Il campionato 2018 indubbiamente è stato uno dei più avvincenti degli ultimi anni. A dispetto della classifica e del risultato finale, quella di quest’anno è stata una stagione molto combattuta, dove a decidere il vincitore sono stati i dettagli e la costanza mostrata in pista. Quest’anno si è visto ancora una volta quanto non solo sia importante il pilota, ma soprattutto quanto conti l’apporto della squadra, come progettazione della vettura e anche gestione del team, durante la stagione, come esso possa influenzare l’andamento di un campionato.
Come nella passata stagione, ancora una volta si è riproposta la sfida Ferrari-Mercedes nella corsa al titolo, il Cavallino Rampante contro le Frecce d’Argento. Un campionato che ci ha tenuto sulle spine di quanto non sia sembrato, perché a discapito delle vicissitudini capitate nella seconda metà di stagione, le due protagoniste se la sono giocata alla pari nella maggior parte delle situazioni per buona parte d’anno, con tendenze nei confronti dell’una o dell’altra a seconda delle caratteristiche del circuito o delle scelte al muretto. C’è tanto da raccontare e non solo per la sfida del titolo, ma anche per le battaglie di centro gruppo, con Nico Hulkenberg che si è imposto come “primo degli altri”, una prestazione passata troppo sottotono rispetto a quanto mostrato quest’anno, o l’astro nascente Charles Leclerc, che ha aiutato la Sauber a crescere dalle sue ceneri, portandola ad essere una vettura in grado di lottare stabilmente per la top ten. La caduta della McLaren ed il buio profondo della Williams, intervallate dalla favola Haas e dal pazzo campionato Force India, senza dimenticarci della Toro Rosso, campo di prova per quello che ci aspetterà il prossimo anno, l’accoppiata Red Bull-Honda.
Mercedes
L’anno del trionfo, l’ennesimo. Lewis Hamilton e la Mercedes si sono confermati campioni anche in questo 2018, dopo una cavalcata trionfale in cui non sono mancante però le difficoltà, per via di una sfida sempre più avvincente ed agguerrita con Sebastian Vettel e la Ferrari. Dopo anni in cui l’accoppiata anglo-tedesca ha avuto vita facile, per via di una monoposto nettamente superiore alla concorrenza, la squadra italiana si è pian piano avvicinata, infastidendo la Mercedes nella passata stagione e lottando concretamente per il mondiale nel 2018. Quella tra Mercedes e Ferrari è stata una sfida nella sfida, non solo a livello tecnico, ma anche a livello di squadra, di organizzazione e di nervi saldi nel momento delle difficoltà. Al lancio la W09 si è presentata come una evoluzione della vettura che aveva permesso a Lewis Hamilton di conquistare il mondiale l’anno procedente: all’apparenza erano molti i punti di congiunzione tra il progetto 2017 e quello 2018, ma con profonde migliorie, a partire dalle pance, completamente ridisegnate per migliorare l’efficienza aerodinamica.
Sin dai test invernali la monoposto tedesca si era rivelata ancora una volta come la vettura da battere, sensazione poi confermata in Australia, dove solo il talento di Sebastian Vettel, una buona strategia Ferrari ed una pessima della casa di Stoccarda, hanno potuto stoppare Hamilton dall’ottenere un successo che sembrava quasi scontato. La situazione si era però capovolta già alla seconda gara della stagione, in Bahrain, dove la Rossa si era dimostrata estremamente competitiva in qualifica, un po’ meno in gara: un pizzico di fortuna e, ancora una volta, il talento di Sebastian Vettel nel gestire le gomme a fine gara, hanno permesso alla Scuderia di Maranello di ottenere il secondo trionfo dell’anno, in una situazione in cui in realtà Bottas e la Mercedes sembrava avere il successo in mano a tre quarti di gara. Pur non avendo un vantaggio importante, la W09 si era dimostrata comunque un’ottima vettura, abbastanza equilibrata seppur con ancora qualche grattacapo sul lato della gestione gomme. Sensazioni confermate anche in Cina dove, nonostante la batosta presa in qualifica in una prima fila tutta Rossa, Bottas si era confermato nuovamente molto competitivo ed in grado di giocarsi la vittoria contro il tedesco della Ferrari, prima che la Safety Car mescolasse le carte e lasciasse l’opportunità alle Red Bull di rientrare nel gioco, anche per via dell’errore strategico della Mercedes di non richiamare un Lewis Hamilton piuttosto spento ai box per effettuare un pit stop che gli avrebbe permesso di ritornare in auge per un podio e per il successo finale. Anche in Azerbijan si sono confermate le sensazioni viste nelle gare precedenti: una Ferrari molto rapida in qualifica, ma riprendibile in gara. La gara era risultata abbastanza imprevedibile e la mossa strategica della Mercedes di allungare il primo stint di Valtteri Bottas si era rivelata essere quella azzeccata grazie all’aiuto della Safety Car; ma come recita il detto, la fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo, tanto da rovinare la gara del finlandese proprio a qualche giro dalla fine per via di un detrito lasciato in mezzo alla pista. Ad ottenere il successo finale, il primo in stagione, fu Lewis Hamilton, essenziale date le prestazioni opache che si erano viste in Bahrain, Cina e anche Azerbaijan, dove una spiattellata in fondo al rettilineo lo aveva costretto ad un pit stop particolarmente anticipato. La situazione era comunque abbastanza chiara: Ferrari e Mercedes se la giocavano quasi alla pari, con prestazioni pendenti da una parte o dall’altra a seconda delle caratteristiche della pista.
Si arriva in Spagna, sede delle prime grandi polemiche. Per l’appuntamento spagnolo, Pirelli aveva deciso di portare una specifica di pneumatici con un battistrada ribassato, una scelta che aveva creato numerosi dibattiti all’interno del paddock. Frecciate e accuse non erano di certo mancate, con i vertici della Red Bull che erano persino arrivati ad insinuare che la scelta del costruttore italiano fosse stata spinta da una richiesta della Mercedes, la quale aveva sofferto di fenomeni di blistering già durante i test invernali proprio sulla pista catalana. Anche la Ferrari non si è risparmiata su questo argomento, dichiarandosi non coinvolta nella decisione, ma solo informata. Effettivamente in quell’occasione furono molte le squadre a trovarsi penalizzate dalla scelta della Pirelli, tanto da vedere situazioni paradossali come disputare il Q3 con gomma soft invece che la supersoft. Situazioni che avevano visto protagonista anche la Ferrari, che di certo non aveva nascosto il proprio disappunto per la scelta. Il risultato fu che la Mercedes dominò letteralmente la gara con una superiorità quasi imbarazzante, una prova maiuscola nella quale a brillare era stato soprattutto Lewis Hamilton, forse tornato ai livelli che tutti si aspettavano. Come previsto, la W09 a Monaco ha sofferto, ma meno di quanto ci si aspettasse e soprattutto meno della passata stagione, segno che qualcosa stava cambiando, che anche sui tracciati più ostici la vettura tedesca aveva fatto dei passi in avanti e che poteva essere una temibile rivale, come poi si è effettivamente dimostrato nel resto del campionato. Arriva l’appuntamento del Canada, dove ci si aspettava una Mercedes in grado di giocarsi il successo e soprattutto un Lewis Hamilton spumeggiante, dato che quello di Montréal è una di quelle piste particolarmente gradite al campione inglese. Invece il weekend prende tutt’altra piega: la Ferrari si dimostra molto competitiva nelle mani di Sebatian Vettel, autore di un fine settimana senza la minima sbavatura, mentre Lewis Hamilton sprofonda in una giornata incolore, tutt’altro che soddisfacente, soprattutto considerando che il compagno di squadra, Valtteri Bottas, si era dimostrato ancora volta in grado di giocarsi posizioni di rilievo.
La svolta arriva tra Francia, il secondo Gran Premio dell’anno in cui furono utilizzate le discusse gomme Pirelli modificate, e Austria. In terra transalpina la scuderia tedesca si era presenta anche con il tanto atteso aggiornamento di motore, mentre a Spielberg un grosso pacchetto di aggiornamenti aerodinamici aveva dato un ulteriore boost alle prestazioni della W09. Se al Paul Ricard si era rivista quella Mercedes schiacciasassi della Spagna, in Austria si erano visti i primi scricchiolii di una monoposto in difficoltà sul lato affidabilità. Nonostante le “Frecce d’Argento” avessero dimostrato una grossa superiorità in qualifica, una strategia infelice con Lewis Hamilton e i problemi di affidabilità che avevano costretto le due W09 al ritiro, non avevano permesso ai due piloti di raccogliere i frutti di una vettura dall’enorme potenziale. Erano emersi anche i primi dubbi che la causa di quei ritiri erano da ricercarsi proprio in quegli ultimi aggiornamenti, forse troppo aggressivi nel tentativo di cercare di tener testa alla Ferrari.
Arriva il Gran Premio di casa per Lewis Hamilton, quello della Gran Bretagna, prova della verità per la Ferrari e occasione di riscatto per la Mercedes. Grazie ad un grande giro in qualifica, Lewis Hamilton riuscì ad ottenere la pole position, vantaggio poi sprecato già dai primi metri, dove una pessima partenza complicò notevolmente la gara dell’inglese. A complicare ulteriormente la gara del quattro volte campione del mondo fu anche uno sfortunato incidente nel corso del primo giro con Kimi Raikkonen, che spedì l’inglese in fondo alla griglia, mentre davanti Sebastian Vettel prendeva il largo inseguito a ruota da un Valtteri Bottas molto agguerrito. Hamilton si rese protagonista di una grande rimonta e, aiutato dalla Safety Car, riscì a rientrare anche in lotta per la vittoria, concludendo al secondo posto. La mazzata al campionato arrivò però proprio prima della pausa estiva, tra Germania e Ungheria. Nonostante una qualifica a dir poco disastrosa, dove un errore di Hamilton con conseguente problema tecnico, costrinse l’inglese a partire dal quattordicesimo posto, un pizzico di fortuna nel momento più opportuno, un’ottima strategia e una grande rimonta permisero al campione del mondo di salire sul gradino più alto del podio e sfruttare l’incidente del rivale al titolo, Sebastian Vettel, per volare in testa alla classifica e aumentare il suo vantaggio sul pilota della Rossa. Non mancarono però le critiche, dato l’ordine di scuderia dato dalla Mercedes di mantenere le posizioni dopo la Safety Car, non permettendo a Valtteri Bottas di giocarsi una vittoria forse alla portata. Critiche ed una serie fortunata protrattasi poi in Ungheria, dove uno scroscio improvviso di pioggia in qualifica aveva permesso alla Mercedes di ottenere l’intera prima fila e di sfruttare questo vantaggio in gara usando Bottas da “wingman”, come definito dallo stesso Toto Wolff dopo la corsa, per proteggere Hamilton e permettergli di conquistare un vitale successo. Nel momento più delicato della stagione, nelle due piste in cui Mercedes avrebbe dovuto soffrire e dove Ferrari avrebbe dovuto fare la differenza, la squadra anglo-tedesca era riuscita a ribaltare completamente la situazione e a portarsi in cima alla classifica, potendo contare anche su un discreto vantaggio da gestire nella seconda metà del campionato.
Seconda metà di campionato che ha visto la Mercedes brillare ma anche sprofondare in dubbi che hanno minato le certezze della scuderia tedesca. È stata anche una seconda metà di campionato in cui non sono cessate le critiche per i numerosi ordini di scuderia che hanno riempito le prime pagine dei giornali e i social network. La seconda mazzata del campionato è arrivata tra Monza e Suzuka, quattro gare in cui la Mercedes ha ottenuto quattro importantissimi successi che l’hanno avvicinata ad entrambi i titoli mondiali. Forse le vittorie più importanti ed emblematiche sono risultate quelle di Monza e di Singapore, una bella batosta al campionato e alla Ferrari nel suo momento più delicato dell’anno.
Riuscire a vincere in terra del nemico, proprio quando la Ferrari pensava di aver tutte le carte in regola per riuscire a centrare il tanto atteso successo, anche grazie a degli ordini di scuderia piuttosto discutibili, la Mercedes era riuscita ad ottenere una importantissima vittoria, non solo per la classifica, ma anche per il morale. La seconda vittoria particolarmente importante è stata quella ottenuta a Singapore, un appuntamento in cui in tanti si aspettavano di vedere la W09 in grande difficoltà, dove invece la monoposto tedesca si è rivelata perfettamente a suo agio lungo le strade di Marina Bay, mentre la Ferrari, che aveva visto in quel Gran Premio la sua occasione di riscatto, era sprofondata in una piccola crisi tecnica che aveva ulteriormente allontanato il mondiale.
Se da Singapore a Suzuka, il campionato sembrava essere diventato quasi un semplice allentamento per la Mercedes, la situazione cambiò nuovamente a partire dal Gran Premio degli Stati Uniti, dove grossi problemi di gomme avevano minato le certezze della casa tedesca. Parallelamente ai problemi della W09 si era anche aperta la polemica legati ai fori nei cerchi, presenti sulla monoposto di Stoccarda: secondo alcuni, tra cui la Ferrari, questi fori erano contrari ai regolamenti, perché avevano anche una funzione aerodinamica oltre che termica, mentre in casa Mercedes, come per la FIA, lo scopo era prettamente pensato per lo smaltimento del calore dai fori quando questi erano aperti. A causa di una possibile protesta da parte della Scuderia di Maranello che avrebbe mandato l’esito del mondiale in tribunale, nonostante l’approvazione della soluzione da parte della Federazione Internazionale, la squadra tedesca decise di chiudere i fori, in modo da conquistare i titoli in pista. Una soluzione che in realtà portava i suoi benefici, dato che intorno al retrotreno Mercedes aveva anche deciso di spendere una grossa cifra extra budget per riprogettare il posteriore della vettura per sfidare la Ferrari, ma che indubbiamente non poteva essere la sola ragione delle difficoltà incontrate sulla W09 negli ultimi appuntamenti. Le difficoltà incontrate dalla Mercedes, infatti, non si erano palesate solo in condizioni di gran caldo dove quei fori servivano a prevenire il blistering, ma anche in condizioni opposte, dove i problemi riscontrati furono di graining, a causa di pneumatici troppo freddi. Gli appuntamenti degli Stati Uniti, in cui un grosso errore di strategia aveva influito pesantemente sul risultato finale, del Messico e del Brasile indubbiamente non sono stati semplici, dove i problemi alle gomme non hanno permesso ai due piloti di sfruttare a pieno il potenziale della vettura: ciò nonostante, nelle gare più difficili della stagione, sono arrivati anche i due titoli mondiali, sia quello piloti che costruttori, frutto di una stagione ad altissimi livelli in cui sia Hamilton che la Mercedes ha saputo sfruttare bene le situazioni a sua disposizione e colpire nei momenti di difficoltà dell’avversario. L’ultima gara dell’anno, quella di Abu Dhabi, è stata anche quella del riscatto dopo alcuni appuntamenti difficili, ritornando alla vittoria per concludere in bellezza un 2018 che gli ha riservato tante soddisfazioni.
Spostandoci sui piloti, indubbiamente Lewis Hamilton è stato il grande protagonista del 2018 ed uno dei migliori piloti in griglia, da molti considerato come quello che ha più impressionato nel corso di questa stagione. Il suo campionato non era iniziato nel migliore dei modi, con qualche difficoltà di troppo che non gli aveva permesso di raccogliere i risultati sperati ed, in alcune occasioni, di mantenere il passo del compagno di team. Dal Gran Premio di Francia in poi, però, l’inglese ha letteralmente cambiato passo, divenendo quasi uno schiacciasassi per i rivali. I suoi giri in qualifica e le sue prestazioni in gara, unite alle ottime performance della vettura a sua disposizione ed una squadra che ha lavorato al massimo – ogni tanto anche in modo discutibile – per metterlo nella posizione di ottenere il massimo risultato, hanno permesso all’inglese di centrare il quinto alloro iridato, dove ben poco gli si può recriminare dal punto di vista della guida. In un certo senso, le prestazioni dell’inglese e l’aiuto vitale di Bottas in determinate situazioni, sono state la chiave vitale che ha salvato la Mercedes in alcuni Gran Premi in cui altrimenti si sarebbe trovata ad inseguire una Ferrari che avrebbe potuto capovolger più volte la situazione. Per quanto riguarda Valtteri Bottas, invece, seppur sia stato aspramente criticato per il ruolo avuto nella seconda metà di campionato, c’è da sottolineare come sino al momento in cui Mercedes ha iniziato ad usarlo come “wingman“, le sue prestazioni erano state senza dubbio all’altezza delle aspettative, in grado di mantenere il passo del più blasonato compagno di squadra. Trascurando il pesante errore in qualifica in Australia, il finlandese nelle prime sette gare di campionato, si era sempre dimostrato veloce e competitivo, lottando per la vittoria in numerose occasioni. Anche a Monaco, dove il risultato non racconta la sua gara, il numero 77 si era reso protagonista di una buona gara sul passo gara, seppur le caratteristiche del tracciato non gli avevano permesso di riuscire a sfruttare la sua velocità. Dalla Francia in poi, invece, è iniziato un momento difficile, dove un ritiro per noie tecniche, un incidente provocato da Sebastian Vettel e gli ordini di scuderia hanno minato le certezze del finlandese, allontanandolo dal sogno di poter aspirare alla lotta del titolo nonostante le prestazioni fossero comunque all’altezza. Nella seconda metà del campionato questo ruolo di “wingman” è diventato ancor più cruciale, che indubbiamente ha influito sulle prestazioni del finlandese, unito ad un cambio di passo notevole di Hamilton. Il margine tra i due è diventato sempre più ampio, fino a quella che è stata probabilmente la mazzata finale in Russia, dove la Mercedes ha spento anche i suoi sogni di conquistare una vittoria in questa stagione. Nel momento in cui la tua squadra inizia a vederti più come un blocco stradale che come un pilota in grado di lottare per il successo, è normale che determinate certezze e che le prestazioni possono venire meno. Il 2019 sarà un anno fondamentale per lui, visto che alle sue spalle aleggia anche il fantasma di Esteban Ocon, il quale potrebbe prendere il suo posto nel 2020.
Ferrari
Il sogno e la grande illusione. Se dovessimo riassumere il 2018 della Scuderia Ferrari basterebbero poche parole per descrivere questa stagione, che ha visto la squadra di Maranello tornare davvero in lotta per il mondiale, prima di sprofondare nell’incubo da tutti più temuto. Sin dalla presentazione della vettura era chiaro che il team italiano avesse fatto tesoro dei dettagli tecnici imparati con la SF70H e che avesse spinto sullo sviluppo con soluzioni particolari e molto interessanti. Se con la monoposto 2017 a far scalpore erano state le rivoluzionarie fiancate, poi compiate dalla maggior parte della griglia in questo 2018, sulla SF71H ad incuriosire erano stati gli specchietti “aerodinamici”, le fiancate riviste e l’allungamento del passo. La SF70H si era rivelata una buona monoposto, molto veloce sui tracciati ad alto carico, ma sofferente su quelli da medio e basso carico, complice anche un motore non all’altezza di quello dei rivali della Mercedes. Per tentare di risolvere questi problemi, i tecnici della Rossa hanno lavorato duramente, rendendo la Power Unit la migliore della griglia, ed incrementando l’efficienza aerodinamica della monoposto, in modo da renderla più versatile sulla maggior parte dei circuiti.
Tutte queste novità, però, richiedevano un periodo di adattamento e di conoscenza della vettura e i numerosi avvenimenti accaduti durante i test, inclusa la neve, hanno minato questo processo di apprendimento che non ha permesso di arrivare nel migliore dei modi alla prima gara in Australia. A Melbourne, infatti, fu evidente che la SF71H non era ancora nella sua miglior forma, nonostante l’ottimismo mostrato dal team di Maranello, fiducioso di poter migliorare rapidamente ed esprimere tutto il potenziale di una vettura su cui si erano riversate tante aspettative. Nonostante le difficoltà incontrate in terra australiana, grazie ad una buona strategia e ad una grande prestazione di Sebastian Vettel, la Rossa era riuscita a ribaltare la situazione e a conquistare un successo forse inaspettato ma fondamentale per iniziare al meglio il campionato. Il vento iniziò però a cambiare già dal successivo appuntamento, il Gran Premio del Bahrain. Sulla pista del Bahrain la SF71H si era dimostrata a proprio agio, conquistando l’intera prima fila e rivelandosi un rivale duro da battere in gara: un pizzico di fortuna e un’altra grande prova di Sebastian Vettel, capace di tenere alle sue spalle un temibile Valtteri Bottas nelle fasi finali nonostante le gomme praticamente quasi alla frusta, la Rossa di Maranello e il tedesco erano riusciti a conquistare il secondo successo stagionale, oltre ad una bella dose di fiducia per il resto del campionato. Dopo la buona prestazione in Bahrain, però, c’era bisogno di una conferma dei miglioramenti della SF71H; conferma che arrivò in Cina e in Azerbaijan, appuntamenti in cui Vettel riuscì a conquistare la pole position e lottare per la vittoria in gara, nonostante poi non sia arrivata in nessuna delle occasioni. A Shanghai il tedesco si dovette arrendere ad una Safety Car arrivata nel momento sbagliato e ad un incidente con Max Verstappen, mentre a Baku un errore di strategia ed un’altra Safety Car avevano influenzato un successo che sembrava ormai in cascina, indipendentemente dall’errore del tedesco negli ultimi giri nel tentativo di recuperare le posizioni perse.
I primi problemi e i primi dubbi si palesarono in Spagna, dopo un Gran Premio in cui la SF71H non era sembrata per nulla a suo agio. A Barcellona la Rossa si era presentata con una sospensione posteriore modificata e diversi aggiornamenti in svariate zone della monoposto, tra cui quelli per il fondo. Ciò che però contraddistinse l’appuntamento spagnolo fu la polemica riguardo all’utilizzo delle gomme con il battistrada modificato in modo da generare minor blister. Una scelta che non aveva incontrato il parere positivo di molte squadre, tra cui la Ferrari, la quale denotò tutto il proprio disappunto dichiarando di non essere stata coinvolta nella decisione ma solo informata. Quelle gomme, tra l’altro, non erano mai state provate fino a quel momento, quindi le squadre non avevano riferimenti per adattare il set-up ad una modifica che all’apparenza sembrava minima, ma che nella realtà dei fatti era abbastanza importante, dato che come rivelato da Pirelli stessa, la diminuzione del battistrada comportava una diminuzione di temperatura della gomma di ben 10°C, un’enormità se raffrontato alle “piccole” finestre di utilizzo degli odierni pneumatici di Formula 1. Date le numerose modifiche apportate sulla vettura proprio in quel weekend, non era però neanche da escludere che le difficoltà incontrate dalla Rossa in quel fine settimana fossero da ricondurre proprio agli aggiornamenti e ad una comprensione non ottimale degli stessi, che avevano portato la SF71H ad operare nella finestra di funzionamento sbagliata. Teoria che si è poi vista confermata durante i test successivi al Gran Premio, in cui la Scuderia aveva testato sia le gomme ribassate che quelle tradizionali, riscontrando problemi anche con le coperture non modificate: questo, però, non vuol dire che le cose in gara non sarebbe andate diversamente, in quanto anche altri team avrebbero potuto reagire diversamente con delle gomme più tendenti al blistering ed accusare maggiori problemi e difficoltà nel gestire gli stessi. Il weekend spagnolo non fu particolarmente convincente non solo per le scarse prestazioni della vettura, ma anche perché l’ennesimo errore di strategia con Sebastian Vettel e un doppio problema tecnico sulla vettura di Kimi Raikkonen, avevano ulteriormente influenzato negativamente il weekend.
In Canada, dove fu introdotta anche la seconda specifica di motore, arrivò la terza vittoria stagionale grazie ad un Sebastian Vettel essenzialmente perfetto, senza la minima sbavatura. Ciò che però tenne banco durante il weekend, però, fu la decisione della FIA di portare avanti dei controlli proprio sulla Power Unit del Cavallino, installando dei sensori che andavano a controllare l’utilizzo della parte elettrica. Secondo alcuni rivali, in particolar modo la Mercedes, c’era qualcosa di anomalo nella Power Unit italiana, qualcosa contro i regolamenti: seppur privo di reale fondamenti, chiaramente erano in molti che volevano capire i segreti di un’unità che aveva fatto un grosso balzo in avanti dal 2017 al 2018, sia in termini di potenza, che di consumi ed affidabilità. Dopo numerose ispezioni e controlli, alcuni anche in gara, la Federazione Internazionale confermò la legalità del sistema Ferrari, riservando anche una frecciatina alla Mercedes, rea di aver spinto i media a mettere in dubbio la squadra del Cavallino per mettere in difficoltà il team italiano senza esporre una protesta ufficiale.
Dopo aver ottenuto diversi podi in Francia ed Austria, complice anche l’inaspettato doppio ritiro della Mercedes a Spielberg, la Ferrari si approcciava a Silverstone cercando una conferma, la prova della verità. Una pista su cui l’anno passato aveva sofferto moltissimo e che, in certi aspetti, richiamava quella di Barcellona, non solo per la conformazione del tracciato, ma anche perché sarebbe stato il terzo ed ultimo appuntamento in cui Pirelli avrebbe portato le gomme modificate con battistrada ribassato. I passi in avanti sono stati evidenti: molto vicina in qualifica, dove solo un gran giro di Lewis Hamilton ha privato i Ferraristi della pole, e molto vicini in gara, seppur c’è da sottolineare come in realtà l’incidente dell’inglese nel corso del primo giro abbia in un certo senso mitigato il giudizio sulla prestazione della Rossa, dato che pilota della Mercedes aveva dimostrato di aver un passo forse migliore della SF71H nel corso della sua rimonta. La Safety Car ha forse ulteriormente aiutato la Ferrari a salvarsi nella parte finale di gara, permettendogli di sostituire gli pneumatici (molto probabilmente Bottas sarebbe riuscito a recuperare il gap e ad avvicinarsi pericolosamente negli ultimi giri della corsa) e di montare un nuovo set di gomme soft per tentare l’assalto alla vittoria. Una gran dimostrazione di forza di Sebastian Vettel, incluso un bel sorpasso su Bottas, ha permesso alla squadra italiana di ottenere quel successo in terra rivale che aveva rilanciato le speranze mondiali della Ferrari.
Speranze mondiali che si sono capovolte nel giro di due gare, tra Germania e Ungheria. Fino a quel sabato tedesco tutto sembrava procedere nella direzione giusta: pole di Sebastian Vettel, buona posizione in griglia per Kimi Raikkonen e Lewis Hamilton costretto a partire dal fondo per un problema durante la qualifica. Eppure, come ci ha abituato questo sport in tante occasioni, tutto si è ribaltato con l’inaspettato: pioggia che arriva esattamente nel momento più sbagliato in assoluto, pioggia che non è abbastanza forte da costringere i piloti a montare le intermedie, ma abbastanza da rendere la guida difficile, soprattutto per chi montava le gomme più dure e con un gran numero di giri alle spalle, a differenza di Lewis Hamilton, il quale si era appena fermato per montare un nuovo set di gomme ultrasoft, le più prestazionali e quelle che offrivano il maggior grip, aspetto fondamentale in una situazione così complicata come quella che si presentava in quel momento. Accade l’inaspettato: c’è un pilota a muro, è Sebastian Vettel. Da quel momento è in un certo senso cambiato il mondiale della Ferrari, non tanto per il mero risultato in sé per sé, ma perché è stato un colpo duro al morale di tutti, del pilota e della squadra. Soprattutto perché si trattava di un momento delicato anche extra-pista, con l’aggravarsi delle condizioni del presidente Sergio Marchionne, che ci avrebbe purtroppo poi lasciato qualche giorno dopo. La situazione non migliorò neanche in Ungheria, dove uno scroscio di pioggia proprio nel momento peggiore, in Q3 e su un circuito in cui la qualifica conta tantissimo, ha minato le possibilità di fare una pole che sull’asciutto sembrava quasi scontata. Gli ordini di scuderia della Mercedes e l’errore ai box hanno fatto poi il resto, in un fine settimana che sembrava essere diventato quasi più un incubo.
Pausa estiva. È il momento di schiarirsi le idee, di guardare avanti e di restare compatti, perché è nel momento delle difficoltà che una squadra deve tirare fuori il meglio di sé, è in questi momenti che deve reagire. Arriva il Gran Premio del Belgio e più puntuale di un orologio svizzero, in Q3 arriva quello scroscio di pioggia che ancora una volta priva la Ferrari di una possibile pole position sull’asciutto. In gara, però, la situazione si ribalta e Sebastian Vettel riesce a portare il trofeo del vincitore a Maranello. Il Gran Premio d’Italia, quello di casa, un appuntamento molto speciale per la Scuderia che fiutava finalmente l’opportunità di tornare a vincere quell’appuntamento il cui successo mancava dal 2010, quando a trionfare fu Fernando Alonso. Come accaduto altre volte in questa stagione, tutto perfetto fino al sabato, con pole position e prima fila completamente Rossa, nell’entusiasmo generale del pubblico. Tutto perfetto, fino a quando accade l’irreparabile: Vettel si gira dopo un contatto con l’altro pretendente al titolo, Lewis Hamilton, piombando in fondo allo schieramento e con una lunga rimonta da effettuare per tenere ancora viva la speranza mondiale. Rimane solo in pista Kimi Raikkonen, che resiste, resiste e resiste fino a quando può, fino a quando la Mercedes non organizza la più classica delle trappole viste in stagione, tenendo fuori Bottas come tappo, in modo da rallentare il finlandese della Ferrari e dare l’opportunità ad Hamilton di salvaguardare le gomme senza perdere troppo tempo. Una tecnica che funziona e che permette all’inglese di conquistare un successo pesante, in terra del rivale, di fronte ai tifosi che si aspettavano un podio tutto colorato di rosso. Da quel momento in poi inizia il baratro, perché se a Singapore ci si aspettava un riscatto, su una pista che in teoria doveva essere amica, è invece arrivato il weekend più deludente della stagione, così come in Russia e in Giappone. La Ferrari aveva perso il suo mordente che l’aveva contraddistinta per tutta la stagione, risultando in difficoltà anche in quelli che erano i suoi punti di forza: colpa di alcuni aggiornamenti che non avevano funzionato a dovere, che non avevano dato i risultati sperati, in cui però la Mercedes aveva fatto invece bottino pieno, portando a casa due doppiette e un ulteriore vittoria. Capiti i problemi, la Scuderia di Maranello decide di fare un passo indietro sugli aggiornamenti, tornando a vecchie soluzioni e vecchi set-up, alcuni antecedenti alla pausa estiva. Un passo indietro considerevole, non solo perché si tornava a soluzioni vecchie, ma anche perché gli altri erano progrediti e non si erano di certo fermati alla pausa estiva. Negli Stati Uniti cambia la Ferrari, complice una Mercedes in netta difficoltà con le gomme, e la SF71H torna a brillare, grazie al successo di Kimi Raikkonen, cinque anni dopo l’ultimo trionfo in Australia, targato Lotus. Una vittoria che emoziona tutti, che porta alla memoria dolci ricordi, proprio pochi Gran Premi prima che il finlandese e la Ferrari si dicano “addio” per la seconda volta. La stagione si conclude avara di altre soddisfazioni, per una Rossa che anche quest’anno deve rinunciare al sogno di riportare i titoli a Maranello, ma che di certo non molla e che vuole rilanciare la sfida alla Mercedes per tornare a vincere nel 2019.
Passando ai piloti, chiaramente ci sarebbe molto da discutere sulla stagione di Sebastian Vettel, da molti giudicata negativa, da molti considerata con diverse attenuanti, da molto vista come una prova che c’è ancora qualcosa da sistemare in Ferrari per arrivare a puntare concretamente all’alloro iridato. Ci eravamo già espressi in un articolo dedicato su cosa non avesse funzionato quest’anno in Ferrari e su cosa sia Sebastian Vettel che il team italiano avessero bisogno di lavorare per puntare al titolo nel 2019. Indubbiamente sono stati molti gli errori commessi dal tedesco nel corso di questa stagione, ma è anche giusto vedere situazione da un’altra prospettiva, ovvero quella in cui c’è una motivazione dietro agli errori. Se Mercedes ha fatto di tutto per mettere Lewis Hamilton in una determinata posizione, andando anche per vie traverse discutibili, è palese che Ferrari non abbia fatto lo stesso, proteggendo il proprio pretendente al titolo fino ad un certo punto: non è una colpa, ma se il tuo rivale gioca in un certo modo, per quanto doloroso e brutto possa essere, non puoi tirati indietro, altrimenti rischi di perdere la partita. Ed è un po’ ciò che è successo quest’anno unito ai tanti errori di strategia che hanno messo il tedesco nelle condizioni di dover osare e rischiare per recuperare ciò che era stato perso. Ciò ha influito tantissimo nell’economia di un campionato in cui i rivali hanno giocato durissimo e sono andati vicini a centrare la perfezione, ancor più delle difficoltà tecniche. Per quanto riguarda Kimi Raikkonen, invece, quella del 2018 è stata la sua miglior stagione in Rosso dopo il rientro alla base nel 2014. Una pole position, una vittoria, tanti podi e tante prestazioni convincenti. Non sono mancati i momenti difficili, ma si può tracciare un bilancio positivo della stagione del finlandese, che per certi aspetti avrebbe meritato anche di più in certi frangenti della stagione, con ritiri e prestazioni deludenti non a causa sua. La Ferrari ha però scelto una via diversa, puntando su una nuova linea giovane, con il talento emergente di Charles Leclerc che avrà un compito molto arduo: prima di tutto di non far rimpiangere Kimi Raikkonen, il secondo di adattarsi velocemente ad una squadra che non conosce ed in terzo luogo dimostrare al suo secondo anno di Formula 1 di meritarsi questo sedile e di sapere gestire tutte le pressioni che deriveranno dall’essere pilota titolare Ferrari. Leclerc ha dimostrato di avere talento e di essere in grado di sfruttarlo a dovere, mostrando qualità che hanno impressionato tanti addetti ai lavori. Ma come ha detto Maurizio Arrivabene, Leclerc va prima di tutto protetto, viste le enormi pressioni che tutti hanno già messo sulle sue spalle ancor prima di iniziare, ancor prima di scendere in pista e fare i primi chilometri: ognuno ha le sue aspettative sul giovane monegasco, aspettative che sia da una parte che dall’altra, rischiando di metterlo in una posizione scomoda, dato che in Ferrari tutto si moltiplica per 10.
Red Bull
Quella del 2018 è stata una stagione di “transizione” per la Red Bull. Ben consapevole di non poter lottare per il mondiale a causa di una Power Unit non all’altezza dei rivali Ferrari e Mercedes, la squadra anglo-austriaca ha potuto mirare solo a sporadici successi di tappa, anche se la stagione è stata piena di alti e bassi, indipendentemente dalle prestazioni del motore. Un inizio di campionato difficile è stato mitigato dal trionfo in Cina di Daniel Ricciardo grazie ad un’ottima strategia che gli ha permesso di ribaltare una gara in cui il trionfo non era indubbiamente alla portata. La seconda vittoria dell’anno è arrivata a Monte Carlo, sempre grazie all’australiano, nonostante un grosso problema alla Power Unit abbia minato per gran parte della gara le possibilità di concludere la corsa con il successo finale. Problemi di affidabilità che si sono visti durante il corso di tutta la stagione che hanno influenzato in particolar modo il campionato di Daniel Ricciardo, costretto al ritiro in numerose occasioni. Il terzo successo stagionale è arrivato in Austria, dove la RB14 e Max Verstappen sono stati bravissimi a gestire l’elevato degrado delle gomme che ha colpito le Mercedes nel corso della gara, portando a casa un meritatissimo successo. Ci si aspettava che il quarto trionfo potesse arrivare in Ungheria o a Singapore, ma se a Budapest la RB14 non era riuscita a brillare, sulle strade di Marina Bay Max Verstappen e Daniel Ricciardo hanno dovuto fare i conti con la forza di una Mercedes velocissima, al di là dalle aspettative. Quarto successo che è poi arrivato in Messico, come nel 2017, dove Max Verstappen ha ottenuto un altro trionfo fatto di una grande gestione degli pneumatici e della costanza del passo gara. Indubbiamente nell’ultimo terzo della stagione la Red Bull ha fatto un grosso passo in avanti, divenendo un temibile avversario per la vittoria in numerose occasioni, come negli Stati Uniti ed in Brasile, appuntamento in cui solo un assurdo incidente ha privato l’olandese di un altro trionfo.
Spostandoci sui piloti, la stagione di Max Verstappen è senza dubbio quella più interessante, perchè durante il campionato abbiamo assistito alla sua trasformazione. Se ad inizio stagione il giovane olandese era stato protagonista più per gli incidenti che per le prestazioni in pista, dal Gran Premio di Francia in poi la situazione si è ribaltata, rendendo Verstappen uno dei piloti più prolifici in pista. Nei primi appuntamenti del mondiale, i numerosi incidenti e contatti, avevano indubbiamente minato le certezze dei tifosi, per un pilota forse troppo esuberante e a volte oltre il limite, a cui sembrava mancare quella dose di “calma” e di maturità che gli avrebbe permesso di fare quel passo in avanti per diventare un pilota più completo e costante. Nella seconda metà di stagione, Verstappen ha alzato la sua asticella, diventato un pilota sempre più maturo e sfruttando al massimo le occasioni che gli si ponevano davanti. Con il migliorare delle prestazioni della RB14, il giovane olandese è diventato una presenza sempre più costante nelle zone alte della classifica, avvicinandosi alla vittoria in più occasioni. In questa stagione sembra che Verstappen abbia fatto quel passo in più in termini di maturità che ci si aspettava, confermando anche le sue grandi abilità nella gestione degli pneumatici, chiave fondamentale nei suoi due trionfi e di altre numerose buone prestazioni. Si è rivelata molto più complicata, invece, la stagione di Daniel Ricciardo, minata dai numerosi problemi tecnici che non gli hanno permesso di avere una buona costanza nel corso del campionato. Problemi in gran parte dovuti ad un’estremizzazione fin troppo eccessiva del costruttore anglo-austriaco di alcuni concetti, che sono forse anche stati le motivazioni che hanno spinto Ricciardo a scegliere un’altra strada e ad accasarsi alla Renault nella prossima stagione. Passa anche da Renault il futuro della Red Bull, dato che la scuderia di Chris Horner ha deciso abbandonare le Power Unit del costruttore francese per iniziare una nuova patnership con la Honda, la quale dovrebbe portare anche un buon introito economico nelle casse del team. Con Honda arriverà anche Pierre Gasly, giovane talento del vivaio Red Bull che quest’anno ha completato la sua prima stagione completa con la Toro Rosso.
Renault
Nel 2018 la squadra francese era chiamata a fare un passo in avanti, a portarsi più vicina ai 3 top team ormai dettano legge da molte stagioni. In un certo senso, però, non è stato così. Indubbiamente ci sono stati dei passi avanti rispetto al 2017 sia in termini di risultati che di classifica, tali che l’hanno portata dal sesto posto nei costruttori della passata stagione sino al quarto quest’anno, ma in questo 2018 sembra sia mancato quel fattore che l’avrebbe portata a fare la differenza dalle altre squadre di centro classifica. Il quarto posto è arrivato ma non senza qualche difficoltà, dato che la Renault se l’è giocata fino alle ultime gare con la Haas, senza dimenticare che da metà stagione in poi vi è stata anche una crescita sia della Force India che della Sauber, che alle volte hanno costretto il team francese a concludere anche fuori dalla top ten. Dopo un 2017 in crescendo, l’obiettivo per la vettura 2018 era quello di migliorare in particolare sulla Power Unit e sulla gestione gomme: in qualifica la RS17 si comportava bene, ma in gara venivano fuori le difficoltà. Con la RS18 si è parzialmente posto rimedio, e sin dalle prime gare il passo in avanti era stato evidenti, tanto da rendere la monoposto transalpina come la prima subito dopo i 3 top team. Qualche ritiro di troppo, strategie non propriamente azzeccate ed un pizzico di sfortuna non hanno permesso alla Renault di riuscire a tramutare in punti importanti quelle prestazioni che erano alla portata. Come confermato da Carlos Sainz Jr., nella seconda metà di campionato sono però mancati quegli aggiornamenti che avrebbero dovuto aiutare la Renault a consolidare la quarta posizione nei costruttori e avvicinarsi ai team di testa. In questo 2017 è arrivata anche la conferma della separazione tra Renault e Red Bull dopo numerose stagioni ci collaborazione condite da 8 titoli mondiali, di cui 4 con Sebastian Vettel. Con Honda che sembra aver fatto grossi passi in avanti quest’ultimo campionato, la collaborazione tra la squadra anglo-austriaca e il motorista nipponico potrebbe non essere un obiettivo così semplice da raggiungere per il 2019; c’è da rimboccarsi le maniche e spingere sull’acceleratore anche lato investimenti, perché per quanto la politica della Renault sia quella di riuscire ad arrivare a giocarsi i titoli con budget più contenuti rispetto a quelli della concorrenza, dall’altra ci sono squadre che di certo non hanno di questi problemi e che stanno continuando ad investire per progredire e migliorare tutte le infrastrutture. La squadra transalpina avrà una coppia di assoluto valore il prossimo anno, formata da Nico Hulkenberg e Daniel Ricciardo, due dei migliori piloti in griglia. Proprio in tema di piloti, merita grande considerazione la stagione del tedesco, approdato in Renault l’anno per lanciarsi in un nuovo progetto ambizioso, capace di essere il punto di riferimento a centro gruppo, nonostante i numerosi ritiri che hanno minato la continuità nel corso del campionato: Hulkenberg è stato piuttosto costante durante tutto il corso dell’anno in termini di prestazioni, ma l’ascesa della Sauber e della Force India hanno impattato sul campionato del numero 27, rendendo la sfida ancor più complicata. Il 2019 sarà indubbiamente interessante per il talento tedesco; dopo aver sfidato piloti di qualità come Carlos Sainz Jr. e Sergio Perez, ora ad attenderlo è un top driver, Daniel Ricciardo. Più complicata la stagione di Carlos Sainz Jr., molto altalenante: dopo un inizio molto complicato, il giovane spagnolo sembrava essersi ripreso in Azerbaijan, inanellando una serie di buoni risultati, per poi faticare nella seconda metà di campionato. Data la stagione piuttosto altalenante e la concreta possibilità di acciuffare Ricciardo, la Renault ha deciso di puntare l’australiano, “scaricando” Sainz, libero di accasarsi alla McLaren.
Haas
La scuderia americana è stata protagonista di un grande 2018, il suo miglior anno da quando è presente in Formula 1. Per la Haas è un continuo crescendo, un progredire anno dopo anno, stagione dopo stagione. Il 2016 era stato un anno positivo, al suo debutto la Haas era stato in grado di ben figurare e dimostrarsi all’altezza della Formula 1. Nel 2017 si erano visti i primi miglioramenti, ma è in questa stagione che la Haas ha fatto un netto passo in avanti, giocandosi il quarto posto nel costruttori con la Renault fino agli ultimi Gran Premi. Una Haas in realtà piuttosto sprecona, perché con un po’ d’impegno in più e qualche occasione sprecata in meno, probabilmente sarebbe riuscita ad acciuffare quel quarto posto nel costruttori che avrebbe significato importanti entrate economiche e un risultato di prestigio. La stagione non è iniziata nel migliore dei modi: in Australia, pur dimostrando un gran passo, la scuderia americana è stata letteralmente fermata da due pit stop poco fortunati, che non gli hanno permesso di ottenere un quarto ed un quinto posto che si sarebbe meritata per quanto stava dimostrando in pista. Nella prima parte di stagione la scuderia americana si è dimostrata molto competitiva, risultando essere anche il team più competitivo dopo Ferrari, Mercedes e Red Bull, a dimostrazione del buon lavoro fatto durante l’inverno. Il momento migliore della stagione è stata sicuramente la gara in Austria, dove il team è finito a punti con entrambi i piloti, in posizioni di assoluto valore. Con la crescita di Renault, Force India e Sauber, però, la Haas ha iniziato a patire e soffrire la concorrenza, perdendo qualche buona opportunità di segnare punti importanti. Spostandoci sui piloti, Kevin Magnussen ha sorpreso un po’ tutti soprattutto nella prima parte d’anno, grazie a delle ottime prestazioni che hanno messo in risalto la sua guida, a volte fin troppo eccessiva. Ha patito un po’ nella seconda metà di campionato, ma indubbiamente ha meritato la riconferma. Più complicata la stagione di Romain Grosjean, partito con il piede sbagliato nonostante qualche prestazione di assoluto valore, ma conclusa nel peggiore dei modi: il ritiro in Australia, le difficoltà in Bahrain e in Cina, il botto in Bahrain dopo un’ottima rimonta dal fondo e l’incidente in Spagna sicuramente non sono stati gli highlights della sua stagione. Ma dall’Austria in poi si è ripreso bene, dimostrando le qualità che lo avevano reso uno dei piloti più in vista della griglia qualche stagione fa. La Haas ha scelto la via della continuità, confermando sia il danese che il francese.
Racing Point Force India
Il 2018 è stato un anno travagliato per la Force India, o Racing Point Force India, o Racing Point, o come preferite chiamarla. I problemi sono iniziati già in inverno, dove l’introduzione dell’Halo e la mancanza di fondi hanno minato la competitività della squadra anglo-indiana, spingendola fuori dalla top ten nelle prime gare della stagione. Un avvio di campionato complicato per una squadra che solamente l’anno prima era riuscita a concludere al quarto posto nel mondiale costruttori. Il podio conquistato con Sergio Perez è stata una boccata d’ossigeno in un momento difficilissimo, soprattutto quando la situazione finanziaria e dirigenziale della squadra, date le note vicessitudini giudiziarie che hanno colpito il boss del team, inizia a farsi sempre più complicata. I primi importanti miglioramenti si sono riscontrati in Austria, quando i risultati sono iniziati ad arrivare con una certa costanza fino alla pausa estiva, forse il momento più importante della stagione. Durante la pausa di metà campionato, infatti, è avvenuto il passaggio di proprietà al gruppo guidato da Lawrence Stroll, padre di Lance, che ha garantito alla squadra e a tutto il personale una stabilità finaziaria ed una continuità necessaria per concludere la stagione e programmare un futuro che possa far crescere il team e renderlo una realtà sempre più importante nel mondo della Formula 1. La nuova dirigenza, infatti, ha già parlato dei propri piani per il futuro, con dei progetti interessanti che potrebbero permettere alla Racing Point di avvicinarsi ai 3 top team e di giocarsela anche contro una Renault in crescita: l’espansione delle strutture e del personale sono tra i piani che Stroll ha in mente per l’immediato futuro. Tornando però al presente, con l’arrivo della nuova proprietà sono iniziati ad arrivare anche i primi introiti economici che hanno permesso alla squadra anglo-indiana di migliorare la vettura e renderla più competitiva, tanto da spingerla stabilmente nella top ten nella seconda metà di stagione in un continuo crescendo. Nel 2019 per la Racing Point, la quale cambierà un’altra volta nome prima dell’inizio del campionato, la sfida sarà particolarmente interessante, dato che ci si aspetterà un passo in avanti, ma come ce lo si aspetterà da una Renault ambiziosa, da una McLaren in cerca di riscatto ed una Haas che vuole continuare a migliorare. Sul fronte piloti, ancora una volta Sergio Perez è stato protagonista di una buona stagione, dimostrando ancora una volta le sue qualità sul passo gara, dove ha concluso per 9 volte davanti al compagno di squadra, Esteban Ocon. D’altra parte, il francese ha dimostrato le sue qualità sopratutto in qualifica, con un netto 15-5, nonostante in realtà il distacco medio tra i due sia molto piccolo. Il prossimo anno in squadra arriverà Lance Stroll, figlio del nuovo proprietario, che dopo due stagioni in Williams avrà l’opportunità di confrontarsi con un pilota di livello come Perez e di guidare per un buon team di media-classifica, sarà quindi un anno cruciale per capire il suo potenziale.
McLaren
Dopo 3 anni di accuse reciproche, di ritiri e di poche soddisfazioni, alla fine del 2017 Honda e McLaren avevano deciso di concludere anticipatamente la propria partnership: il costruttore giapponese si era accasato con la Toro Rosso, in vista di una possibile collaborazione con la Red Bull a partire dal 2019, mentre la squadra di Woking aveva concluso un accordo con la Renault per ottenere le Power Unit del motorista francese. Insomma, la McLaren si era “giocata” tutto; per mantenere Fernando Alonso e per uscire dall’incubo Honda, si era rinunciato ad un considerevole introito economico da parte del motorista nipponico e alla possibilità di lavorare come un vero costruttore, con un accordo esclusivo. Dato che per anni McLaren aveva “scaricato” le colpe dei scarsi risultati su Honda, indubbiamente le prospettive della squadra di Woking erano quindi abbastanza alte per questa stagione, il team inglese si aspettava di poter competere per podi e risultati di prestigio. Già dal pre-campionato, però, la stagione sembrava aver preso una brutta piega, alle prese con le intuibili difficoltà di integrazione tra un progetto già avviato (non bisogna dimenticare che originariamente la MCL33 era stata pensata per ospitare la Power Unit Honda) e un nuovo motore Renault. Difficoltà comprensibili, ma che hanno minato la preparazione della stagione e che non hanno permesso alla McLaren di capire immediatamente i punti deboli della nuova vettura, poi divenuti palesi nel corso dell’anno. Nonostante tutto, i risultati ad inizio campionato sembravano lasciare comunque uno spiraglio di una ripresa, seppur un pizzico di fortuna aveva indubbiamente aiutato ad ottenere risultati al di sopra del potenziale della vettura. Con gli aggiornamenti portati in Spagna si sperava di far un grosso passo in avanti, tanto che in molti avevano definito quella della Spagna quasi come una “seconda versione” della MCL33, rivista e spinta nello sviluppo. Peccato che, invece, da quel momento la stagione della McLaren non sia stata in ascesa, ma solo una lunga discesa verso il baratro delle ultime file, fino ad arrivare a giocarsela con la Williams per non occupare gli ultimi posti della griglia in qualifica in alcune occasioni. Ad influire è stata sicuramente anche la decisione della McLaren di non portare ulteriori grossi aggiornamenti per concentrarsi direttamente sulla monoposto del 2019, ma è chiaro che ci si aspettava di più. In un certo senso, però, questa caduta è stata anche la salvezza della McLaren, che ha finalmente preso in mano la situazione, lasciandosi alle spalle parole su parole, promesse su promesse ed il miglior telaio nella classifica dei telai, per riorganizzare la squadra e prendere figure che potranno aiutare il team di Woking a tornare ai fasti di un tempo.
L’addio di Eric Boullier e di Tim Goss sono state le prime mosse per la rifondazione di una squadra che ne aveva un grande bisogno: la promozione di De Ferran e, soprattutto, il futuro arrivo di un talento come James Key nel reparto tecnico, indubbiamente sono le basi da cui ripartire, insieme ai due piloti. Per quanto perdere un pilota di altissimo livello come Fernando Alonso sia deleterio per la competitività di una squadra che quest’anno si è salvata da figure ben peggiori soprattutto grazie a lui, è stata forse anche una mossa “corretta”, perché nel momento in cui si vuole ricostruire, avere un pilota che minaccia di ritirarsi una settimana sì e una no chiaramente non porta quella stabilità e quella continuità di cui il team avrebbe bisogno per un progetto a lungo termine come vuole essere quello della McLaren. Alonso quest’anno è stato senza dubbio l’ancora di salvataggio della squadra inglese, capace di portare la MCL33 in posizioni che non le appartenevano e capace di distruggere il compagno di squadra, Stoffel Vandoorne, con un perentorio 21-0 in qualifica. Forse complice una situazione che non gli dava grandi prospettive nel breve termine, Fernando ha deciso di annunciare il ritiro ed abbandonare la Formula 1, quel mondo che lo ha visto protagonista per oltre 15 anni, condite da due titoli mondiali e da tante vittorie. Più complicata, invece, la stagione del compagno di team, Stoffel Vandoorne, alle prese con un’annata avara di soddisfazioni: seppur sia vero che avere un compagno come Alonso non sia la missione più semplice, ciò non può giustificare quella mancanza di prestazioni vista per la maggior parte della stagione. D’altro canto, però, non mancano neanche altre scusanti, come una McLaren che sin dall’avvio del campionato ha dimostrato di aver poca considerazione del suo talento belga, spesso rifilandosi strategie prive di ogni logica o spedendolo in pista addirittura con un fondo penzolante, senza dimenticare il mistero di metà stagione con un telaio che dai dati non aveva sufficiente carico ma il cui motivo non era chiaro, a cui si aggiunge anche l’incompatibilità tra lo stile di guida di Vandoorne e la MCL33, quasi agli opposti secondo il suo ingegnere di pista. Seppur a favore di Vandoorne ci siano diverse spiegazioni e qualche sprazzo di talento si sia visto nel corso del campionato, ciò però non giusifica completamente le difficoltà e le scarse prestazioni mostrate, tanto che alla McLaren hanno deciso di cambiare per l’ennesima volta piloti, affidandosi al giovane Carlos Sainz Jr. e al talento emergente di Lando Norris. Il 2019 dovrà essere l’anno della verità per la McLaren per tanti motivi: non ne va solo dell’onore di una scuderia storica, che ha fatto la storia di questo sport, ma anche del futuro economico di questa squadra, dato che gli investitori potranno coprire le perdite dovute alla rottura con Honda ancora per poco.
Sauber
L’anno della rinascita. Dopo stagioni sofferte, dopo dirigenze che hanno fatto più danni che bene, finalmente la Sauber è tornata a sorridere e a splendere. La cura Vasseur e l’arrivo di Alfa Romeo come main sponsor sono stati gli elementi che hanno aiutato la Sauber a tornare una delle realtà del campionato, con un miglioramento delle prestazioni gara dopo gara, fino a renderlo in alcune occasioni il miglior team dopo Ferrari, Mercedes e Red Bull. L’inizio di stagione in realtà si era rivelato più difficile del previsto, in ultima fila e lontano da chi la precedeva. La svolta è arrivata al quarto appuntamento del calendario, in Azerbaijan, quando Charles Leclerc ha conquistato per la prima volta in carriera la top ten, portando la Sauber nuovamente nei punti. Da quel momento in poi, la stagione della scuderia svizzera è andata in crescendo, conquistando la Q3 in numerose occasioni e concludendo nella top ten in gara per ben 16 volte con entrambi i piloti. La cura Vasseur ha indubbiamente portato i propri risultati: tra gli obiettivi che il nuovo team principal si era posto vi erano il potenziamento delle strutture e l’espansione del personale. L’arrivo di un tecnico di altissimo livello come Simone Resta nel ruolo di direttore tecnico ha poi aiutato la squadra di Hinwill a fare un ulteriore passo in avanti, soprattutto in vista del prossimo anno. Lo staff della Sauber si è concentrato sul risolvere i difetti della monoposto della passata stagione, riducendone peso, migliorandone l’aerodinamica e la gestione gomme; il team svizzero ha poi potuto contare anche sulla Power Unit Ferrari 2018, da molti considerati come la migliore della griglia, che ha dato un ulteriore boost alle performance della C37. Spostandoci sul lato piloti, indubbiamente non si possono trascurare le performance di Charles Leclerc, cresciuto di pari passo insieme alla Sauber nel corso della stagione: dopo un periodo iniziale di difficoltà, il monegasco ha trovato la strada giusta nel set-up della vettura e ciò gli ha permesso di esprimersi al massimo del suo potenziale. È stato un processo di apprendimento durato tutto l’anno, sfociato nella promozione alla Ferrari per il prossimo anno al posto di Kimi Raikkonen. Una dimostrazione di fiducia da parte del team di Maranello, che vuole dare un’opportunità ad un talento dell’Academy che ha visto crescere e vincere nella categorie minori, fino alla Formula 1. Se Leclerc il prossimo anno farà un passo in avanti nella sua carriera, non si può dire lo stesso per Marcus Ericsson, il quale emigrerà in Indycar alla ricerca di fortuna in terra americana. La squadra, complice l’arrivo di Kimi Raikkonen, la promozione di Antonio Giovinazzi e risultati probabilmente non all’altezza delle aspettative, ha deciso di affidargli il ruolo di terzo pilota. Il prossimo anno sarà una sfida interessante per la Sauber, che avrà dalla sua un budget più importante, due piloti e ed uno staff di alto livello per progredire in classifica e diventare stabilmente una delle protagoniste della lotta di centro gruppo.
Toro Rosso
Un nuovo inizio per Honda. Rappresenta questo per Honda la stagione 2018 del campionato mondiale di Formula 1. Dopo un rapporto burrascoso con McLaren, avaro di soddisfazioni e pieno di accuse reciproche, i due partner hanno deciso di separarsi, prendendo due strade diverse: il team di Woking ha deciso di adottare le Power Unit Renault, mentre il motorista nipponico si è accasato con la Toro Rosso in vista di un accordo con Red Bull nel 2019. Le prime indicazione ricavate nel pre-campionato avevano lasciato ottimismo negli ingegneri giapponesi, coscienti di aver fatto un passo in avanti nella giusta direzione. Nel pre-campionato la Power Unit nipponica sembrava aver trovato quella affidabilità che gli era mancata nelle stagioni precedenti ed anche le prestazioni erano in linea con le aspettative di crescita del motorista. Il punto più importante della stagione in pista indubbiamente è stato il quarto posto di Pierre Gasly in Bahrain, tanto inaspettato quanto bello, una bella botta di fiducia sia per la Toro Rosso che per la Honda dopo anni difficili. Il punto più importante della stagione fuori dalla pista, invece, è stato l’accordo raggiunto tra Honda e Red Bull per il 2019, una partnership di lunga durata che ha posto il team anglo-austriaco nella posizione di avere un contratto ed un partner esclusivo, oltre che ad un ingente introito economico supplementare. Spostandoci sul lato piloti, Pierre Gasly si è dimostrato un talento molto interessante, ottenendo anche l’ambita promozione alla Red Bull in sostituzione di Daniel Ricciardo: il giovane francese è stato preferito all’altro pretendente al sedile, Carlos Sainz Jr., e questo è chiaramente un segnale di fiducia nei confronti di Gasly. Non è andata altrettanto bene, invece, per Brendon Hartley, alle prese con una stagione molto complicata, in cui non è riuscito ad adattarsi alla monoposto e allo stile di guida richiesto. L’australiano è riuscito a fare progressi verso la parte finale del campionato, ma non abbastanza per convincere la Toro Rosso a tenerlo anche per il 2019. Per questo la squadra italiana ha deciso di optare per una coppia di piloti, richiamando a Faenza Daniil Kvyat ed ingaggiando il talento emergente di Alexander Albon, giovane pilota che ha ben figurato in Formula 2.
Williams
Quella del 2018 è stata una stagione terribile per la Williams, alle prese con un campionato avaro di soddisfazioni e ben al di sotto anche delle più nere aspettative. Quest’anno è mancato davvero tutto e anche quelle poche certezze sembrano essere svanite. La FW41 non si è dimostrata all’altezza della situazione, piena di difetti che anche il team ha faticato a comprendere e risolvere, tanto da dichiarare che tentare di risolvere le problematiche che affliggevano la monoposto 2018 avrebbe richiesto un budget molto alto, ben più alto di quello a disposizione del team di Groove. La filosofia a basso drag che la Williams aveva adottato a partire dall’inizio dell’era ibrida sembra non pagare come nei primi anni e i risultati non possono che avvalorare questa tesi, nonostante durante la pausa invernale i riscontri ottenuti dai tecnici sembravano positivi, tanto da rendere la vettura 2018 abbastanza competitiva per giocarsela stabilmente per le posizioni di centro classifica e lottare con Force India e Renault per il quarto posto nel mondiale costruttori. La pista ha però raccontato una realtà ben diversa da quella del simulatore e del CFD, quasi catastrofica. C’è ben poco che i piloti potessero fare per arginare i problemi di questa vettura, tanto che persino i più importanti investitori hanno deciso di “abbandonare” la Williams: Lawrence Stroll, la gallina dalle uova d’oro, ha deciso di abbandonare (seppur parzialmente, visto che dovrà continuare a versare capitale nella scuderia inglese nel 2019 per via del contratto stipulato l’anno scorso) il team inglese per approdare, insieme al figlio, in Force India. SMP, sponsor di Sergey Sirotkin, il qualche aveva portato una buona somma di denaro da investire nello sviluppo della monoposto ha deciso di concludere anticipatamente il rapporto, non rinnovando il contratto a causa della situazione complicata ed, apparentemente, senza via d’uscita che affligge la Williams. Ed anche il main sponsor, Martini, ha deciso abbandonare la compagine inglese. Nonostante l’arrivo di PKN Orlon con Robert Kubica, chiaramente la situazione non è delle più rosee in vista dei prossimi anni dal punto di vista finanziario, quindi riuscire a risalire in classifica puntando a premi più alti sarà fondamentale.
Dal punto di vista dei piloti, Lance Stroll dichiara di aver fatto numerosi passi in avanti quest’anno, anche se le scarse prestazioni della Williams non hanno potuto dimostrare a fondo questi miglioramenti: il suo punto debole sembra essere rimasto la qualifica, mentre sul passo gara e soprattutto sulle partenze sembra aver confermato quei piccoli sprazzi di talento che si erano visti anche nel 2017, nonostante un difficile confronto con un pilota di esperienza come Felipe Massa. Dall’altra parte del box, è stata una stagione complicata anche per Sergey Sirotkin, che a dispetto di quanto dicono i risultati, ha però mostrato chiari sprazzi di talento anche nelle situazioni più difficili ed in piste da cui non ci sarebbe aspettato quasi nulla dalla Williams. Nonostante non avesse mai corso su buone piste del mondiale, il russo non ha sfigurato al suo debutto, finendo anche in diverse occasioni davanti al compagno di team: l’inizio non è stato dei più semplici, anche nella gestione delle strategie, dato che concludeva la gara inspiegabilmente sempre con un pit stop in più di Stroll. Andando avanti nella stagione, però, Sirotkin è migliorato gara dopo gara con grande impegno, dimostrando le sue grandi abilità soprattutto in qualifica, dove non ha per nulla sfigurato, grazie a delle buone prestazioni su piste complicate come quelle di Monaco, Singapore e Brasile, tracciati su cui non ci si aspettava una Williams competitiva. Un impegno costante da parte del russo apprezzato anche da Paddy Lowe, dispiaciuto dell’addio di Sirotkin a fine stagione. Nel 2019 i piloti saranno Robert Kubica, al ritorno in Formula 1 come pilota ufficiale dopo il terribile incidente nel 2011, e George Russell, giovane promessa del vivaio Mercedes al suo debutto in categoria dopo aver vinto il campionato 2018 di Formula 2.