Sono già passati 25 anni da quel primo di maggio 1994, quando Ayrton Senna andò a schiantarsi contro le barriere all’esterno della curva del Tamburello, a Imola, perdendo la vita. La fine dell’esistenza terrena del brasiliano ha coinciso, però, con il consolidamento del suo mito, che da quel giorno in poi sarà intramontabile.
Chi era Senna? Difficile rispondere, soprattutto se quel primo maggio maledetto si era troppo piccoli per avere ricordi. Ci vengono in aiuto immagini, video, interviste rilasciate, ma in tutto questo, sembra sempre mancare qualcosa. Molto probabilmente, solo chi ha vissuto l’epopea di Magic, le sue imprese, i suoi duelli con Prost e ascoltato le sue parole possono avere una percezione chiara di cosa significhi il nome Senna, sia come uomo che come pilota.
Non che le due cose siano da scindere, anzi: Ayrton era un uomo nato per guidare in Formula 1, questo è certo. Un animale da gara, sempre in lotta, sempre al massimo per vincere, in ogni cosa, nella vita come in pista. La sua storia è quella di un ragazzo brasiliano con un talento incredibile, ma che ha lavorato sodo per incanalare il proprio talento nella direzione giusta, che lo ha portato ad avere i risultati che tutti conosciamo. Un uomo unico, che ha saputo entrare nel cuore di tutti gli appassionati come pochi altri, peraltro senza distinzione in base alla tifoseria. Tutti adorano e adoravano Ayrton, per il suo modo di essere, di guidare e di affrontare la vita.
In realtà, forse, le immagini che più di tutte ci danno la grandezza di Senna sono da ricercare in quelle del suo funerale; un paese, il Brasile, non solo in lutto, ma veramente disperato. Scene di pianto ovunque, lacrime vere, non preparate ad arte per la televisione. I colleghi a portare la bara, visibilmente emozionati; tra loro anche la nemesi del brasiliano, quell’Alain Prost con cui avevo da poco riallacciato i contatti. Non si contano le foto di Ayrton mostrate dagli astanti, con quello sguardo malinconico che lo caratterizzava.
Proprio questa partecipazione ai suoi funerali dà la misura di cosa era Senna; oggi per averne anche solo una minima idea, bisogna andare all’Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola. La curva maledetta è stata modificata, proprio come lo stesso Ayrton aveva chiesto dopo l’incidente di Berger di alcuni anni prima; l’austriaco ne era uscito miracolosamente illeso, ma Magic era stato chiaro: “Qui qualcuno prima o poi si farà molto male”. Poco più avanti, la Curva della Tosa è rimasta uguale a quel 30 aprile 1994, quando Roland Ratzenberger perse il controllo della sua Symtek andando a sbattere, morendo sul colpo, in un weekend di pura follia per tutto il motorsport.
All’interno del Tamburello, in una zona tranquilla e riparata, c’è il monumento in onore di Ayrton: il pilota è seduto, pensieroso, non sorride. Tutto intorno,bandiere e striscioni con dediche e scritte da ogni angolo del mondo e in ogni lingua immaginabile. Ma le cose che lasciano senza fiato, pur essendo in mezzo ad un autodromo, sono la calma e la tranquillità che permea l’ambiente. E’ come se quell’angolo di Imola fosse avvolto da un telo invisibile che lo isoli dal resto del mondo, quasi a proteggere l’uomo che vi è ricordato e la sua immagine.
E’ uno sforzo quasi inutile provare a dire cosa era e cosa rappresenta Senna. Forse, l’unica risposta possibile è che era un uomo, con tutte le sue forze e le sue debolezze, i suoi lampi di genio e le sue follie, che ha saputo fare emozionare una generazione di appassionati come nessun altro, e la cui leggenda continuerà a vivere in tutti i racefans del mondo, fino a che questo sport esisterà.