Il terribile incidente nel quale è stata coinvolta la giovane Sophia Floersch durante il GP a Macau svoltosi ieri, 18 novembre 2018 ha avuto il merito di ricordarci che il motorsport è pericoloso. Sempre, nonostante i progressi nella sicurezza delle monoposto e nella gestione generale di piste e gare.
Ma il motorsport è pericoloso e gli incidenti accadono anche se non c’è nessuna condotta dolosa, perché, banalmente, uno sport che chiamava i suoi atleti “cavalieri del rischio” non può essere diverso. Non solo il pericolo fa parte del motorsport, ma il motorsport ha usato il pericolo come mezzo estremo di promozione, per fabbricare nuovi eroi da dare in pasto a un pubblico avido di emozioni, creando un mito glamour e sanguinario di giovani vite splendenti fra ricchezza e gioventù la cui unica via per l’immortalità era immolarsi sull’altare del dio delle corse. Quasi che si stesse narrando un’epica moderna, dove al posto dei morti alle Termopili ci sono quelli di Monza, Imola o Spa, non più Leonida e i suoi Trecento ma Von Trips, Peterson, Bellof, Chevert, Bandini, De Angelis, Ratzenberger, Senna.
Dobbiamo allo choc collettivo di Imola ’94 la grande conquista che la sicurezza non sia più un alibi salottiero per chi ha colpevolmente dato un prezzo alla vita di un pilota, decidendo che quel prezzo valeva ancora di più se quella vita finiva dilaniata fra le lamiere di una monoposto. Una nuova coscienza condivisa, un interesse diventato prioritario per chi decide e soprattutto un’azione ferma anche da parte dei piloti stessi ci hanno consegnato qualcosa come vent’anni di pace, almeno in Formula Uno, fino alla tragica e inaccettabile fine di Jules Bianchi.
Tutto questo coinvolgimento, questa rinnovata sensibilità, questa cura anche dei comportamenti fuori e dentro l’abitacolo, però, spiace dirlo, non sono serviti a niente.
Si omologano per la Formula Uno piste e circuiti che hanno una gestione dei pericoli in pista che definire imbarazzante è un complimento, gru e mezzi meccanici continuano a girare tranquillamente accanto alle monoposto che sfrecciano e si prendono discutibili decisioni in merito a manutenzioni e asfaltature. Tanto c’è l’Halo. Non solo: si continuano a definire incidenti come quello della Floersch “spettacolari” e, complici anche le casse di risonanza dei social, si continua a foraggiare un disprezzabile voyeurismo nei confronti di certi episodi. E no, non è una questione di banale terminologia: quando c’è in gioco la vita di una giovane – giovanissima – promessa del motorsport, le parole che si dicono o si scrivono, così come i contenuti che si condividono, restano indelebili e sono lo specchio più fedele del pensiero che c’è dietro. È una questione di umanità.
Già, l’umanità. Se davvero è la capacità di esprimersi attraverso il linguaggio che distingue l’uomo dagli animali, allora quanto accaduto dopo l’incidente di Sophia Floersch rende il panorama ancora più sconcertante. Perché questa giovane e talentuosa pilota tedesca, oltre a doversi riprendere dai postumi di uno schianto terrificante le cui conseguenze sono ancora indefinibili, dovrà leggere centinaia di tweet, commenti, messaggi inneggianti al più ridicolo e consunto dei cliché da strada: che il suo incidente sia il frutto dell’inferiorità femminile nello svolgere certe mansioni, in particolare il mestiere del pilota. Lo scrivo in termini più semplici, cosicché anche questi campioni del libero pensiero possano comprendere: questo è quel che succede quando si fa guidare una monoposto a una donna. Non pretendo di trovare la parità di genere in certi ambienti, ma l’umanità sì, quella la pretendo, sempre. E dov’è, qui, l’umanità?
Non solo. Sophia Floersch ha lunghi capelli biondi, un viso d’angelo e intensi occhi chiari. Ha, insomma, oltre a quella d’essersi scelta un mestiere da uomo, un’altra grave colpa: è bella. Ciò significa ricevere le attenzioni dei media con un’insistenza marcata sulla propria avvenenza, oscurando i meriti sportivi e alimentando tutta un’altra serie di ridicole illazioni, cioè che quando c’è una donna che cerca di farsi largo in un mondo di uomini, costei ottiene qualcosa solo perché usa la propria bellezza – dal più lecito al meno lecito di questi usi – per accaparrarsi favori o, come in questo caso, sedili. Giovane, bella, bionda, di botto famosa per un grave incidente: una combinazione micidiale per far accorrere le iene sghignazzanti da ogni angolo del web e dei media tradizionali. E anche in questo caso, nessuna traccia di pudore, figuriamoci di umanità.
Dagli anni dei cavalieri del rischio la Formula Uno è cambiata: per fortuna, dal punto di vista della sicurezza. A un progresso tecnologico non è corrisposto un paragonabile progresso di civiltà, come le reazioni all’incidente di Macau confermano.
Spero che Sophia Floersch, con il suo viso d’angelo e la sua determinazione d’acciaio, dimostri che non è stato tutto inutile.