Mick ha i capelli biondi, li porta corti, con la riga da un lato. Sono solo un po’ spettinati, ma niente che un cappellino fornito con solerzia dal solito sponsor non possa mascherare.
Mick ha grandi occhi blu, fatti apposta per far innamorare le coetanee. Chi sospira, però, è gente di tutte le età che, guardandoli, vi rivede lo sguardo limpido ed espressivo di suo padre.
Mick è poco più di uno scricciolo di diciotto anni. Si sa, i piloti non sono dei marcantoni, ma lui pare il più piccolo di tutti, con quel suo vitino stretto nella tuta da gara, con tutta l’enorme pressione mediatica buttata addosso e la pesante assenza della grande ala paterna a proteggerlo.
Mick ha il sorriso dolce e paziente di sua madre, mentre risponde alle domande dei giornalisti – sempre uguali, sempre quelle – e guarda, attorno a lui, il cuore palpitante di Spa-Francorchamps che si commuove e festeggia.
Venticinque anni prima, su quel circuito plasmato direttamente dal dio dei motori, il 27 agosto 1992, il mondo si accorse che il giovane corsaro tedesco venuto da un kartodromo di provincia aveva la classe innata, la determinazione feroce e l’intelligenza tattica di un vero campione e che, negli anni successivi, non avrebbe più potuto fare a meno di lui. Michael Schumacher mantenne la promessa che aveva fatto all’esordio, un anno prima, quando, rannicchiato sul suo casco, aveva giurato alla bella e tremenda pista delle Ardenne che si sarebbe ricordata di lui. Vinse con l’entusiasmo di un esordiente e l’abilità di un consumato mestierante. Vinse – solo a Spa per altre cinque volte – e non smise più di farlo, fino al 2006.
Mick è ben conscio di non essere uno qualunque, ma un Mick che di cognome fa Schumacher. Quando suo padre era soltanto un Michael qualunque, aveva la fame, il talento, le promesse e nient’altro, ma anche la libertà di cui gode uno sconosciuto nel prendersi i suoi tempi e concedersi le occasioni per sbagliare. Mick non può, perché il privilegio del suo cognome gli farà scontare la trafila, ma non gli renderà più facile o libera l’ascesa. Michael diventò Schumacher e Mick deve dimostrare di meritarselo, quel cognome.
Quando suo padre ha detto definitivamente basta al mondo delle corse, alla sua vita come l’aveva conosciuta fino ad allora e come la conosceva la sua famiglia, ha lasciato un vuoto enorme, profondo e famelico come un buco nero, che ha fagocitato gli appassionati, orfani di una leggenda, e coloro che hanno cercato di raccoglierne immediatamente l’eredità, schiacciati dall’immeritato paragone. Il motorsport, però, ha un cuore grande e i nuovi campioni, come è giusto che accada, si sono conquistati la ribalta di cui godono.
Quando suo padre è scomparso nella nebbia che lo avvolge da quel maledetto dicembre, il buco nero s’è ingrandito, diventando gravido dell’incredulità commossa dei tanti che, pur non essendo mai stati tifosi del Kaiser, amano questo sport e i suoi eroi. Quando arrivano certe ricorrenze, come il 27 agosto 2017, quando i campioni di oggi si impossessano dei record che furono dei campioni del recente passato, l’attrazione di quel vortice diventa travolgente. Mick, che ha la forza di sua madre e la determinazione di suo padre, si è fatto fare, allora, un casco speciale e l’ha indossato sulla sua tuta da gara; poi ha preso in prestito la monoposto che guidava suo padre, la Benetton B194, l’ha portata sulla pista di Spa, percorrendo quel nastro d’asfalto come se fossero i lembi del buco nero e, curva dopo curva, l’ha ricucito. A chi lo guardava da un lato, sembrava proprio che ci fosse Michael Schumacher a bordo, con quell’inconfondibile casco bianco con la bandiera tedesca, lo stesso che gli fece da sgabello in quel lontano 1991. A chi si metteva di fronte, però, appariva chiaro che quel casco era così soltanto per metà, perché l’altra parte portava i colori di gara di Mick, non per separare il padre dal figlio, ma per unirlo a lui idealmente nell’abbraccio del popolo di Spa.
Il 27 agosto 2017 tutta la gente del paddock lo ha accompagnato in pista e lo ha scortato, quasi che volesse dire Ora ci pensiamo noi a lui, così Mick ha preso il posto di Schumacher, non solo nella monoposto, perché quel figlio diciottenne dai begli occhi blu e dalla zazzera bionda ha preso per mano la sua famiglia e ne è diventato il volto pubblico, ora che suo padre non può più farlo.
E ha chiarito una volta di più che i record sono fatti per essere battuti, ma raccogliere l’eredità di un campione è ben altro.
P.s.: oltre a ricordarvi di votare CircusF1 come Blog dell’anno per la categoria Motori, vi invito, se vi va, a riavvolgere il filo del corpus di articoli dedicati a Michael Schumacher, dal primo all’ultimo. Magari vi piacciono i titoli…
– 25 agosto 1991 – il giorno in cui Michael divenne Schumacher
– 27 luglio 1997 – il giorno in cui Schumacher divenne Michele
– 24 agosto 2003 – il giorno in cui i piccoli Michael superarono Schumacher