1950-2019. La Formula 1 sta per tagliare un traguardo storico: quella che sta per iniziare, infatti, sarà la settantesima stagione agonistica del campionato automobilistico che, nel corso degli anni e dei decenni, ha saputo conquistare il mondo intero, dall’Europa — culla della F1 stessa — all’Asia. Cifra piena, tonda, importante, carica di significati e di aspettative. E di riflessioni.
Quando si parla di Formula 1, oggi, gli animi si accendono e le frizioni, inevitabilmente, emergono in superficie. La serie entrata di diritto nell’immaginario collettivo quale sinonimo di automobilismo sportivo è anche quella che, maggiormente ed in modo viscerale, divide il giudizio del pubblico appassionato. Le fazioni “pro-F1” e “anti-F1” si scontrano quotidianamente sui social network, in un continuo palleggiamento di posizioni ideologiche e di sterili argomentazioni. No, non è così che si analizza l’attuale stato di salute della Formula 1, la sua storia, il suo presente ed il suo futuro.
La Formula 1 vive, da anni, un periodo di obiettiva parabola discendente, soprattutto sotto il profilo tecnico e, ancor più specificamente, sotto il profilo della varietà tecnica. Se da un lato, infatti, abbiamo una Formula 1 che ancora incarna il ruolo di guida e punto di riferimento per quanto concerne prestazioni delle vetture e abilità di guida dei piloti, dall’altro siamo alle prese con una F1 eccessivamente povera di contenuti tecnici, vittima (e al tempo stesso carnefice) di regolamenti oltremodo pauperistici e rigidi, non in linea con la tradizione della Formula 1.
Già, la tradizione. Badate bene: tradizione non è sinonimo di tradizionalismo. La Formula 1 ha smarrito, dimenticato — almeno per quanto concerne alcuni aspetti e non da oggi — il concetto di “tradizione”, ossia evolvere e condurre alla contemporaneità concetti e contenuti passati sempre validi ed ancora attuali. Concetti tipici della F1 e nati con la F1. Concetti che hanno segnato e scritto la storia della F1. Concetti che sono sinonimo di Formula 1. Concetti, infine, che hanno contraddistinto l’intero automobilismo sportivo per molti anni ma che ora sono sovente accantonati in nome di falsi valori e false priorità.
La tradizione è slancio evolutivo, il contrario, pertanto, del tradizionalismo. Per dare un esempio: chi rivuole i cambi manuali sono i tradizionalisti, i demagoghi della tecnica e dello “spettacolo”, coloro i quali ritengono che un cambio manuale non solo sia migliore di uno sequenziale ma che addirittura possa produrre più “spettacolo”; chi, invece, ritiene che gli attuali cambi sequenziali costituiscano un inevitabile, legittimo e proficuo tassello evolutivo perfettamente inseribile in un contesto di “tradizione”, sono, appunto, i sostenitori della tradizione. Questo processo è stato ed è eseguito, da coloro i quali muovono i fili regolamentari ed organizzativi della F1 (i team fanno parte di questi “burattinai”), in maniera parziale e sovente distorta.
Oggi, del concetto tecnico alla base della tradizione della Formula 1 — concetto che, è bene ribadire, ha reso grande e celebre la Formula 1 stessa — rimangono diluite tracce, benché tangibili. In nome di pasticciate concezioni di “spettacolo”, in nome di un “contenimento dei costi” molto demagogico, utopico e poco coerente e in nome di un equilibrio prestazionale tra le vetture tanto forzoso e graduale quanto antisportivo e inopportuno, la Formula 1 ha misconosciuto e rigettato gran parte delle fondamenta portanti della propria tradizione tecnico-sportiva. L’adozione di componenti standardizzate, la scelta di indirizzare la F1 verso singole tipologie di motori (dapprima tutti V10 aspirati di 3000cc, successivamente tutti V8 di 90° aspirati di 2400cc ancor più rigidamente regolamentati, dal 2014 tutti V6 di 90° Turbo-ibridi di 1600cc pesantemente standardizzati dai tanti cavilli regolamentari), il voler delegare ai legislatori gran parte della progettazione delle linee e delle soluzioni tecniche delle vetture anziché lasciar carta bianca ai veri attori protagonisti — i tecnici progettisti — costituiscono le principali note dolenti della odierna Formula 1, frutto del processo di abbandono e tradimento della tradizione della F1.
Tradimento, appunto: non debbono essere i legislatori a specificare il numero di cilindri e l’architettura dei motori, non debbono essere i legislatori ad imporre il disegno di massima degli alettoni, non debbono essere i legislatori ad imporre la posizione e il numero dei terminali di scarico (solo per citare pochi, emblematici esempi). Provvedimenti che, però, oggi fanno parte della F1 ma che cozzano contro l’essenza e la tradizione della F1 stessa.
Naturalmente, i molteplici mutamenti tecnici hanno influenzato e continuano ad influenzare l’aspetto sportivo della F1, in un continuo rincorrere ed alimentare richieste ed esigenze (quasi sempre demagogiche) rivendicate a gran voce da un pubblico appassionato in gran parte assuefatto alle logiche anti-tradizione promosse dalla Formula 1 stessa. Ecco, allora, l’introduzione del DRS, simbolo supremo di questo “cortocircuito” instauratosi tra legislatori e pubblico, sublimazione della voglia di “show” fine a se stesso, sistema appositamente studiato per dopare i Gran Premi di sorpassi i quali, tuttavia, non rimarranno nella storia della F1, giacché quelli che rimangono e rimarranno nella storia sono quelli ispirati dal momento e non da un dispositivo regolamentare. Le altre mille storture sportive — si prendano, ad esempio, le penalità inflitte per la sostituzione di motore, cambio e così via — completano uno scenario sedicente “progressista” e moderno — in nome dello “spettacolo” e del “contenimento dei costi” — tutt’altro che edificante e consono alla tradizione della F1.
L’odierna Formula 1, pertanto, è caratterizzata dai medesimi difetti e dalle medesime contraddizioni comuni a gran parte del panorama motoristico internazionale, a ruote coperte e scoperte: eccessiva standardizzazione tecnica e prestazionale, norme partorite in nome di un fuorviante concetto di “spettacolo” e dell’ossessionante “contenimento dei costi”. Tuttavia, anche in presenza di numerose deformazioni, la Formula 1 costituisce ancora una solleticante sfida per tecnici, team e piloti.
Se non tutto è da salvare, non tutto è da buttare. Specie negli ultimi anni, la F1 ha ritrovato una certa vivacità sportiva ed il merito non è da attribuire né al concetto di “spettacolo” promosso dai burattinai della F1, né al contenimento dei costi né al DRS, bensì alla qualità dei piloti e alle capacità dei team e dei tecnici progettisti, i primi pronti a darsi battaglia senza esclusione di colpi, i secondi in grado di addentrarsi tra le pieghe dell’interminabile Regolamento Tecnico ed interpretare al limite ed oltre il limite — legittimamente e legalmente — i regolamenti stessi, sovente molto ingessanti e coercitivi.
Inoltre, da sottolineare alcuni cambiamenti azzeccati da parte della FIA: il riferimento va ai nuovi regolamenti introdotti a partire dal 2017, i quali hanno indubbiamente conferito alla F1 un maggior appeal grazie alla esasperazione delle vetture mediante una rinnovata attualizzazione di soluzioni riprese dal passato. Ossia, dalla tradizione. Al giovamento del “prodotto F1” ha contribuito anche la nuova regolamentazione in fatto di pneumatici (ampliamento della scelta delle mescole utilizzabili a GP), benché i pit-stop obbligatori non portino benefici all’imprevedibilità e alla genuinità dei Gran Premi.
Le prestazioni delle monoposto e la loro estrema agilità — dovute ad una meccanica sopraffina ed esasperata, evoluta e favorite da un rapporto peso/potenza, nonostante i continui incrementi del peso minimo delle vetture, ancora vantaggioso — costituiscono le autentiche note positive che rendono la Formula 1 il punto di riferimento per quanto concerne le vetture da competizione. Non c’è vettura da competizione, oggigiorno, che possa eguagliare le prestazioni offerte dalle monoposto di F1. In questo senso, sebbene molto sia cambiato, la F1 tiene fede alla propria tradizione.
Insomma, progettare una F1 e guidare una F1 sono, per fortuna, ancora operazioni che richiedono estrema sapienza.
70 anni di Formula 1. 13 maggio 1950, III RAC British Grand Prix (e GP d’Europa), Silverstone. Sono in programma 70 giri per un totale di 325,430 km (circuito di 4,649 km). È Giuseppe Farina, su Alfa Romeo 158 (SA Alfa Romeo), il primo vincitore del neonato Campionato Mondiali Piloti. L’italiano, che conquisterà il titolo mondiale 1950, precede al traguardo le altre Alfa Romeo 158 di Luigi Fagioli e Reg Parnell.
Da quel GP inaugurale, la Formula 1 ha accresciuto in maniera esponenziale, e probabilmente inimmaginabile, la propria fama. Una fama conquistata sul campo grazie a sfide, duelli, vetture, episodi, piloti, circuiti, aspre lotte politiche, clamorose proteste divenuti leggendari, nel bene e nel male, nella gioia e nel lutto. Una F1 sportivamente e tecnicamente (e politicamente) mai immobile ma, tuttavia, fedele ai propri principi e alla propria essenza anche nelle rivoluzioni, nelle trasformazioni, nei periodi di difficoltà e nello scorrere degli anni e delle epoche.
Qualcosa, da quei tragici giorni di Imola 1994, si è incrinato. Da quel momento, la Formula 1 ha iniziato — suo malgrado — quella lenta ma inesorabile parabola discendente che ha condotto sino alla F1 dei giorni nostri, ricca di contraddizioni, paure, paranoie e storture, mutuate da altre realtà motoristiche o capaci a loro volta di influenzare negativamente l’intero panorama motoristico.
All’alba della settantesima stagione di F1, il dibattuto attorno alla F1 ha assunto i contorni di uno scontro ideologico. La Formula 1 merita ancora attenzione e rispetto. Una presa di posizione, questa, affatto ideologica, ma ben ponderata, anche alla luce dello stato di salute — non certo scoppiettante, per non dire pessima — dei massimi campionati internazionali, eterni “rivali” della F1.
Gli anni ruggenti della F1 sono ormai passati e consegnati alla storia. Le vetture iconiche e che ancora vengono ammirate, ricordate con affetto e nostalgia risalgono al passato della F1. Ma ciò non significa che, con la volontà degli organi tecnici e sportivi e dei team stessi, la F1 non possa rispolverare e rinnovare gli antichi fasti. È solo questione di persone e di volontà.
La F1 e la perdita di identità della F1 stessa: è questo il reale nocciolo della questione. Non basta un nome registrato — “Formula 1” — loghi rinnovati e fuochi artificiali al calar della bandiera a scacchi per fare della F1 la “vera” F1. Servono i contenuti, la carne, la ciccia. Occorre ripescare nella tradizione, riassaporare i contenuti di quel lontano 1950, rinnovati negli Anni ’60, ’70, ’80, ’90 per riaccendere di gloria il nuovo anche logo della Formula 1.
Al contempo, sotterrino l’ascia di guerra chi ritiene che la F1 sia il male assoluto da odiare e criticare anche quando si commenta una gara riservata alle Gran Turismo…
La F1 non è il male assoluto. È solo un ingranaggio — nonostante tutto, ancora nobile, attraente e meritevole di attenzione e rispetto — all’interno di uno scenario motoristico globale attualmente in flessione, in crisi di contenuti e identità.
21 Gran Premi, 20 piloti, 10 team, 4 motoristi: questa sarà la Formula 1 2019. Noi ci siamo, e voi?
Scritto da: Paolo Pellegrini