Fischi a Hamilton e Marquez. Noi diciamo NO al tifo contro nel motorsport!
Dieci giorni fa a Monza i fischi a Lewis Hamilton vincitore del Gran Premio d’Italia. Domenica scorsa stesso trattamento a Marc Marquez sul gradino più alto del podio di Misano. Gli spalti degli autodromi italiani assomigliano sempre di più agli stadi di calcio.
Ormai da qualche anno, in occasione degli eventi più importanti del motorsport che si tengono sui circuiti italiani, Formula 1 e Motogp in primis, si è assistito alla poco edificante scena di fischi e “buuu” a danno di piloti che transitano per primi sotto la bandiera a scacchi, ma che per loro sfortuna non sono italiani o non guidano una Ferrari.
E’ successo dieci giorni fa a Monza a Lewis Hamilton, “reo” di aver sottratto la vittoria e la testa del mondiale all’idolo di casa Sebastian Vettel, che guida una monoposto rossa. Per ironia della sorte lo stesso Vettel aveva ricevuto analogo trattamento nel 2013, sempre sul circuito brianzolo, quando malauguratamente aveva vinto la gara con una Red Bull, battendo l’eroe in rosso di turno Fernando Alonso.
Domenica scorsa, due ruote in meno, circuito di Misano: stesso copione. Marc Marquez ha appena vinto meritatamente il Gran Premio di San Marino di Motogp, battendo due italiani, Danilo Petrucci e Andrea Dovizioso su Ducati. Apriti cielo! Sul podio è stato ricoperto dai fischi dei tifosi della casa di Bogo Panigale, e soprattutto di Valentino Rossi, assente per infortunio, che non hanno mai dimenticato la “combine” tutta spagnola tra Marquez e Jorge Lorenzo. E anche il secondo protagonista del presunto accordo a danno di Valentino, nonostante ora corra per una casa italiana, è stato oggetto di esultanze quando, in testa alla gara, si è steso al 7° giro.
Eventi che, trasmessi in mondovisione, non hanno passato di certo una bella immagine del nostro paese, già in crisi di popolarità per altre questioni extrasportive.
Episodi che ad un vero appassionato del motorsport, come si reputa chi vi scrive, hanno lasciato l’amaro in bocca.
E’ necessario informare coloro che portano in scena tali comportamenti maleducati e irrispettosi, che, chi si trova sul gradino più alto del podio, è colui che, più o meno meritatamente, ha vinto una gara, su quattro o due ruote, battendo avversari altrettanto bravi e veloci. E che per fare ciò ha sfidato la morte a 300 km orari ad ogni curva, su ogni rettilineo, ad ogni sorpasso. E tutto questo per dare libero sfogo alla sua passione per il motorsport, al suo desiderio di velocità e di essere il primo: e per far divertire e soffrire chi osserva questi moderni cavalieri.
Per questo e per altri mille motivi, tutti questi piloti, dal vincitore a quello che arriva per ultimo, magari spingendo la moto fino sotto la bandiera a scacchi per portare a casa un misero punticino (vedi Zarcò a Misano), meritano il rispetto di tutti gli appassionati e tifosi, anche se non si chiamano Sebastian Vettel o Valentino Rossi, o non guidano una monoposto del cavallino.
Il Motorsport si è sempre differenziato dal calcio, perché in una pista, diversamente che in un campo, l’avversario da battere non è un nemico, contro il quale scagliarsi quando questo ha battuto meritatamente sul campo il proprio beniamino. E questo è quello che regolarmente succede sui tracciati del “bel paese”.
Ma perché questo primato tutto tricolore?
Sicuramente la passione per i motori che scorre abbondante nelle vene degli appassionati italiani, che sommato al trasporto emotivo e alla partecipazione tipica del nostro vivere, da luogo ad una miscela esplosiva.
Ma anche i media, o meglio una parte di essi, hanno le loro responsabilità: una comunicazione sbagliata, troppo schierata nei confronti del pilota di turno della Ferrari o del campione di Tavullia. Perché in occasione del Gran Premio di Misano, con Rossi a vedere la gara alla TV a causa di un infortunio, sono stati riproposti, ad oltre due anni dall’accaduto, gli episodi che hanno visto coinvolti i due campioni di Yamaha e Honda?
Al di là delle responsabilità dirette o indirette di quello o quell’altro, è un comportamento deprecabile. Nel motorsport non c’è, e non deve esistere il tifo contro. Ed a maggior ragione, visto che ad ogni gara questi signori rischiano la pelle, non si devono vedere gesti di esultanza o sfottò in occasione di incidenti dei quali magari non si conoscono nell’immediato le conseguenze fisiche per il pilota.
Comportarsi sotto il podio come se si stesse assistendo alla finale di Champions League non ha senso. Il motorsport è profondamente diverso dagli altri. Il pubblico è sempre stato, e nelle altre nazioni lo è ancora, appassionato delle belle gare, e tifoso di un pilota. Gioisce alla vittoria del proprio idolo. E partecipa rispettoso alla consacrazione degli altri piloti. Esattamente come ha auspicato Andrea Dovizioso, intervistato in merito ai fischi a Marquez: “Sarebbe ora di imparare a tifare il proprio pilota preferito e ammirare gli altri”.
E se proprio l’antipatia verso il vincitore è cosi irrefrenabile, c’è un’alternativa ai fischi e alla disapprovazione: girare le spalle e andarsene. Applicando il noto aforisma: “L’indifferenza è peggio dell’odio”.
Concludendo, tifosi motoristici italiani, per una volta in più imparate dagli altri: applaudite il vincitore, chiunque esso sia, o se proprio non vi riesce, imparate a stare zitti. Spesso il silenzio è d’oro!
Concordo. Quei fischi sono vergognosi, imbarazzanti.