Continuando le celebrazioni per i 70 anni della Ferrari è giusto ricordare questo giorno che ha segnato un crocevia fondamentale nella storia del Cavallino Rampante.
Più precisamente bisogna fare un salto di ben 17 anni, l’8 ottobre 2000 infatti terminava il periodo più oscuro della Ferrari e iniziava un nuovo ciclo che avrebbe riscritto la storia della Formula 1.
Proprio come oggi, il Circus più veloce del mondo faceva tappa a Suzuka, per il penultimo appuntamento del mondiale.
Uno dei mondiali più affascinanti della storia in cui il campione in carica Mika Hakkinen e lo sfidante Michael Schumacher si erano dati battaglia per un intero anno, con sorpassi e duelli al limite dell’impossibile.
Se fin da subito la Ferrari aveva avuto un inizio scoppiettante con 5 vittorie nelle prime 8 gare, Mika Hakkinen mostrò che la Mclaren non si sarebbe arresa facilmente e, sfruttando a pieno gli inconvenienti capitati a Schumacher nei 3 Gran Premi estivi, richiuse il gap di 24 punti.
Dopo il Gran Premio d’Ungheria, Hakkinen aveva 2 punti di vantaggio sul tedesco della Ferrari e l’incredibile sorpasso di SPA-Francorchamps sembrò dare la mazzata definitiva alle speranze iridate del tedesco.
Non era solo il popolo del Cavallino a soffrire questa incredibile rimonta della Mclaren numero 1, ma anche Michael Schumacher iniziava ad avere qualche dubbio sulla possibilità del titolo mondiale.
Michael era approdato in Ferrari nel 1996, dopo aver vinto 2 titoli con la Benetton. La Ferrari rappresentava una nuova sfida, ma fin da subito divenne più dura del previsto.
Nel 1996 la vettura non era all’altezza del titolo mondiale, anzi presentava dei problemi strutturali e molti ricorderanno il caso curioso in cui i piloti inclinavano leggermente la testa nei rettilinei per migliorare l’afflusso di aria a motore e il conseguente incremento delle prestazioni.
Nel 1997 arrivò la prima occasione per il titolo mondiale, ma la Williams si mostrò decisamente superiore e una scorrettezza all’ultima gara costò a Michael una squalifica dal campionato.
Nel 1998 ecco la seconda occasione per conquistare il titolo mondiale, ma una falsa partenza da parte del tedesco della Ferrari e una foratura al 31° giro consegnarono il titolo mondiale ad Hakkinen.
Nel 1999 l’incidente a Silverstone tolse Michael dalla corsa al titolo già da metà stagione.
Dopo questi primi 4 anni chiunque avrebbe rinunciato, ma non Schumacher. Per lui la Ferrari non era una semplice pagina della sua carriera, era diventata la sua unica ragione di vita. Se ne accorse a Monza nel 1996, ma già ad Imola aveva avuto i primi segnali.
I tifosi italiani amavano la Rossa di Maranello e tutto questo coinvolgeva i piloti, soprattutto Schumacher che alla sua prima vittoria a Monza non credeva alle proprie orecchie, perché le urla della tifoseria superavano il sound del suo motore V10.
Tuttavia vincere era dura e dopo il Gran Premio del Belgio del 2000 la strada era più che mai in salita: 74 punti contro 68, Schumi doveva vincere e doveva farlo subito.
Fu proprio a Monza che Michael tornò ad essere padrone, vinse di misura su Mika Hakkinen che giunse al traguardo con 3,810 secondi di ritardo, ma i due percorsero 53 giri “da qualifica” rispondendosi con tempi sempre più veloci.
In conferenza stampa, quando fecero notare al tedesco che con la sua 41° vittoria agganciava Ayrton Senna nella classifica di tutti i tempi, Schumi si sciolse, pianse, come una persona normale.
Eravamo abituati al tedesco di ghiaccio, freddo e calcolatore, ma quel pianto rese Michael più umano che mai. Il suo pianto era dovuto al raggiungimento del record di Senna, che per lui era un idolo, anche se il loro rapporto non era mai stato buono, ma soprattutto era il pianto di un pilota che non vinceva da quasi tre mesi, era il pianto di un campione che per un’intera estate aveva vissuto con la consapevolezza che tutto stava andando nel modo sbagliato, era il pianto di un uomo che aveva paura di fallire ancora, di deludere le persone che avevano tanto creduto in lui, divorato dall’incubo di vedere l’ennesimo titolo sfuggirgli dalle mani.
Dopo Monza, il Gran Premio degli Stati Uniti capovolse la situazione.
L’inizio della gara era su pista umida e Schumacher si trovò a sandwich tra le due Mclaren con Mika Hakkinen dietro. Al 6° giro Hakkinen montò le gomme da asciutto e, dopo le difficoltà dei primi giri, iniziò a recuperare terreno su Schumacher che doveva rassegnarsi alla superiorità Mclaren, ma al 26° giro ci fu del fumo e poi delle fiamme che uscirono dal posteriore della MP4-15 con il numero 1. Mika Hakkinen fu tradito dal motore nuovo, si ritirò e Schumacher vinse il Gran Premio degli Stati Uniti.
Restavano 2 gare alla fine e il tedesco della Ferrari conduceva con 8 punti di vantaggio sul finlandese della Mclaren.
Arriviamo quindi in Giappone, Schumacher non era mai stato fortunato su questa pista, aveva vinto solo 2 volte di cui una al volante della Ferrari, ma gli ultimi due anni erano stati i peggiori.
Nel 1998 la sua Ferrari conquistò la Pole-Position, ma alla seconda procedura di partenza Michael commise un errore da principiante e la sua F300 si spense con quel “saltino” che raggelò il sangue nelle vene di ogni tifoso. Michael partì ultimo e provò la rimonta, ma ormai tutto era compromesso. Al 31° giro, quando si trovava al terzo posto, vide la posteriore destra esplodere in rettilineo e la sua vettura lo abbandonò sul guard-rail a bordo pista dove assistette al trionfo di Hakkinen.
Nel 1999 fu costretto a fare da spalla al compagno Eddie Irvine. Michael non era contrario agli ordini di scuderia, anzi aveva più volte affermato che se un pilota di una scuderia ha la possibilità di vincere il titolo è dovere della seconda guida aiutarlo nella vittoria. Quello che turbava Schumacher però era il fatto che Irvine sarebbe diventato il primo campione Ferrari dopo Jody Scheckter che era stato l’ultimo nel lontano 1979. Egoista o no, Schumacher voleva essere ricordato come il pilota che aveva riportato al trionfo la Ferrari, perché ormai la scuderia di Maranello faceva parte della sua vita e lui voleva vincere.
Tuttavia accettò il ruolo di seconda guida, ma Irvine non ebbe mai la chance di attaccare Hakkinen e per questo il finlandese divenne campione del mondo per la seconda volta.
L’8 ottobre 2000 toccava a Schumacher, doveva vincere davanti ad Hakkinen e sarebbe diventato campione del mondo al voltante di una Ferrari.
Il Gran Premio si disputava alle 14:30 ora locale, il che voleva dire alle 5:30 in Italia.
Milioni di spettatori era incollati al teleschermo, sembrava di rivedere il film del 1998, Michael Schumacher era in Pole-position, conquistata per soli 9 millesimi su Mika Hakkinen, 9 millesimi, quantificabili in 55 cm, che ti cambiano la gara.
Questa volta Schumacher rimase concentrato, ma alla partenza strinse la traiettoria verso Hakkinen.
Il finlandese non alzò il piede, superò la Ferrari e iniziò a dettare il ritmo. Il resto del gruppo si staccò subito, adesso era Hakkinen contro Schumacher, da soli, su una delle piste più difficili in cui un errore lo paghi caro.
Dopo i primi giri, Hakkinen aveva un vantaggio di 2 secondi e mezzo, ma Schumacher non lo mollava, sapeva che se conteneva il distacco le occasioni si sarebbero presentate.
Arrivò il momento della sosta ai box, Hakkinen si fermò per primo al 22° giro, Schumacher era solo al comando e doveva spremere tutto dalla sua vettura. Due giri dopo si fermò il tedesco, ma al rientro in pista Hakkinen era di nuovo davanti con poco più di due secondi.
La prima sosta era andata e la Mclaren aveva mantenuto la posizione quindi era ancora in corsa per il titolo. Schumacher sapeva che sorpassare in pista era quasi impossibile, è troppo stretta e le prestazioni delle due vetture erano troppo simili. Restava una sola occasione, la seconda sosta ai box.
Il tedesco della Ferrari non poteva rischiare di uscire dalla pit-lane di nuovo dietro a Mika Hakkinen e per questo iniziò a fare sul serio riducendo a pochi decimi il distacco, ma il finlandese ancora una volta si fermò per primo al 37° giro.
Schumacher sapeva che aveva 3 giri di benzina, Ross Brawn aveva calcolato tutto nei minimi dettagli, e per questo lui doveva dare tutto. Fece quello che solo lui sapeva fare.
Proprio Ross Brawn, qualche tempo dopo, disse: “A Michael potevi chiedere tranquillamente di fare una gara facendo segnare un giro veloce dopo l’altro, lui era in grado di farlo!”
Quando arrivò la sosta della Ferrari numero 3, furono i 6 secondi più lunghi di tutto il campionato. I meccanici non sbagliarono e quando Michael uscì dalla corsia box Hakkinen stava percorrendo l’ultima curva.
Il finlandese era in seconda posizione, la Ferrari e Schumacher lo avevano sorpassato.
Negli ultimi giri però, Hakkinen non si arrese e provò in tutti i modi a recuperare, ma Schumacher passò sotto la bandiera a scacchi al primo posto.
Da quel momento, ogni ansia, ogni paura, ogni tristezza che la Ferrari aveva vissuto per ben 21 anni erano spariti, scomparsi nelle urla del tedesco che capì di aver fatto qualcosa di unico, qualcosa che i tifosi avrebbero ricordato per sempre.
L’8 ottobre 2000, Michael Schumacher diviene campione del mondo per la prima volta al volante di una Ferrari.
Luca di Montezemolo, all’epoca presidente della Ferrari, corse a Maranello dove le campane iniziarono a suonare, ma soprattutto i tifosi, che per anni avevano sofferto le sconfitte, avevano invaso la cittadina modenese, erano solo le 7 di mattina di una delle domeniche più belle nella storia del Cavallino.
Sul podio Michael, come un direttore d’orchestra, guidava l’inno che la sua squadra cantò a squarciagola e Jean Todt, direttore generale della Ferrari, salito sul podio, disse al suo campione: “Adesso niente sarà più come prima!”
Era cambiato tutto, adesso la Ferrari era sul tetto del mondo e occupò quel posto per i 5 anni successivi, dando inizio ad uno dei cicli più vincenti nella storia della Formula 1.
CLASSIFICHE F1 2000: MONDIALE PILOTI
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