Halo, WEC, Formula E: 2018, crocevia per il futuro del motorsport
Il presente ed il futuro del motorsport incrociano sul proprio cammino il 2018. Un anno cruciale, si direbbe.
La Formula 1 sarà alle prese con Halo. Questo ormai noto dispositivo di sicurezza “ornerà” le monoposto a partire dal prossimo anno. Una imposizione della FIA (l’ennesima) in nome della “sicurezza”. L’Halo, unificato per tutte le scuderie, verrà realizzato in esclusiva da una ditta incaricata dalla FIA secondo rigide specifiche tecniche fornitele dalla Federazione Internazionale dell’Automobile stessa. Tale dispositivo potrà essere personalizzato dai team mediante l’applicazione di appendici aerodinamiche intese a “pulire” i flussi diretti, anzitutto, verso la presa d’aria dinamica per il motore. Pare che la forma definitiva dell’Halo non sia quella “apprezzata” (si fa per dire…) sinora; dovrebbe subire affinamenti ed una migliore integrazione in vettura.
Ad ogni modo, se pur imbellettato, Halo rimane un oggetto invasivo e, diciamolo francamente, assai brutto. Un antiestetico dispositivo – costantemente oggetto di satira da parte del pubblico appassionato (e non potrebbe essere diversamente) – finalizzato (in teoria) alla protezione della testa del pilota nelle più svariate, spiacevoli situazioni: dal semplice detrito (si presume enorme, perché frammenti e pezzi più piccoli potranno ancora penetrare e colpire la testa) alla ruota “impazzita”, sino all’impatto tra vetture (ad esempio, un’auto che vola e decolla sopra ad un’altra). Stiamo parlando, dunque, di episodi percentualmente trascurabili, benché indubbiamente pericolosi. Si sa: la sicurezza totale non esiste e appare sempre quale atto di presunzione da parte dei legislatori plasmare una qualsivoglia categoria in funzione della “sicurezza totale”. Pura utopia, una autentica chimera.
I piloti – ossia i reali protagonisti – sono contrari all’introduzione del “miracoloso e mirabolante infradito” (è un campionario di dichiarazioni di disappunto contro Halo, anche molto colorite…), ma ciò non è bastato a fermare il perverso e demagogico meccanismo della “sicurezza-a-tutti-i-costi”. L’onda emotiva nata a seguito dell’incidente mortale occorso a Jules Bianchi (fatalità più unica che rara) ha prodotto Halo. Un elemento che non solo snatura e imbruttisce le linee delle monoposto, non solo non garantisce la totale sicurezza, ma rischia di giocare un tiro mancino alla Formula 1. Una F1 che, dopo il positivo lifting promosso in questo 2017, ha ritrovato e riscoperto anche un innegabile appeal estetico, smarrito in anni e anni di norme regolamentari decisamente poco a fuoco, per non dire scellerate.
Come reagirà il pubblico (pagante) all’introduzione di Halo e alla vista di monoposto improvvisamente imbruttite e snaturate? In tanti anni di GP, abbiamo “digerito” di tutto: dalle gomme scanalate (1998-2008) ai musi gradinati (peraltro non obbligatori ed evitabili) concepiti nel 2012, passando per le non certo belle auto partorite dai regolamenti del 2009. E infatti, anche per questi motivi, la F1 ha subito negli anni una flessione – spesso vistosa – in termini di seguito e presenza di pubblico. Attenzione: Halo rischia di essere, per l’immagine della F1, un clamoroso autogol a porta vuota.
E veniamo alle altre questioni scottanti, le quali vanno ad incrociare il destino della Formula 1. La “schiavitù” delle Case, l’enorme potere delle Case di orientare e condizionare, nel bene, spesso nel male, i regolamenti, decretando – quasi inconsapevolmente – il successo ed il declino di un qualsivoglia campionato.
Il ritiro di Porsche dal World Endurance Championship (chiusura del programma LMP1 ma rimane in forma ufficiale in GTE-Pro con la nuova 911 RSR) ha gettato nello scompiglio il mondo dell’endurance e prodotto nuovi scenari. Nell’arco di due anni, il WEC ha perso altrettante Case: dapprima Audi, ora Porsche. Il probabile ridimensionamento del programma LMP1 da parte di Toyota costituirebbe l’atto conclusivo di un ciclo indubbiamente positivo ed entrato di diritto nella storia delle competizioni ma non privo di difetti. Difetti i quali hanno condotto a tale, prevedibile capitolo finale.
Del resto, la storia dello sfaccettato e complesso mondo delle ruote coperte e dell’endurance – in misura maggiore rispetto ai GP – è costantemente scandita e caratterizzata da cicli, tanto accese quanto ristrette rivalità (spesso solo tra due contendenti principali) e da autentici stravolgimenti regolamentari volti, sovente, a riconquistare fascino, interesse, concorrenti. Il mondo dell’endurance, per intrinseca vocazione, deve contemplare anche le Case: è il loro naturale, prediletto e storico terreno di sfida, ancor di più dei Gran Premi. Al contempo, coccolare le Case automobilistiche sino a concepire e plasmare attorno ad esse regolamenti e campionati può risultare una lama a doppio taglio. Inevitabile ferirsi, prima o poi.
Mai fidarsi delle “capricciose” Case. Se esse non sono affiancate da un solido zoccolo di team privati e medio-piccoli costruttori (che debbono essere messi nella condizione tecnica, grazie a regolamenti snelli, liberi e non ad uso e consumo delle Case, di poter lottare ad armi pari coi colossi dell’auto), il collasso – dopo la ubriacatura della sfida tra Case – sarà inevitabile e repentino. È accaduto così in passato, accade in queste ore. Si pensi, a tal riguardo, al declino della classe LMP1. Prendendo come riferimento la 24 Ore di Le Mans, il dato appare lampante: negli ultimi 10 anni, il numero delle LMP1 gestite da team privati o realizzate da medio-piccoli costruttori (Lola, Creation, Zytek/Ginetta, Pescarolo, Courage/Oreca, Dome, Epsilon Euskadi, HPD) è sceso drasticamente, sino a toccare il minimo storico nella edizione appena trascorsa, con la sola Enso CLM P1/01-Nissan ai blocchi di partenza (6 le LMP1 complessive al via).
È la fine delle LMP1 ibride? Prematuro dirlo. Ma supponiamo di no. Nissan ha mollato l’osso dopo la sola 24 Ore di Le Mans 2015 (tanto ardito e interessante quanto fallimentare il progetto della GT-R LM), Audi (nel medesimo periodo, Volkswagen si ritirava dal Mondiale Rally) ha appeso la LMP1 al chiodo a seguito del discusso e chiacchierato “Dieselgate”, Porsche abbandona perché (ufficialmente) appagata e priva di ulteriori motivazioni in mancanza di una terza Casa (anche se forse i vertici avrebbero comunque abbandonato il WEC in favore della Formula E…). I costi, dunque, non sono mai stati tirati in ballo, così come le Case non hanno mai messo in dubbio l’obbligo delle motorizzazioni ibride. Anzi, ACO ha in programma ulteriori provvedimenti tecnici che, se attuati, porteranno ad una più marcata “elettrificazione” dei Prototipi LMP1 nel prossimo futuro.
La LMP1 si trova ad un bivio: attirare team privati e medio-piccoli costruttori, correggere i noti ed evidenti errori regolamentari, iniziando dal depennare l’obbligo dei motori ibridi per le Case ufficiali. L’occasione è ghiotta: ripartire dagli “artigiani del motorsport” per intavolare una nuova sfida, persino più incerta e godereccia rispetto ad un confronto al vertice tra sole Case. Certo, occorre che i team privati ed i piccoli costruttori sfoderino iniziativa, coraggio e spavalderia attualmente smarriti: tutti pretendono (pretendere non è un sinonimo di volere…) di vincere qualche coppetta ed ecco che si preferisce giungere primi tra i “cadetti” che ultimi (con onore) tra i grandi…
I destini di Formula 1 e WEC sono legati alla (preoccupante) crescita della Formula E. La Formula E – campionato sotto egida FIA – altro non è che una mera vetrina propagandistica ad uso e consumo delle Case automobilistiche. Telaio uguale per tutti (realizzato dalla Spark Racing Technology in collaborazione con Dallara; a capo della Spark Racing Technology vi è Frédéric Vasseur, ieri alla Renault, oggi alla Sauber…), una sfida tecnica di infimo profilo (nessuno rischia figuracce, detto in soldoni), costi ridotti, gare di breve durata, circuiti e regolamenti da parco giochi estivo. Ma poco importa: alle Case la Formula E serve solo per arruffianarsi le simpatie della politica e dei circoli ambientalisti, i quali – letteralmente – comandano e dirigono a bacchetta le sorti della civiltà umana con subdola demagogia e menzogne, sport del motore compreso. Audi, Porsche, BMW, Mercedes (che addirittura lascia il DTM), Jaguar (Tata Group), Renault, Mahindra, DS (Citroën), probabilmente Maserati (anche il gruppo FCA dovrà produrre auto ibride ed elettriche di serie, utili a rientrare nella media delle emissioni ed evitare, così, sanzioni salate) fanno o faranno parte del carrozzone Formula E anche se, nei fatti, di BMW, di Mercedes, di Jaguar, di Mahindra, in queste vetture, non c’è nemmeno un bullone. Vale la pena menzionare alcune inedite informazioni racchiuse nel libro “Il climatismo: una nuova ideologia“ di Mario Giaccio.
Il TERI (The Energy Research Institute; la sede è a Delhi) era diretto, negli Anni ’80, da Rajendra Pachauri, spacciato dalla “gloriosa”, “autorevole” BBC quale “maggior climatologo al mondo”; in realtà, Pachauri è un ingegnere ferroviario con lunga carriera manageriale in aziende – rullo di tamburi… – petrolifere. Pachauri stesso è stato a lungo presidente (dal 2002 al 2015, si è dimesso a seguito di uno scandalo sessuale) dell’IPCC, acronimo di Intergovernmental Panel on Climate Change, l’autentico ma sottaciuto “deus ex machina” che muove i fili della retorica e dell’azione ambientalista nel mondo. Ebbene, il TERI nasce nel 1974 sotto l’impulso del Tata Group, oggi a capo di Jaguar (oggi impegnata in Formula E: i conti tornano…) e Land Rover e con le mani in pasta in molteplici interessi ambientalisti. Basti citare il CDM, il cosiddetto “Meccanismo per lo Sviluppo Pulito”, o la diabolica ma anch’essa sottaciuta compravendita delle emissioni di CO2, meccanismo finanziario che nulla ha a che fare con la reale tutela dell’ambiente ma che, al contrario, ha permesso al Tata Group di intascare la modica cifra di 1,2 miliardi di Sterline in “crediti di emissioni”.
In questa gelatina fatta di operazioni ai limiti (e oltre…) della legalità e madornali conflitti di interesse, pertanto, si muovono le Case automobilistiche e tutte quelle aziende che hanno annusato l’enorme potenziale economico che ruota attorno all’IPCC e alle sue tentacolari, radicate, profonde direttive e attività collaterali. Le Case, quindi, trovano nella Formula E la spalla ideale, sia per farsi perdonare le fasulle omologazioni anti-emissioni (vedi “Dieselgate”), sia per entrare nel “giro che conta”.
Anche la Formula E, in quanto campionato nato in funzione della retorica ambientalista e delle Case automobilistiche, cammina sull’orlo del precipizio. L’appeal di tale campionato, nonostante la pressante grancassa dei media compiacenti, degli uffici stampa e dei manager delle Case coinvolte, è ancora molto basso. Qualora le Case si accorgano che il gioco non vale più la candela (ritorno di immagine nullo, ascolti TV e presenza di pubblico non soddisfacenti), anche la Formula E si ritroverà – come si suole dire – con una mano davanti ed una dietro.
Fatto è che oggigiorno, e almeno per i prossimi anni, l’appeal che la Formula E riscuote presso le Case è superiore rispetto al WEC e alla Formula 1.
Formula 1 e WEC – facile a dirsi, difficile, se non impossibile, a farsi – debbono distaccarsi e slegarsi dai concetti e dalla retorica tipici della Formula E. Sì, ovviamente, alle Case ma offrendo al pubblico appassionato un prodotto sensibilmente più attraente, tipicamente, genuinamente corsaiolo, relegando, cioè, la “elettrificazione” delle motorizzazioni alla sola Formula E. Non solo. Affrancarsi dalla “schiavitù” delle Case sarebbe una ulteriore mossa azzeccata. La Formula 1, quando ha preteso di trasformarsi in vetrina tecnologica ad uso esclusivo delle Case (quasi schifando le piccole scuderie; siamo nella prima decade degli Anni 2000), ha fallito miseramente. Idem, ciclicamente, il mondo delle ruote coperte.
I temi di dibattito, come si evince, sono molti, spaziano in più territori ed investono importanti argomenti correlati (possibilità di realizzare vetture clienti tanto in F1 quanto nel WEC, ad esempio). I destini dei maggiori campionati – F1, WEC e FE – sono più che mai intrecciati.
Scelte vitali per il futuro del motorsport sono state prese o attendono alla porta. Al 2018, e anni a venire. il ruolo di cartina tornasole.
Scritto da: Paolo Pellegrini
Giudizio tranciante sulla Formula E, un punto di vista interessante però.
Grazie per il libro consigliato!