Flavio Briatore torna a parlare di Formula 1, e lo fa intervistato da Nico Rosberg nel suo podcast “Beyond Victory”. Durante la chiacchierata tra i due, Flavio ha ripercorso le tappe fondamentali della sua carriera da manager in F1, dagli esordi alle vittorie con Schumacher e Alonso. Ha anche spiegato quale sia la sua idea di Motorsport, e perchè questa F1 non gli piace.
Ecco come è iniziata l’avventura di Briatore nel Circus: “Io lavoravo da 10 anni con il Benetton Group, ed ero in America. Ero un po’ annoiato perchè volevo una sfida diversa, così andai dal mio capo (Luciano Benetton), e glielo dissi. Lui mi rispose che al momento non aveva niente sotto mano, ma avrebbe controllato”.
Certamente la F1 era una possibilità remota all’epoca: “Nell’88 mi invitarono al GP di Adelaide: non avevo mai visto una corsa e conoscevo solo Jacky Stewart perchè viveva nel mio stesso palazzo a New York. Lui in America era una leggenda. Benetton sponsorizzava Toleman, che era sempre tra gli ultimi e Luciano mi mandò lì, a rinnovare il team, anche se non sapevo niente di F1. Mi trasferii a Londra in febbraio, la fabbrica era a Whitney. La prima volta ci misi 5 ore ad arrivarci! Incontrai Peter Collins, che era il manager, e discutemmo dopo 5 giorni. Allora chiamai Luciano e gli chiesi pieni poteri. Anche se non avevo esperienza, avevo capito che la macchina alla fine è un prodotto, e noi dovevamo costruire qualcosa di vendibile. Così lui licenziò Collins, e dopo poco mi chiamò Ecclestone, perchè Peter era suo amico. Mi chiese cosa stessi facendo, ma io gli risposi per le rime. In fabbrica parlai con i ragazzi, li motivai meglio, e partimmo”.
La prima importante scelta da fare riguardava i piloti da mettere in pista: “Come piloti avevamo Nannini e una lista di altri 10. Alla fine firmai con Piquet anche se non lo voleva nessuno, ma io lo presi perchè era un grande pilota. Più tardi, nessun top driver voleva guidare per Benetton; noi eravamo solo un’azienda di vestiti, i grandi volevano Ferrari, McLaren e Williams. Chiamai Senna, ci incontrammo, ma mi disse che era impossibile”.
Oltre alla pista, per rendersi più appetibile nei confronti degli sponsor, Briatore capisce che deve inventarsi qualcosa di totalmente diverso: “Eravamo tra i primi quattro, lottavamo con Jordan. Quando presi John Barnard, lo portavo sempre a parlare con gli sponsor. La mia idea era semplice: se volevamo esportare l’immagine di Benetton, dovevamo fare qualcosa di diverso. Così mi inventai il magazine, con le top model, per attrarre altri sponsor, e funzionò”.
Poi la svolta: arriva Schumacher, e la Benetton motorizzata Cosworth vince il primo Mondiale nel ‘94. “Ero affascinato dal suo nome, perchè era lo stesso del portiere della Germania di qualche anno prima. Poi a Spa ’91 esordì con Jordan, e io chiamai il suo manager Willi Weber, fissammo un incontro il giorno dopo, e firmammo un contratto. Fu un dramma con Jordan, perchè Michael gli aveva portato lo sponsor. Lui corse con noi la prima corsa a Monza, dove io litigai con Piquet ed ero molto vicino a sostituirlo con Zanardi. Immediatamente Michael fu velocissimo. Era un grande motivatore per tutti: più veloce di Nelson, l’anno dopo prendemmo Patrese che non ebbe chance con lui. Dovevamo solo dargli una buona macchina, lui faceva la differenza. E una fabbrica di maglie cominciò a vincere gare contro i grandi costruttori. Era la dimostrazione che in F1 c’era spazio per tutti”.
“Michael non mollava mai. Fu il primo ad avere uno specifico approccio fisico allo sport, così feci fare una palestra in fabbrica. Inoltre non si lamentava mai: se c’era qualche problema, lavorava anche per ore per risolverlo. Nessuno aveva mai visto un comportamento simile prima. Noi avevamo un ottimo rapporto, anche se litigavamo spesso. Nessuno credeva in lui perchè era troppo giovane, ma io lo feci ed ebbi ragione”.
La stessa mossa, Briatore la farà una decina di anni più tardi con Alonso: “All’epoca Renault aveva rilevato il team, che era diventato molto grande, con circa 350 dipendenti. Renault voleva tornare in F1. Presi un rischio, ma dovevo farlo. Avevamo i migliori ingegneri, con molta esperienza. Alonso all’epoca era in Minardi, ma aveva un contratto con me che ero il suo manager. Capii che era così speciale quando parlai con Giancarlo Minardi. All’epoca avevo Button, l’eroe degli inglesi. Renault non era contenta di venderlo perchè aveva un grande mercato in Inghilterra, ma li convinsi. Fernando andò subito fortissimo, Pat Symonds mi disse dubito che era un fenomeno. Con lui avevamo Fisichella, un altro ottimo pilota che veniva ancora una volta dalla Jordan. Vincemmo due Mondiali piloti e Costruttori”.
A questo punto, un raffronto tra i due campioni è inevitabile: “Fernando è meno emotivo di Michael, un pochino meno portato all’errore nei momenti cruciali. Quando vinci un Mondiale, la fortuna non esiste: in 20 gare si bilanciano episodi positivi o negativi. Se vinci è perchè sei più forte degli altri. Entrambi erano due macchine, i due migliori piloti possibili. Tutti hanno una brutta opinione di Fernando come team player, ma in Renault non ci sono mai stati problemi. Dipende molto dal manager; non si deve dimenticare i ragazzi che guidano per te. Bisogna sempre cercare di capire i piloti per far sì che siano “comodi” nella loro posizione. Ho ancora una grande relazione con Fernando. Quando sento Horner dire che Fernando divide il team, penso sia matto. E’ semplicemente un grande motivatore. Penso che la sua reputazione sia sbagliata. In McLaren ha guidato per anni una macchina disastrosa. Con lui furono stagioni bellissime, in Spagna era un eroe”.
La filosofia di comando di Flavio è racchiusa in una frase: “Quando diventai Team Principal, volevo i migliori giovani piloti che potessero diventare vincenti. Il prezzo di Fernando era di mercato; ai piloti davo un salario di base, più le gratificazioni per i risultati. Tutti erano motivati. Ho sempre lavorato con i bonus, devi sempre motivare la gente se vuoi competere al top, è importante la meritocrazia. Ho sempre delegato, ma sempre conoscendo bene i problemi. Il tempo è importante, anche in F1”.
La F1 attuale non piace a Briatore, perchè ritiene che i piloti non siano più al centro dello sport: “Creai con Bruno Michel la GP2 perchè le macchine erano tutte uguali e si vedeva la differenza tra i piloti, come ha fatto Agag con la F.E.In F1 vorrei vedere la stessa cosa: piloti devono guidare non gli ingegneri o i meccanici. Oggi dovremmo chiamare la F1 “Campionato degli Ingegneri”, sarebbe perfetto!” .
Il problema, secondo Flavio, starebbe tutto in chi prende le decisioni chi governa: “Sfortunatamente, chi prende le decisioni non tiene mai conto degli spettatori. Per me non ha senso investire tutti questi soldi in questa direzione. Più tecnologia hai, meno show hai per i piloti. Non ha senso sentire gli ingegneri dire di rallentare per mantenere le gomme. Se noi avessimo dieci GP2 più veloci avremmo più spettacolo: la gente vuole vedere i gladiatori, le battaglie, non penalità assurde pechè superi di un millimetro una linea bianca. Oggi abbiamo drivers giovanissimi, ma non mi piace la F1 attuale perchè non è per veri piloti. Non so cosa succederà dopo il 2020, vedremo la direzione che prenderà. E’ stato un errore togliere i rifornimenti, oggi è tutto troppo prevedibile, è una lotta tra Hamilton e Vettel, con qualche volta la Red Bull in mezzo”.
Sul campionato in corso, Briatore ha un’idea molto precisa: “Vettel quest’anno ha fatto un sacco di errori, è il primo nemico di sè stesso. La gara non dura un giro, a volte è imporante finire, anche terzo. L’incidente di Monza non ha senso, con la macchina molto veloce che si ritrova. Se vuoi vincere il campionato devi fare punti non per forza vincere le gare. Anche il team ha fatto un sacco di errori difficili da capire, soprattutto di strategia. Ha esagerato troppo. Se perdi occasioni come in Germania, il tuo competitor diventa sempre più forte”.
“Lo stress è enorme per i piloti – continua il manager- perchè combattono sempre con qualcuno che è forte; il peggio è con il tuo team mate. Quando finisci una corsa, poi ne hai sempre un’alta; la linea tra primo e secondo è molto sottile. Più errori fai, più pressione hai, ed è sempre più facile fare errori. La settimana prima di vincere il mio primo mondiale in Australia con Michael, proibii a tutti di parlare della corsa, per evitare di portare ulteriore stress; ne riparlammo quando arrivammo ad Adelaide”.
Per quanto riguarda il rapporto con gli altri team, ha dichiarato: “Mi sono sempre preso cura dei miei nemici, devi sempre guardare il quadro intero della situazione, non solo il tuo orticello. Quando competi con i migliori, devi essere sempre al top. Stiamo parlando di espandere il tuo brand in tutto il mondo. Preferisco avere il 49% in una grande compagnia che il 100% in una piccola. Il mio team è molto piccolo, come quello di Bernie. Se tu guardi gli uffici di Liberty, non si capisce cosa facciano gli impiegati”.
“Devi sempre cercare di modificati, di seguire la via che sta seguendo il mondo intorno a te. Non puoi fermarti a lamentarti. I media sono importanti, anche se c’è molta immondizia. Noi li usiamo molto. Era il motivo per cui litigavo sempre con Bernie, che era molto chiuso al rinnovamento. E’ importante usare i social media nel modo giusto”.
Infine, Briatore ha definito cosa lo porta a continuare il suo lavoro nonostante tutti i risultati e i traguardi raggiunti: “Quello che mi spinge è continuare a creare lavori per i giovani, penso che chi ha le possibilità debba provare a creare sempre qualcosa di nuovo. Anche il divertimento nel fare il tuo lavoro è importante, amare quello che fai è importante per farlo sempre al meglio”.
FLAVIO BRIATORE | “Learnings from Michael Schumacher” | Beyond Victory Podcast #3
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