Michael Schumacher, il re del Motorsport che non smette mai di correre
“Il re deve finire la sua ultima gara!”
Quando a Natale danno in tv un classico film d’animazione, che sia uno dei grandi capolavori del passato o uno dei più recenti successi, è facile che gli adulti si commuovano, non solo perché rivivono, attraverso l’estasiata luce che illumina i volti dei loro bambini, quella stessa meraviglia fantastica che loro stessi avevano provato ma anche perché rimpiangono proprio quella meraviglia infantile, irrimediabilmente persa con l’avvento dell’età adulta. C’è però un film che, da quattro anni a questa parte, ogni volta che viene messo in onda, fa piangere una particolare categoria di adulti, per il ricordo della meraviglia che fu e per lo stridere doloroso del presente sul l’immagine del passato. Quel film è Cars, motori ruggenti e quegli adulti sono gli appassionati di Formula Uno che hanno avuto la fortuna di vivere l’epopea di Michael Schumacher.
Quando Saetta sacrifica la sua vittoria per aiutare King, il leggendario campione alla sua ultima corsa, a tagliare il traguardo della Piston Cup, perché il re deve finire la sua ultima gara, gli adulti, quei particolari adulti, piangono.
E io l’ultima gara del Re, del vero Re del Motorsport, colui il quale rendeva facile l’impossibile, me la ricordo bene.
L’ultima gara di Michael Schumacher è stata nel 2012: l’anno dei sei Campioni del Mondo (Alonso, Button, Hamilton, Raikkonen, Schumacher e Vettel, in rigoroso ordine alfabetico), del rientro di Kimi Raikkonen nel Circus della Formula Uno, della prima vittoria di Pastor Maldonado – che è stata anche l’ultima della Williams, finora – dei sei vincitori diversi nelle prime sei gare e, infine, l’anno del definitivo ritiro dalle competizioni proprio del Re, di Michael Schumacher. Ritiro che veniva dopo un clamoroso rientro e un disgraziato triennio al volante di una allora approssimativa Mercedes, triennio che, per quanto possa essere stato significativo, importante, propedeutico, formativo per la scuderia di Brackley, per i tifosi che avevano amato il Kaiser dev’essere stato uno spettacolo ben poco gratificante.
Perché il Re aveva scelto di tornare, rischiando di appannare la sua stessa leggenda? È stata la sua inesauribile fame di competizione oppure il bisogno di affrontare l’ennesima sfida? È stata la lusinga del progetto Mercedes, che aveva bisogno di una leggenda per riportare in alto un’altra leggenda, vale a dire la scuderia che aveva dominato gli anni eroici della Formula Uno? È stato il vuoto di una vita al massimo che s’avviava a diventare normale? Uno, nessuno o forse tutti questi motivi messi assieme, non lo sapremo mai. Io penso che il Re volesse finire la sua ultima gara e il 2012 è stato, per lui e per tutti i suoi tifosi, una intensa e nostalgica ultima corsa, lunga un intero campionato.
Lui era Michael Schumacher. A lui non era richiesto di dimostrare la sua abilità di guida. Lui se l’era vista con Ayrton Senna, era capace di vincere con qualsiasi bidone ruotato e con qualunque condizione atmosferica. Lui non aveva compagni di team, ma avversari di box da sbriciolare a suon di prestazioni. Lui era il Re, colui il quale rendeva facile l’impossibile. Non solo: lui era una bandiera, sventolando la quale si univano tantissimi appassionati. In quel disgraziato e strombazzato triennio, invece, questi appassionati lo avevano visto impastarsi come un Kartikejan qualunque addosso a incolpevoli poco più che esordienti, prenderle da Bruno Senna facendo l’autoscontro a centro gruppo, incassare prestazioni migliori dal compagno di squadra Nico Rosberg e trascinarsi in gare incolori. Il Re, colui il quale rendeva facile l’impossibile, la loro bandiera, stava sventolando sulla mediocrità.
E allora, sventolando con un’energia ancora maggiore quella bandiera, i tifosi del Re ricordavano. E, ricordando, tornavano al primo anno in rosso, il 1996, scorrevano le immagini di una nuvola di pioggia rossa che taglia il traguardo vittoriosa a Barcellona o dell’onda sinuosa di Monza sotto al gradino più alto del podio: l’impossibile reso facile. Rivedendo in silenzio la sequenza della pole a Montecarlo, negli occhi, quei tifosi, avevano la meraviglia estasiata dei bambini a Natale, che erano rassegnati a non riprovare mai più. Ma il Re aveva deciso che l’età adulta poteva aspettare ancora e proprio a Montecarlo, nel 2012, la sua ultima… ultima volta fra le stradine del Principato, regalò loro la pole position. Certo, gliela tolsero subito dopo per questioni regolamentari, però nulla poteva togliere a Michael Schumacher e ai suoi tifosi quella pole conquistata di fatto, di forza, di eleganza e anche d’amore.
Fatta la pole, ci voleva la vittoria. Che non arrivò, ma venne sostituita da un podio, a Valencia, in giugno; ci salì assieme ad Alonso e Raikkonen, accompagnato dagli applausi di tutto il paddock e soprattutto di quelli dei suoi ex meccanici in rosso. La Ferrari e tutti coloro che la amano videro su quel podio il vincitore, il coraggioso hidalgo che indossava i loro colori, l’ultimo loro Campione del Mondo e il Re assieme al quale avevano riscritto la storia dei record della Formula Uno. E sono certa che non fu solo Alonso a non essere capace di frenare le lacrime, in quel momento.
La parola fine nel 2012 fu scritta in Brasile, come nel 2006. Allora il Re poteva ancora vincere, perché, nonostante fosse stato tradito dal motore durante la gara precedente, a Suzuka, il Mondiale Piloti era ancora aperto e lui, che era Michael Schumacher, poteva, voleva ancora farcela. Non andò così, per una serie di sfortunate catene di eventi che spezzarono migliaia di cuori. L’ottavo titolo sfumò, ma non era una questione di record o numeri: lui stesso diceva che i record sono fatti per essere battuti. Il fatto era che si trattava dell’ultima corsa ma concluderla così, dopo una inutile lotta forsennata e convulsa, non era finirla davvero. No, non poteva finire così, con lui relegato al ruolo di comprimario, quasi impotente di fronte allo svolgersi degli eventi.
Per questo il re era tornato. Per concedersi un ultimo, clamoroso addio. E allora come andò davvero l’ultima gara del Re? Fu vera gloria o un vuoto esercizio di stile viziato dalla noia e dal mercimonio? Per i suoi tifosi, alla fine, rivederlo in pista era stato un regalo grandissimo, che aveva superato la delusione di vederlo arrancare ma gli ultimi giri di Interlagos, nel novembre del 2012, non hanno risposto né a noi né a lui, a Michael Schumacher, il Re che doveva finire la sua ultima corsa.
La verità, amici, è che l’ultima corsa di un vero Re del Motorsport non esiste, perché il Re non smette mai di correre.
E lui sta ancora correndo.