1 settembre 2019 – Ci sono giorni, ci sono weekend, ci sono momenti che sono diversi dagli altri. Ci sono attimi in cui il tempo scompare e la morte decide di rispuntare da quell’angolo lontano della nostra mente nel quale l’avevamo cacciata a fatica tempo addietro.
A volte essa riappare e colpisce nel modo più meschino che conosce. Colpisce quando non vorresti, colpisce chi non vorresti, ricordandoti che nella sua indifferenza essa è sempre presente e inevitabile. La morte semina il terreno più fertile che la paura possa mai desiderare, ti insinua dubbi, ansie e timori che immediatamente attenuano la capacità di affrontare la vita con gioia.
Questa, purtroppo, non è la storia di Anthoine Hubert, poiché io non gli saprei dare lo spessore che si merita. Questa è la storia di uno sport che da quando è nato ha sempre dovuto affrontare la morte a carte scoperte, a volte perdendo la propria sfida; come è già avvenuto in passato e come tristemente è accaduto di nuovo anche questo weekend, in occasione del Gran Premio del Belgio.
Il protagonista del capitolo di questa storia è un giovane ragazzo vestito di rosso che affronta la vita col cuore in mano, non senza timore ma con la consapevolezza di poter affrontare ogni dispiacere superandolo a ogni curva. Sapete tutti che sto parlando di Charles Leclerc, il più giovane vincitore in Formula 1 della storia della Scuderia Ferrari.
A SPA-Francorchamps, in Belgio, la Ferrari arrivava con un digiuno di vittorie che durava dallo scorso Campionato. Vuoi per l’inedita coppia di piloti, vuoi per l’inefficace progetto iniziale o per gli errori commessi durante la stagione, ma la Rossa di quest’anno non sembrava più essere in grado di vincere. Ci è voluto un tracciato molto favorevole alla nuova vettura, come quello di SPA, per riaccendere la speranza nel cuore del Cavallino. E così, nella giornata di sabato, la Ferrari è tornata a conquistare interamente la prima fila della griglia di partenza, con Leclerc in pole position davanti a due colossi del calibro di Vettel e Hamilton a quasi otto decimi di secondo di distacco.
Poi è avvenuto ciò che nessuno s’immaginava: appena dopo le qualifiche, durante i primi giri di gara-1 in Formula 2, un terribile incidente alla Raidillon ha spezzato la giovane vita di Hubert. Era da Jules Bianchi che il Circus non si trovava nella sgradevole posizione di dover fare i conti con la morte e, come con Jules allora, Leclerc è stato sicuramente uno dei piloti, degli amici, più colpiti da un evento già di per sé così drammatico.
I momenti passati a lottare inseguendo i propri sogni, le corse gareggiate come rivali nelle categorie minori e nei kart e un’adolescenza che la passione per il motorsport ti obbliga a vivere assieme sempre alla solita combriccola di amici. Una foto ricordo di un podio condiviso qualche anno addietro postata sui social e nemmeno ti rendi conto di esser di nuovo dentro una monoposto, in pole position.
Gli attimi di tensione prima di un Gran Premio sono qualcosa che i piloti vivono profondamente con loro stessi. Pure i meccanici e gli ingegneri, nonostante debbano stare per forza di cose vicino ai propri piloti, cercano in quei momenti di lasciare più spazio possibile ai ragazzi che stanno per correre. Per questo motivo, sarebbe impossibile anche solo immaginare quali pensieri abbiano vagato vorticosamente nella mente di Leclerc in quegli attimi. Eppure, a un certo punto, durante la diretta internazionale per qualche secondo sono apparse le immagini in diretta riprese da una telecamera collocata dentro l’abitacolo del giovane ferrarista. In questi momenti, la visiera è ancora alzata e la messa a fuoco delle immagini è proprio mirata sugli occhi del pilota; aperti, serrati.
È palese, non c’è quiete nella mente di Charles Leclerc. Si nota anche dal suo respiro leggermente affannato. La bocca ogni tanto si schiude in leggeri sospiri, come se anche il suo corpo in quel momento chiedesse un piccolo aiuto all’aria fresca proveniente dalle foreste delle Ardenne. Gli occhi sembrano quasi persi nel vuoto dei pensieri e lasciano, così facendo, trasparire piccoli riflessi di paura.
Per quei brevi secondi di diretta l’empatia gioca con le emozioni del ferrarista e dipinge sullo schermo della FOM un quadro dalle forti tinte romantiche.
Subito dopo, con un sospiro finale, la mano destra va a cercare la visiera del casco, abbassandola e allontanando così definitivamente tutti i curiosi dalla scena. A quel punto, il regista della diretta capisce e decide di cambiare inquadratura. Non c’è gesto più inequivocabile: la gara sta per cominciare.
Quel che è successo in seguito è ormai online da ore. Charles Leclerc ha condotto una gara impeccabile andando a vincere di forza nonostante Lewis Hamilton, alle sue spalle, avesse un passo leggermente migliore.
La sua, però, non è stata semplicemente la vittoria di una corsa automobilistica. E non lo dico perché sia stata la sua prima vittoria in Formula 1 in carriera o perché si sia trattato della vittoria del pilota più giovane nella storia della Ferrari. La vittoria di Charles Leclerc, oggi, assume un valore ancora maggiore. Perché soltanto riguardando quel quadro che non più di qualche ora prima la paura aveva dipinto negli occhi del monegasco si possono apprezzare le note che hanno risuonato sul podio dietro alla bandiera del Principato.
Un inno che non avevo ancora sentito prima, che probabilmente la maggior parte dei presenti non aveva mai sentito prima. Un inno che nella storia della Formula 1 non aveva ancora trovato voce. In quel momento, senza pensarci troppo, a me è sembrato che quello fosse un inno alla vita.