranno a lungo, forse più a lungo di lui. Forse lo batteranno. Forse saranno loro, Kimi e Fernando, i piccoli Michele che si affacciano alla ribalta della Formula Uno per diventare gli Schumacher di domani. Forse, perché di Schumacher ce n’è uno solo e non ha nessuna intenzione di mollare.
L’estate fu caldissima, in tutti i sensi. Nelle roventi piste europee le monoposto gommate Michelin avevano un netto vantaggio rispetto a quelle servite dalla concorrente Bridgestone e la sofferenza, per la Ferrari, fu evidente, anche dai titoli di giornale: all’indomani di una delle gare più sofferte, una delle testate italiane titolò La Ferrai ha le gomme a terra! La gara in questione si tenne in Ungheria il 24 agosto del 2003. Quello fu il giorno in cui i piccoli Michael fecero sparire Schumacher.
Fa specie parlarne ora, nel 2017, quando il Gran Premio di Ungheria ha sancito, con una vittoria piena di pathos, il successo di Maranello su quella che fino all’anno passato era l’imbattibile corazzata di Stoccarda, ma non sempre la terra di Mattia Corvino ha regalato miele alle truppe di rosso vestite. Nel 2003, infatti, masticarono amaro una sconfitta alla quale si aggiunse il fiele di un umiliante sorpasso: Michael Schumacher, relegato in ottava posizione da un’infelice qualifica – peggiorata dalle caratteristiche di un circuito in cui non si sorpassa quasi mai – e quasi impossibilitato a una reazione per la scarsa collaborazione delle sue gomme Bridgestone, fu doppiato dal ventiduenne Alonso che andò a prendersi la sua prima vittoria guidando una gara di manifesta superiorità. Secondo e terzo giunsero Raikkonen e Montoya, piazzandosi rispettivamente a uno e a due punti dalla testa della classifica del campionato del mondo piloti. Fu uno smacco personale e una disfatta di gruppo d’altri tempi, laddove si arrivò a mettere in discussione un’intera organizzazione. La Ferrari è surclassata – si disse – l’era dello strapotere di Maranello sta per tramontare, Schumacher deve accettare di essere stato superato. I piccoli Michele sono già cresciuti e sono diventati gli uomini da battere.
Sappiamo tutti come andò a finire il campionato 2003: doppia vittoria in entrambi i campionati, in un’ultima gara tesissima e incerta fino alla fine, che sancì anche il conseguimento di un record tutt’ora imbattuto, cioè quello dei sei titoli piloti, che divennero presto sette. Saldamente nelle mani e nel cuore di Michael Schumacher, che non temeva il confronto con nessun cosiddetto piccolo Michele, nemmeno se ne veniva doppiato. Con buona pace delle banderuole e degli odiatori di mestiere, la stagione 2003 e quel sofferto Gran Premio di Ungheria insegnarono alla Ferrari e ai suoi passionali tifosi che niente è assodato, che il fiele si nasconde anche nel miele dei trionfi e che per tornare più forti di prima alle volte serve sperimentare le sberle degli altri. E serve anche avere un condottiero, uno che non abbia paura nemmeno di se stesso.
Con le prime conferenze stampa e gli altri appuntamenti di rito, il 24 agosto 2017 terminerà la rovente pausa estiva di un campionato che vede campioni che hanno battuto Michael Schumacher sfidarsi con altri che avevano il suo poster nella cameretta. Il giorno 27 agosto, invece, a Spa-Francorchamps, sulla pista che lui amava considerare come il giardino di casa sua, scenderà in pista la sua Benetton B194 per celebrare la sua prima vittoria in Formula Uno. La guiderà un giovane emergente, uno che viene tenuto d’occhio da più parti, un piccolo Michele anche lui. Il suo piccolo Michele.
Forse farà caldo anche lì, in Belgio, quasi come nel 2003, e vedere il figlio di Schumacher nella sua macchina ci darà una bella sventagliata di emozioni e ricordi. E capiremo, ancora una volta, che di un grande campione non ricordiamo con nostalgico affetto solo le vittorie, ma serbiamo anche la memoria delle sconfitte dalle quali è tornato più forte di prima. Torna presto, keep fighting.
P.s.: se amate queste storie e il modo in cui le raccontiamo, il 24 agosto 2017 sarà un giorno importante per Circus Formula Uno e per tutti noi blogger. Per saperne di più…