La cantilena suona monotona dal 2014: “ridateci i V10!”, “ridateci i V12!”. La questione, ormai ricorrente, riguarda il sound degli attuali motori di Formula 1 (V6 Turbo di 1600cc), secondo il pubblico appassionato più generalista (ma non solo…) e, probabilmente, storicamente e tecnicamente poco attrezzato o di corta memoria, non consono alla Formula 1. Per questa ragione, in tanti invocano motori aspirati ben più rumorosi. I 10 cilindri, i 12 cilindri. E poco interessa se sono tutti V10 o V12 per imposizione regolamentare e vincolati nelle più fondamentali caratteristiche e specifiche: l’importante è che facciano rumore. Percorsi tecnici, peraltro, che la Formula 1 ha già stoltamente abbracciato: dal 2001 al 2005, infatti, erano contemplati esclusivamente V10 aspirati di 3000cc, dal 2007 al 2013 (nel 2006, potevano convivere i nuovi V8 coi “vecchi” V10), solo V8 aspirati di 90° di 2400cc. Sound conturbanti, assai goderecci, musica per i nostri orecchi, non v’è dubbio, ma varietà interpretativa quasi azzerata (specie nel periodo dei V8).
Luoghi comuni e populismi a parte, i motori plurifrazionati affascinano da sempre. E non potrebbe essere diversamente. In particolare, i motori 12 cilindri incarnano, agli occhi dell’appassionato, il “non plus ultra” della tecnologia motoristica, benché, nei fatti, ogni tipologia di propulsore – indipendentemente dalla cilindrata, dal frazionamento e dalla architettura – richieda attenzioni e studi assai accurati e particolareggiati. Insomma, un 4 od un 6 cilindri non valgono meno di un 12. D’altronde, alla base di qualsiasi plurifrazionato, vi è la progettazione e lo studio del singolo cilindro. I motori 12 cilindri, inoltre, non rappresentano il valore massimo in fatto di frazionamento. Auto Union e BRM, ad esempio, si sono spinte ben più in là, realizzando propulsori 16 cilindri – sovralimentati e aspirati – tra gli Anni ’30 e la seconda metà degli Anni ’60: in V di 45° di 4360cc e 6006cc per le leggendarie Auto Union (unità entrambe sovralimentate mediante compressori volumetrici di tipo Roots), in V di 135° di 1488cc (sovralimentato mediante un compressore centrifugo a doppio stadio) e in H aspirato di 3000cc per il costruttore britannico. Anche Maserati, Alfa Romeo e la statunitense Miller si cimentano, negli Anni ’20 e ’30, nella progettazione e nella applicazione di siffatti propulsori.
Il 12 cilindri, nonostante la intrinseca complessità, è tra le tipologie di motore più impiegate in passato in Formula 1. Frazionare quanto più possibile il numero di cilindri in rapporto alla cilindrata totale, infatti, costituisce un espediente tecnico utile al raggiungimento di elevati valori di potenza e regimi di rotazione. La stagione inaugurale del Mondiale Piloti di Formula 1 (1950) vede la sola Ferrari schierare monoposto spinte da unità a 12 cilindri. Lo fa grazie ai modelli 125 (V12 di 60° di 1500cc sovralimentato mediante compressore volumetrico), 166 (V12 di 60° di 2000cc aspirato), 275 (V12 di 60° di 3322cc aspirato) e 375 (V12 di 60° di 4493cc aspirato). La Casa di Maranello, per volere del proprio fondatore – Enzo Ferrari –, eleva il frazionamento a 12 cilindri ad autentica bandiera. Un “marchio di fabbrica” indelebile e indissolubile, benché la Ferrari stessa abbia realizzato anche eccellenti e vincenti motori Formula 1 a 4, 6, 8 e 10 cilindri, aspirati e sovralimentati.
Nell’immaginario collettivo, la Ferrari è la Casa che meglio rappresenta la scuola motoristica dei 12 cilindri ad alte prestazioni. Quante volte abbiamo ascoltato o letto “ah, il sound dei V12 Ferrari!”? Un frase fatta (giacché gli altri 12 cilindri non sono da meno di quelli realizzati a Maranello…) che, però, racchiude in sé l’identificazione – semplicistica ma veritiera – tra Ferrari e 12 cilindri.
Oltre ai già citati modelli, la Ferrari – negli Anni ’50 – schiera altre tre auto azionate da unità 12 cilindri: la 212 (V12 di 60° di 2562cc aspirato), la 375 TW, una versione della 375 personalizzata da Tony Vandervell e nota col nome di “Thin Wall Special” e la controversa 375S, vettura destinata alla 500 Miglia di Indianapolis. Occorre attendere il 1964 per rivedere in pista una Ferrari Formula 1 spinta da un motore 12 cilindri. L’onore e l’onere spettano alla 1512 (nota anche col nome di 512 F1), vettura azionata da un 12 cilindri in V di 180° aspirato (da non confondersi con i motori boxer) di 1489cc. A distinguere, infatti, un V di 180° ed un boxer vi è l’imbiellaggio: un V di 180° presenta due bielle affiancate che insistono sul medesimo perno di manovella.
I nuovi regolamenti tecnici entrati in vigore nel 1966 (3000cc aspirati, 1500cc sovralimentati) inducono la Casa di Maranello, ancora sotto la spinta decisionale del Commendatore, a giocare la carta del 12 cilindri. I modelli 312, 312/67, 312/68 e 312/69 presentano il classico, aggiornato, rivisitato ma ancora eccessivamente pesante, 12 cilindri in V di 60°, ovviamente aspirato, di 3000cc e con nuove testate a 3 e 4 valvole per cilindro.
Nel 1970, grazie alla 312B, fa il proprio debutto il nuovo 12 cilindri “piatto”, ossia un V di 180°, ancora aspirato e di 3000cc di cilindrata. Si apre, dunque, un corso tecnico che porterà alla Ferrari successi e gloria. Infatti, il V12 di 180° contraddistinguerà le Ferrari F1 dal 1970 al 1980 (modelli 312B, 312B2, 312B3, 312B3-74, 312T, 312T2, 312T3, 312T4 e 312T5), contribuendo alla conquista di tre Mondiali Piloti (Niki Lauda nel 1975 e 1977, Jody Scheckter nel 1979) e di quattro Mondiali Costruttori (1975, 1976, 1977, 1979).
Gli anni del Turbo (1981-1988) accantonano solo momentaneamente la tradizione dei motori Ferrari 12 cilindri. Nel 1989, allorché la F1 abbraccia nuovi regolamenti tecnici, il Cavallino ripone le proprie speranze di successo nel massimo frazionamento consentito dal regolamento, il quale contempla esclusivamente motori aspirati di cilindrata massima pari a 3500cc e massimo 12 cilindri. Dal 1989 al 1994, la Ferrari schiera i modelli 640, 641, 642 e 643 (F1-91), F92A e F92AT, F93A e 412T1 e T1B. L’angolo tra le due bancate rimane inalterato sino al 1993 (12 cilindri in V di 65°); anche la testata subirà modifiche, passando da 5 valvole (3 di aspirazione e 2 di scarico, 1989-1993) a 4 valvole per cilindro (2 di aspirazione e 2 di scarico, 1994). Nel 1994, inoltre, fa il proprio debutto il 12 cilindri in V di 75° (ad affiancare, così, il precedente V12 di 65°), caratteristica che rimarrà in vita anche nel 1995 (Ferrari 412T2), anno in cui la cilindrata massima regolamentare scende da 3500cc a 3000cc. La Ferrari 412T2 del 1995 è l’ultima monoposto di Formula 1 prodotta a Maranello ad essere spinta da un motore 12 cilindri. Purtroppo, questa generazione di V12 a cavallo tra la fine degli Anni ’80 e la prima metà degli Anni ’90 non maturerà alcun titolo iridato: solo nel 1990 la Ferrari sfiora, con Alain Prost, quell’iride che, all’epoca, mancava dal 1979. Nel biennio 1994-1995, le 412T1, T1B e 412T2 sono le sole monoposto operanti in F1 ad essere azionate da motori 12 cilindri; gli altri motoristi, infatti, preferiscono realizzare ed adottare unità ad 8 e, soprattutto, 10 cilindri. In particolare, il 10 cilindri è ritenuto quale miglior compromesso tra cilindrata, prestazioni, peso, ingombri. È così che anche la Ferrari, nel 1996, si convertirà al 10 cilindri: la vettura è la bellissima F310, il motore è lo 046, un V10 di 75°.
La Casa di Maranello, come noto, non è il solo costruttore ad aver percorso con successo la via del 12 cilindri. Nel 1951, i V12 Osca di 4500cc aspirati vanno a spingere la Osca 4500G e la privata Maserati 4CLT/48 condotta da “Prince Bira” (principe Birabongse Bhanutej Bhanubandh del Siam). Nel 1957, è la italiana Maserati a riportare in gara un 12 cilindri di Formula 1. Lo fa in occasione del GP d’Italia, affidando l’unica 250F spinta da tale motore a Jean Behra. La “formula 1500” (1961-1965) conosce, a fronte di una cilindrata massima esigua (1500cc, appunto; cilindrata minima pari a 1300cc), una marcata varietà interpretativa. E non mancano i 12 cilindri. Oltre al già menzionato Ferrari, anche la Honda intraprende questa ardita via. Le Honda RA271 e RA272 (V12 di 60° disposti trasversalmente) rappresentano, ancora oggi, l’apice tecnologico di quegli straordinari anni.
Dal 1966, è tutto un fiorire di 12 cilindri. V12 Ferrari (si tratta del 168/62 della GTO) li troviamo installati a bordo della Cooper T73 condotta da Chris Lawrence (GP di Gran Bretagna e Germania) e gestita dal J.A. Pearce Engineering. La Maserati, con i suoi aggiornati ma datati V12 di 60°, andrà a spingere le Cooper T81, T81B, T86, T86B, al contempo V12 di 60° Weslake motorizzeranno, tra il GP d’Italia 1966 ed il medesimo GP del 1968, la straordinaria Eagle T1G. Negli stessi anni (1966-1968), la Honda realizzerà magnifici V12 di 90° (aspirati di 3000cc) che andranno ad azionare i modelli RA273, RA300, RA301. Nel 1967, a bordo della McLaren M5A condotta da Bruce McLaren, debutta il BRM P142: un V12 interamente e fieramente “made in England” il quale, dal 1968, verrà adottato anche dallo stesso costruttore britannico. La British Racing Motors, pertanto, si cimenta nella realizzazione di interessanti e competitivi V12: i modelli P261 (monoposto nata nel 1964, originariamente spinta dal P60 V8, ma riproposta dal Bernard White Racing nel 1968 impiegando il nuovo V12 di 60° P142), P126, P133, P138, P139, P153, P160, P160B, P180, P153B, P160C, P160D, P160E, P201 e P201B, P207 sono tutti azionati da V12. Queste vetture coprono un arco temporale che va dal 1968 al 1977. In occasione del GP di Gran Bretagna del 1968, il Cooper Car Company affida una Cooper T86-BRM V12 a Robin Widdows. Assai più lunga e proficua la carriera del BRM P142 V12 a bordo delle T86B (1968) gestite dal Cooper Car Company.
Nel 1968, appare un altro V12. Un motore ed un Marchio che scriveranno pagine di storia delle competizioni: Matra. Il V12 di 60° francese debutta per la prima volta in occasione del GP di Monaco. La vettura è la MS11, il pilota Jean-Pierre Beltoise. Campione del Mondo nel 1969 grazie a Jackie Stewart e le MS10 e MS80 motorizzate Cosworth DFV V8, la Casa francese rientra in F1 col proprio team ufficiale (nel 1969, opera solo il Matra International gestito da Ken Tyrrell, scuderia che opta, sin dal 1968, per i Cosworth DFV in luogo dei V12 Matra) nel 1970 e sino al 1972. I modelli di monoposto sono le MS120, MS120B, MS120C, MS120D. Nel 1975, un V12 Matra (lo MS73) ritorna a calcare le scene della F1. La Shadow DN7, in occasione dei GP di Austria e Italia e condotta da Jean-Pierre Jarier, è spinta dall’urlante V12 transalpino. Questa breve esperienza anticipa il rinnovato impegno della Matra in Formula 1, tuttavia solo in qualità di motorista. L’ingresso della Ligier in F1 è una occasione da non perdere: telaio francese, motore francese. Ed è così che i V12 di 60° prodotti dalla Matra vanno a motorizzare le straordinarie monoposto dell’azienda fondata da Guy Ligier: la JS5 del 1976, la JS7 del 1977-1978, la JS7/9 del 1978, la JS9 del 1978, la JS17 del 1981-1982, la JS17B del 1982, la JS19 del 1982. Nel fruttuoso biennio 1979-1980, però, la Ligier si affida ai V8 Cosworth DFV.
L’Italia, negli anni ruggenti della Formula 1, dà sfoggio di ammirevoli capacità e coraggio. La Tecno, nel biennio 1972-1973, realizza un tanto coraggioso quanto fallimentare V12 di 180°, il quale va a spingere le PA123/3, 123/4 e 123/6.
Nel 1976, dopo una lunga assenza, l’Alfa Romeo riabbraccia in forma ufficiale la Formula 1. La Casa del biscione va a motorizzare la Brabham BT45 grazie ad un nuovo 12 cilindri in V di 180°, debitamente aspirato e di 3000cc di cilindrata massima. La collaborazione con la Brabham si consuma nell’arco di pochi anni, dal 1976 al 1979. I modelli Brabham che accolgono motori Alfa Romeo sono i seguenti: BT45, BT45B, BT45C, BT46A, BT46B, BT48. Nel 1979, la BT48 è spinta dal nuovo 12 cilindri Alfa Romeo; si tratta di un V di 60°, architettura ritenuta più consona alle pressanti esigenze aerodinamiche richieste dalle Wing-Car.
Nel 1979, l’Alfa Romeo completa il proprio impegno in F1. Le nuove Alfa Romeo 177 e 179 sono azionate rispettivamente dal V12 di 180° e dal V12 di 60°. Il costruttore italiano impiegherà quest’ultima tipologia di motore sino al 1982, sui modelli 179, 179C, 179D e 182. Nel 1983 (e per il solo GP di San Marino 1984), il V12 Alfa Romeo va a motorizzare la bella Osella FA1E. Una unità che, ormai, palesa il fiato corto rispetto ai sempre più esuberanti e richiesti propulsori turbocompressi.
La prima era del Turbo sancisce la “morte” (per scelta, non per imposizione regolamentare) del 12 cilindri, ritenuto eccessivamente frazionato in rapporto alla cilindrata massima (1500cc) prevista per i motori Turbo. Prerogativa di tali motori, infatti, è il poter erogare potenze esorbitanti anche in presenza di piccole cilindrate e ridotti frazionamenti.
Nel 1989, la FIA mette in atto un ulteriore, ennesimo, sostanziale capovolgimento di fronte regolamentare. Nel biennio 1987-1988, assieme ai motori sovralimentati di 1500cc, possono convivere unità aspirate di cilindrata massima pari a 3500cc. Nel 1989, i regolamenti FIA Formula 1 contemplano solo questi ultimi motori. La Lamborghini debutta in Formula 1, mettendo a disposizione un proprio 12 cilindri in V di 80°, il 3512. Papà del progetto e della Lamborghini Engineering, Mauro Forghieri. Nel 1989, sono le Lola LC88B e LC89 del Larrousse & Calmels F1/Equipe Larrousse le prime monoposto a portare in gara il maestoso ma poco affidabile motore italiano. Il V12 Lamborghini, nel 1990, andrà a motorizzare le Lola LC89B, L90 e Lotus 102. Nel 1991, sarà la volta della bellissima e nostalgica Lamborghini 291 del Modena Team e delle Ligier JS35 e JS35B. Nel 1992, i V12 Lamborghini motorizzeranno le Minardi M191B e M192 e la Venturi LC92. La carriera in Formula 1 del 3512 si esaurisce nel 1993: la Larrousse LH93 è l’ultima monoposto ad ospitare il bel propulsore italiano. Tale motore avrebbe dovuto spingere le McLaren nel 1994 (Senna aveva promosso il motore nel corso di un test divenuto ormai famoso; siamo nel 1993), ma Ron Dennis straccia l’accordo in favore dei V10 Peugeot e di condizioni economiche più favorevoli messe sul tavolo dall’azienda francese.
Nel 1990, la Coloni FC189B e Betrand Gachot patiscono le pene dell’Inferno: causa dei mali, il motore Subaru 1235, un 12 cilindri boxer (nato come V12 di 180° ma trasformato in boxer per ragioni di immagini legate al Marchio Subaru) realizzato dalla Motori Moderni fondata da Carlo Chiti. Il motore lamenta e palesa molteplici pecche tali da costringere la scuderia italiana a rescindere il contratto con la Casa nipponica e adottare, senza risultati, il Cosworth DFR.
Nel 1990, appare quello che diverrà a breve uno dei motori più significativi, sebbene fallimentare, degli anni ruggenti della Formula 1: il W12 Life F35. Progettato da Franco Rocchi, installato sulla Life L190 portata in pista da Gary Brabham e Bruno Giacomelli, questo motore si caratterizza per la propria architettura. I 12 cilindri, infatti, sono disposti a W, ossia su tre bancate da 4 cilindri ciascuna. L’angolo tra le bancate è di 60°. I risultati sono pessimi e, in occasione dei GP del Portogallo e Spagna, il W12 è rimpiazzato dal Judd EV V8. Con i medesimi riscontri.
Nel 1991, i V12 si moltiplicano più dei pani e dei pesci. Ferrari (Ferrari 642, 643 e Minardi M191), Lamborghini e le “new entry” Yamaha, Honda e Porsche. La Yamaha, con il suo V12 OX99, va a spingere le Brabham BT59Y e BT60Y. Nel 1992, la Jordan 192 butta alle ortiche una probabile buona stagione a causa della pochezza del propulsore giapponese. La Honda – dopo il trionfante biennio 1989-1990 in cui si affida agli RA109E e RA100E, ambedue V10 di 72° – sfodera il vincente RA121E, V12 di 60° che consente alla McLaren Mp4/6 condotta da Ayrton Senna di aggiudicarsi il Mondiale Piloti. L’anno successivo, la Honda realizza lo RA122E, motore nuovamente fornito in esclusiva alla McLaren (Mp4/6B e Mp4/7A). La Porsche, dal canto suo, schiera un 12 cilindri in V di 80° (medesimo angolo dei vincenti V6 Turbo), progetto intelligente ma rivelatosi insoddisfacente. A portare in gara il V12 tedesco, le Footwork A11C e FA12. Questo motore verrà abbandonato a stagione in corso; è così che la Footwork FA12C verrà equipaggiata con il più gestibile Cosworth DFR. Tra il 1992 ed il 1993, V12 Ferrari vengono impiegati anche dalla Dallara (Dallara 192, 1992) e dalla Lola (T93/30, 1993).
Dal 1996, i motori 12 cilindri non calcano più le scene della Formula 1. Dapprima per libera e legittima scelta dei motoristi, successivamente per mere imposizioni regolamentari. La Toyota, invero, per il proprio ingresso in F1, aveva optato per un 12 cilindri; ma il progetto veniva forzatamente abortito allorché la FIA imponeva il frazionamento 10 cilindri (2001). Un simile motore era in fase di progettazione anche negli uffici e nelle sale della Cosworth.
I motori 12 cilindri, scomparsi dal quel 1996 dal teatro della Formula 1, continueranno ad essere adottati in altri importanti palcoscenici motoristici, in particolare nelle categorie e nelle più importanti corse dedicate alle vetture a ruote coperte. Prototipi e Gran Turismo, pertanto, sfoggiano i tanto amati propulsori plurifrazionati: dalla Ferrari 333SP alla Lister Storm GTS e GTL (Jaguar V12; prestigiosa la tradizione dei 12 cilindri della Casa fondata da William Lyons, basti pensare ai successi dei Prototipi IMSA GTP e Gruppo C tra gli Anni ’80 ed i primi Anni ’90, grazie anche ai V12 di 60° di 5343cc, 5954cc e infine 7000cc di cilindrata derivati dalla produzione di serie), dalla McLaren F1 GTR (BMW V12) alle BMW V12 LM e LMR, dalle Ferrari 550 e 575 Maranello alla Aston Martin DBR9, dalla Lamborhini Murcielago alla Pagani Zonda GR, dai Prototipi a gasolio LMP1 Audi R10 TDI e Peugeot 908 HDi FAP alle indimenticabili Lola B08/60 e DBR1 Aston Martin, vetture LMP1 entrambe spinte dal V12 aspirato (a benzina) inglese, un 60° di 6000cc di cilindrata. Senza dimenticare una delle regine del Gran Turismo degli Anni 2000, vanto italiano: la Maserati MC12 GT1, spinta dal V12 aspirato di 65° (6000cc di cilindrata) di derivazione Ferrari.
L’ultima monoposto spinta da un motore 12 cilindri è la Panoz DP09, interessante realizzazione purtroppo destinata al fallimentare e ridondante campionato Superleague Formula. Questa vettura, operativa dal 2008 al 2011, si avvale di un 12 cilindri in V di 60° di 4200cc realizzato dalla Menard. La potenza è di oltre 750 CV a 11,750 giri/minuto. Attualmente, solo la Aston Martin Vantage GT3 difende la bandiera dei motori 12 cilindri. Ed è sempre firmata Aston Martin un’altra interessante e, diremmo esclusiva, recente applicazione dei suoi V12: ci riferiamo alla Aston Martin V12 Zagato, ammirata protagonista della 24h del Nürburgring e del VLN (Veranstaltergemeinschaft Langstreckenpokal Nürburgring, organismo che dà vita al VLN Langstreckenmeisterschaft Nürburgring).
Potranno ritornare i 12 cilindri in Formula 1? Come sempre, dipenderà dai regolamenti tecnici e, soprattutto, dalla volontà di stilare e concepire norme che consentano la rinascita di tali motori. Non vogliamo che la FIA imponga il frazionamento a 12 cilindri – parimenti a quanto malauguratamente avvenuto con i 10 e gli 8 cilindri aspirati e, dal 2014, con i 6 cilindri Turbo – bensì è auspicabile che questa tipologia di motore costituisca nuovamente una libera scelta, una alternativa tra le molteplici opzionabili, in una rinnovata convivenza tra propulsori aspirati e sovralimentati.
Di seguito, una breve ma significativa carrellata di motori 12 cilindri (tutte le foto sono di Paolo Pellegrini).
Il 12 cilindri in V di 180° installato sulla Ferrari 312B2. 2991cc di cilindrata, questo V12 presenta misure di alesaggio e corsa pari a 80 mm x 49,6 mm, un rapporto di compressione di 11,5:1 ed una potenza massima di 470 CV ad oltre 12,500 giri/minuto.
La Tecno, fondata dai fratelli Pederzani (Luciano e Gianfranco), sull’onda dei successi nelle categorie propedeutiche e in Formula 2, si cimenta nella realizzazione di monoposto Formula 1. La carriera delle PA123/3, PA123/4 e PA123/6 – iscritte sotto la bandiera del Martini Racing Team/Martini Racing – copre un arco temporale che va dal GP del Belgio 1972 al GP d’Italia 1973. Anche il motore, oltre al telaio, è realizzato dalla azienda italiana: un 12 cilindri in V di 180°, aspirato di 3000cc.
L’Osella FA1E del 1983-1984 è l’ultima monoposto di Formula 1 a portare in gara il celebre 12 cilindri Alfa Romeo. Si tratta di un V12 di 60°, aspirato e di 3000cc di cilindrata. Questa vettura viene portata in pista, nel 1983, da Piercarlo Ghinzani e Corrado Fabi a partire dall’appuntamento imolese; nel 1984, Jo Gartner è al volante della FA1E Alfa Romeo solo in occasione del GP di San Marino (Imola).
Nel 1991, la Ferrari schiera due diversi modelli di monoposto: la 642 e la 643 (note anche con nome di F1-91). In particolare, la 643 debutta a partire dal GP di Francia. In foto, vediamo il 12 cilindri 037 installato sulla bella ma fallimentare 643, portata in gara da Alain Prost, Jean Alesi e Gianni Morbidelli. Il V12 di 65° presenta misure di alesaggio e corsa pari a 86 mm x 50,2 mm, un rapporto di compressione di 13,3:1 ed una potenza massima di circa 725 CV a 14,500 giri/minuto. La cilindrata è di 3499cc. Di seguito, il V12 di 65° installato a bordo della Ferrari F92A del 1992. Le misure di alesaggio e corsa vengono modificate: 88 mm x 47,95 mm. Il rapporto di compressione è di 12,6:1, la potenza di circa 735 CV a 14,800 giri.
Nel 1994, la Ferrari introduce un nuovo 12 cilindri. L’angolo tra le due bancate è divaricato sino a 75°, al contempo la testata a 4 valvole per cilindro sostituisce la precedente 5 valvole che aveva caratterizzato i precedenti V12 di 65° di 3500cc. La potenza sale a circa 750 CV ad oltre 15,000 giri/minuto.
La Lola Aston Martin DBR1 LMP1 alla 1000 km di Catalunya, prima prova della Le Mans Series 2009. Si tratta dell’ultima vettura Prototipo ad adottare un 12 cilindri (in V di 60° di 6000cc, aspirato) a benzina, nella fattispecie derivato dal motore della DBR9. Impegnata sia in Europa che negli USA tra il 2009 ed il 2011, la DBR1 è divenuta in breve tempo un’auto culto tra gli appassionati.
La immortale Peugeot 908 HDi FAP LMP1 ripresa alle verifiche tecniche della 1000 km di Spa-Francorchamps 2010 (Le Mans Series). La vettura è azionata da un 12 cilindri Diesel in V di 100° (Audi opta per un V12 di 90°). La cilindrata è di 5500cc. La sovralimentazione avviene mediante due turbocompressori. La potenza massima è di oltre 700 CV, la coppia di oltre 1200 Nm. Basso, ovviamente, il regime massimo di rotazione, dell’ordine di 5000 giri/minuto. La vettura è attiva dal 2007 al 2011; verrà rimpiazzata e affiancata, nel 2011, dalla 908 spinta dal V8 di 90° di 3700cc, ancora Diesel e sovralimentata da 2 turbocompressori.
Scritto da: Paolo Pellegrini