La glaciale atarassia di Kimi Raikkonen | #F1aFavola
Succede che il karma decide di voltarti le spalle. Di guardare altrove, di puntarti il dito. Succede che le cose non vanno come vorresti, e allora te la prendi con te stesso e con gli altri. Cerchi un colpevole, qualcuno da indiziare come responsabile. In alcuni casi però, succede che non ti scagli contro nessuno. Ti chiudi in te stesso, cosa non da poco. Ma soprattutto, cosa assolutamente normale, se la freddezza ce l’hai nel sangue. E se ti chiami Kimi Raikkonen.
Parliamoci chiaro: chiunque alla mancata partenza, dopo un weekend già nero per la rossa, avrebbe sbroccato. A maggior ragione se nel sabato negativo di Sebastian Vettel, il secondo posto di Iceman voleva dire tanto. E visto il passo del tedesco, chissà la #7 dove sarebbe potuta arrivare. Anzi, chissà quale gradino avrebbe occupato. Kimi Raikkonen invece ha messo in mostra la sua glacialità anche in questa occasione, limitandosi alle interviste di rito e alle parole già lette e già sentite in passato.
Il finlandese non è nuovo al sentirsi in credito con il mondo che lo circonda. Basti vedere quanto accaduto nel GP di Monaco di quest’anno, dove il suo passo lo avrebbe portato, secondo i calcoli, al successo. Ma per quieto vivere e per volontà del muretto, il trionfo è andato a Sebastian Vettel. Emblematico è però il Gran Premio d’Europa del 2005, quando Kimi, al volante della McLaren, si ritirò all’ultimo giro a causa del cedimento di una sospensione. Quando era in testa alla gara ed era in corsa per il titolo. Stralci di un record negativo che accompagnano Iceman ma che, dal punto di vista emotivo, sembrano non scalfirlo di un millimetro.
Numeri non facili da digerire, soprattutto se ad essi aggiungiamo il digiuno da vittorie negli ultimi quattro anni. Ovvero, da quando è tornato in Ferrari. L’ultimo inno finlandese dedicato a Kimi risale al GP d’Australia 2013, quando era ancora in Lotus. Eppure, l’aura negativa che lo avvolge non lo condiziona. Anzi, ciò che filtra dall’apparenza sembra non averlo mai interessato.
C’è l’attaccamento alla maglia, diremmo in termini calcistici. Basti pensare alle strette di mano e ai complimenti rivolti ai suoi meccanici, quando hanno tentato l’impossibile per rianimare la Rossa di Vettel in Malesia. Ma c’è anche il suo temperamento da duro. Una reazione diversa al dolore, diremmo noi, ma che lo eleva ad icona di questo sport, dove nonostante il mondo vada in direzione ostinata e soprattutto contraria, lui continua a dare il massimo. Da vero professionista.
Questo #F1aFavola racconta di un principe e della sua rossa. Con la speranza che possa tornare presto ad abbracciare il trofeo più grande del podio.