In Formula 1 non è tutto oro ciò che luccica. I problemi, come noto, abbondano: HALO — più brutto che utile — rende sgraziate vetture che, altrimenti, brutte non sono, i regolamenti tecnici e sportivi necessitano di una radicale liberalizzazione e di profonde misure correttive, le regole che entreranno in vigore nel 2019 (dall’alettone anteriore più largo e meno efficiente ai probabili due pit-stop obbligatori) certamente non porteranno, in questo senso, benefici.
Una F1, pertanto, che perpetra da anni i medesimi errori e le medesime storture, peraltro comuni a tutto il motorsport contemporaneo. Come spesso accade, tuttavia, esiste una seconda faccia della medaglia che ci racconta altre verità, altri fatti, altri dati attorno ai quali ragionare e che ci consegnano una Formula 1 viva e ancora al vertice del motorismo internazionale.
La stagione 2018, ormai agli sgoccioli, è stata, dal punto di vista sportivo, assai intensa. Senza dubbio, tra le più intense dell’ultimo decennio. Riteniamo ingiuste e storicamente fuorvianti, a tal proposito, le critiche mosse da parte di alcuni addetti ai lavori e di una fetta — vasta, non sappiamo se maggioritaria o no — di pubblico appassionato: la lotta al vertice, secondo questa parte, sarebbe stata fiacca poiché ristretta a poche scuderie. Una accusa che, ribadiamo, rispediamo al mittente. La sfida a tre — Mercedes, Ferrari, Red Bull — è stata, invero accesa e scoppiettante. Quando manca ancora un Gran Premio al termine della stagione, Mercedes, Ferrari e Red Bull si sono spartite le vittorie in ballo: la Mercedes ha trionfato in 10 occasioni (tutte grazie a Lewis Hamilton), la Ferrari in 6 (5 Sebastian Vettel, 1 Kimi Raikkonen), la Red Bull in 4 (2 Max Verstappen, 2 Daniel Ricciardo). Numeri che, al tempo stesso, testimoniano la bontà e la costanza della Mercedes F1 W09, l’assoluto spessore — quest’anno più che mai — di Hamilton, capace di fare la differenza (Valtteri Bottas, benché veloce e spesso rallentato da ordini di scuderia, ha palesato in più di una occasione debolezze personali e messo in risalto i limiti tecnici della pur valente F1 W09) e l’agguerrita concorrenza espressa da Ferrari e Red Bull, scuderie in grado di battere la Mercedes in 10 Gran Premi.
Una sfida, dunque, esaltante: un Hamilton in epico spolvero, piloti Ferrari e Red Bull intenti a dare la caccia al pilota inglese ma che, tra errori, determinanti ritiri e vittorie equamente distribuite, si sono pestati i piedi vicendevolmente. Non solo: abbiamo assistito ad una sfida tra piloti — umane persone — che farebbe sciogliere il cuore persino al più misantropo tra i misantropi. Hamilton, Vettel, Raikkonen, Bottas, Verstappen, Ricciardo (citati in rigoroso ordine di classifica ad una gara dal termine): stiamo parlando della crema del motorismo mondiale, di campioni del mondo (5 Hamilton, 4 Vettel, 1 Raikkonen), di piloti di assoluto valore, di talenti del volante, di piloti che incantano le folle solo percorrendo una curva, di uomini che hanno offerto spettacolo in pista, con o senza “sorpassi” e duelli ravvicinati, di piloti che — nessuno escluso — hanno impreziosito una stagione agonistica con numeri e sopraffina guida. Piloti che — non ci stancheremo mai di ribadirlo — non hanno bisogno del DRS per darsi genuina ed aperta battaglia in pista…
Tre scuderie e sei piloti, pertanto, a fronteggiarsi: difficile pretendere di meglio. Analizzando la storia della Formula 1, si capisce bene quanto questa condizione costituisca una eccezione e non una costante.
Alla sfida umana di assoluto valore si contrappone quella tecnica, quest’anno particolarmente sonnacchiosa e limitata ai soliti, classici, canonici aggiornamenti di micro-aerodinamica (i quali, all’atto pratico, sortiscono effetti marginali per non dire trascurabili: basti pensare ai casi di auto danneggiate che, però, continuano a stampare tempi da qualifica…), agli adattamenti ai vari tracciati (ad iniziare da quelli aerodinamici) e allo sviluppo di motori (“power unit”, usando la terminologia FIA) ove e come possibile all’intero di regolamenti che contingentano il numero dei motori utilizzabili a stagione. Le penalità in caso di sforamento del numero regolamentare (3 motori a stagione a pilota), inevitabilmente, condizionano, limitano e frenano il lavoro sui propulsori che, altrimenti, potrebbe tornare a brillare di luce propria e riempire le cronache tecniche. Cerchi e presunte ruote posteriori sterzanti Mercedes a parte, la stagione 2018 della tecnica F1 passerà alla storia più per i “meme” e l’ironia attorno all’HALO che per un confronto tecnico da annali, imbrigliato, appiattito e incatenato da regolamenti eccessivamente anestetizzanti, persino più serrati rispetto al recente 2017.
I regolamenti standardizzanti, tuttavia, non hanno impedito il sovvertimento dei valori, specie alle spalle di Mercedes, Ferrari e Red Bull. In particolare, spicca il netto miglioramento messo in atto da Haas e Sauber ed il tracollo della Williams. Nel 2017, le Haas VF-17-Ferrari affidate a Romain Grosjean e Kevin Magnussen racimolavano 47 punti, chiudendo il campionato Costruttori in ottava posizione (davanti a McLaren Honda, 30, e Sauber-Ferrari, ferma a 5). In questo 2018, le Haas VF-18-Ferrari hanno già raccolto ben 90 punti, issandosi al 5° posto provvisorio. Ancor più clamoroso il passo in avanti compiuto dalla Sauber, passata dai 5 punti del 2017 (ultimo posto tra i Costruttori) ai 42 di questo 2018 (8° posto provvisorio). A riguardo, la stretta partnership con Ferrari, la netta e continua crescita tecnica della sincera Sauber C37 ed un Charles Leclerc in grado di conquistare e lambire le zone nobili delle classifiche hanno consentito alla storica scuderia svizzera di mettere a segno una stagione altamente positiva.
Crisi nera per la Williams (Williams FW41-Mercedes), passata dagli 83 punti del 2017 (piloti: Felipe Massa e Lance Stroll; 5° posto finale tra i Costruttori) ai 7 di questo 2018 così suddivisi: 6 punti per Stroll, 1 per Sergey Sirotkin. Mutamenti, dunque, che testimoniano una F1 incerta, viva e combattiva anche alle spalle delle scuderie di vertice. Il declino della Williams è emblematico: in F1, da sempre, è molto difficile migliorare ed azzeccare al primo colpo un progetto ma è assai semplice concepire una vettura sbagliata, non competitiva o peggiorare una monoposto competitiva mediante interventi non necessari. Passano gli anni e le ere ma la morale della favola non cambia…
Infine, il capitolo GP del Brasile. Il “fattaccio” di Interlagos — il contatto tra Esteban Ocon, doppiato, e Max Verstappen, al comando del Gran Premio — e le sue conseguenze (gli spintoni tra l’olandese ed il francese) hanno riportato la F1 coi piedi per terra. Stufi dei team-radio in cui i piloti si lamentano come bambini di innocui contatti e manovre, ben felici di riassaporare quel “machismo” tra autentici “Cavalieri del Rischio”: che spintoni siano! E c’è voluto il pilota più giovane della F1 — e senza dubbio il più focoso — per riaccendere la fiammella di quei sani, genuini regolamenti di conti tra piloti, peraltro rivali sin dai tempi del kart. E male fa la FIA a subentrare, quasi fosse una maestra d’asilo, in questo “regolamento di conti”, tanto animato quanto spontaneo e sportivamente comprensibile. Il rischio è l’emulazione di gesti violenti da parte dei giovani piloti militanti nelle categorie propedeutiche? No, affatto. Non ci risulta che i giovani abbiano emulato Nelson Piquet dopo la scazzottata con Eliseo Salazar, come non ci risulta che alcun motociclista abbia emulato le proverbiali scazzottate da pub tra Phil Read e i suoi avversari più tenaci. Anche (e non solo) per questo (isolato) episodio, il GP del Brasile 2018 può dirsi degno del blasone della F1.
In F1 c’è ancora molto da salvare e da apprezzare. Apprezziamolo.
Scritto da: Paolo Pellegrini