Sì, come le parole di una canzone di Lucio Dalla. Quel cantante italiano che ti ha anche dedicato una pezzo quando ci hai lasciato. Quanti tributi ti abbiamo dedicato noi appassionati, in questi lunghi 24 anni da quel maledettissimo primo maggio.
È passata una vita, hai ragione, la tua. Ma che vita, cavolo. E chi ti ha dimenticato? Proprio nessuno. Anche chi, come il ragazzo che ti scrive, non era nemmeno nato quando correvi ma che, attraverso libri, video, racconti che ti riguardano, si emoziona e si appassiona sempre più a questo sport che amavi alla follia. Sempre alla ricerca della perfezione, in una smodata corsa contro te stesso, i tuoi limiti, quei limiti che dovevano essere annientati per conquistare l’unica cosa che davvero contava: la vittoria.
Tu e la McLaren. Una cosa sola. Leggo nelle enciclopedie online quei distacchi macroscopici che rifilavi ai tuoi avversari e penso: “ma come è possibile?”. Ripenso al primo giro a Donington, nel 1993, e mi chiedo:”ma com’è possibile?”. Spiegamelo tu, Ayrton, anche se non so dove sei. Forse tu già sapevi dove saresti andato, vista la tua fede; forse già ti eri messo d’accordo con Dio per un bel trattamento di favore in quel bellissimo incontro galante, in pista, a Montecarlo.
Si scrive tanto di te, ogni primo maggio e non. Forse troppo per una persona come te, poco votata al protagonismo, sempre umile. Ma persino troppo poco per un pilota come te, per cosa hai rappresentato per questo sport. Parlare di te, beh sarebbe stato quindi riduttivo; parlare con te, un sogno. Irrealizzabile, ma tant’è. Ovunque tu sia, spero tu abbia un volante tra le mani, perché sei nato per quello, lo sai bene.
Alla fine di tutti i discorsi, quello che ti volevo dire è un semplice, ma di cuore, grazie.
Grazie mille per avermi dato emozioni, a volte, fino alle lacrime; grazie per avermi fatto innamorare ancora di più delle corse, della velocità, della competizione.
Grazie, Ayrton Senna da Silva. Quel primo maggio non ci hai lasciato.