F1, Honda 1964-2019: quando il motore diventa un’arte
442 Gran Premi effettivi disputati, 75 vittorie, 79 pole-position, 185 podi complessivi, 64 giri veloci in gara. Sono solo alcuni dei numeri macinati dalla Honda in Formula 1, in qualità di motorista, dal 1964 al 2019. Solo in determinate stagioni (dal 1964 al 1968 e dal 2006 al 2008), la Honda si è proposta tanto in veste di motorista quando di telaista.
Tra alti e bassi, la Honda ha saputo ritagliarsi un posto d’onore in Formula 1, sfoderando propulsori sempre altamente interessanti e caratterizzati da sopraffina tecnica. Una peculiarità, quest’ultima, frutto della intramontabile esperienza della Honda nel campo dei motori motociclistici (anche e soprattutto da competizione), qualificati da elevate potenze specifiche a fronte di cilindrate contenute. Saper maneggiare con sapienza questa tecnologia aiuta, e non poco, a sviluppare motori automobilistici raffinati nella tecnica, potenti, leggeri e dagli ingombri ridotti.
Gli Anni ’60
È questo travaso tecnologico che, nel 1964, permette alla Honda di debuttare in F1 con la innovativa Honda RA271, caratterizzata da un 12 cilindri di 1500cc aspirato in V di 60° montato trasversalmente (sigla RA271E). Il motore, evoluto e siglato RA272E, è tra gli artefici, nel 1965, della prima vittoria in F1 da parte della Honda e, più in generale, di un costruttore del Sol Levante (GP del Messico, Richie Ginther). Questo capolavoro della tecnica, installato a bordo della meravigliosa Honda RA272, eroga oltre 230 CV a 12.000 giri/minuto. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 58,2 mm x 47 mm.
La Casa giapponese è attiva in F1 — in solo tre GP — anche nel 1966, anno di esordio dei nuovi motori aspirati di 3000cc. La vettura è la Honda RA273 (monoposto impiegata anche nel 1967), il motore l’inedito 12 cilindri in V di 90° denominato RA273E. Esorbitanti le prestazioni: oltre 420 CV a 11.500 giri/minuto. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 78 mm x 52,2 mm. Questo motore verrà installato anche a bordo della Honda RA300 (1967-1968).
Come solito in quegli anni, anche i tecnici Honda “giocano” con la posizione di aspirazione e scarico, all’interno o all’esterno del V. Con lo RA301E, lo scarico viene spostato all’esterno del V, contrariamente a quanto fatto sul precedente RA273E. I cavalli, ora, sono circa 450 a 11.500 giri/minuto. Frazionamento, architettura e misure di alesaggio e corsa rimangono invariati: 12 cilindri in V di 90°, 78 mm x 52,2 mm. La vettura è la Honda RA301 (1968).
Nel 1968, anno in cui si esaurisce la prima parte della carriera in F1 della Honda, la casa giapponese presenta la innovativa, moderna, bellissima ma ancora acerba Honda RA302. La monoposto è azionata da un inedito V8 in V di 120°, aspirato e di 3000cc di cilindrata. Si tratta del leggendario RA302E interamente raffreddato ad aria: si parla di oltre 430 CV a 9500 giri/minuto.
1983-1988: Honda domina nell’era Turbo
1983, la Honda fa il proprio ritorno in F1 solo in qualità di motorista. E saranno dolori per tutti…
Per il ritorno nella massima formula, la Honda si accorda con Spirit e Williams. Le Spirit 201 e 201C e la Williams FW09 (nel 1983, quest’ultima monoposto partecipa al solo GP del Sudafrica) sono spinte dal nuovo Honda RA163E, un 6 cilindri in V di 80° turbocompresso (2 IHI) di 1500cc di cilindrata. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 90 mm x 39,2 mm. La potenza massima si attesta attorno ai 600 CV a 11.000 giri/minuto.
Lo sviluppo del “rognoso” V6 Turbo RA163E è tutt’altro che semplice. Ma già nel 1984, grazie alla Williams FW09, arriva la prima vittoria: autore del trionfo è Keke Rosberg (GP degli USA a Dallas). Frattanto la potenza è salita ad oltre 660 CV (il motore è siglato RA164E). Nel 1985, è ancora la Williams a portare in gara il V6 Turbo nipponico. Lo RA165E (logica evoluzione dello RA163E) presenta nuove misure di alesaggio e corsa, ora pari a 82 mm x 47,3 mm. La potenza raggiunge gli 800 CV a 11.200 giri/minuto. Il motore, ormai maturo, consente alla valida Williams FW10 di cogliere tre pole-position e 4 vittorie.
Nel 1986, debutta un nuovo V6, l’Honda RA166E. Se da un lato si mantiene inalterato l’angolo tra le bancate (80°), dall’altro vengono nuovamente ritoccate le misure di alesaggio e corsa, ora pari a 79 mm x 50,8 mm. La potenza massima supera i 1050 CV a 11.600 giri/minuto. Il binomio Williams FW11-Honda RA166E produce un titolo Costruttori e sfiora il titolo Piloti.
Il titolo Piloti è rimandato al 1987, anno in cui le monoposto motorizzate Honda RA167E sbancano la Formula 1. La Williams FW11B domina il campionato con Nelson Piquet e Nigel Mansell, Ayrton Senna piazza la sua gialla Lotus 99T al 3° posto. Anche per lo RA167E, la potenza massima si attesta sull’ordine dei 1000 CV a 11.600 giri/minuto (pressione massima di sovralimentazione fissata, per regolamento, a 4 bar).
Il canovaccio non muta di una virgola nel 1988, anno che sancisce la fine della prima era dei motori Turbo in Formula 1. La McLaren Mp4/4 domina pressoché incontrastata il campionato. A spingere la leggendaria monoposto progettata da Steve Nichols e Gordon Murray è l’Honda RA168E, ancora V6 di 1500cc di 80° con basamento in ghisa e sovralimentato mediante due turbocompressori IHI. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 79 mm x 50,8 mm (altre fonti indicano 82 mm x 47 mm), il rapporto di compressione si attesta su 9,4:1. La potenza erogata, a 2,5 bar regolamentari di pressione massima di sovralimentazione, supera i 680 CV a circa 12.500 giri/minuto; in qualifica, il regime massimo di rotazione viene incrementato sino a 14.000 giri/minuto.
Il medesimo motore è installato anche a bordo della Lotus 100T, monoposto che, tuttavia, di rivela assai meno competitiva della già citata vettura concorrente condotta da Ayrton Senna e Alain Prost.
1989-1992: aspirati da leggenda
Nel 1989, i soli motori aspirati di cilindrata massima pari a 3500cc (entrati in scena già nel 1987, in convivenza coi 1500cc Turbo) prendono il posto, per regolamento, dei piccoli ma potenti sovralimentati. La Honda sfodera un inedito 10 cilindri in V di 72°, siglato RA109E. Le definitive misure di alesaggio e corsa sono pari a 92 mm x 52,5 mm. La potenza massima supera di slancio i 650 CV (fonti Honda indicano addirittura 685 CV) a 13.000 giri/minuto. Le valvole di aspirazione e scarico sono realizzate interamente in Titanio, tecnologia usata dalla Honda già nei motori motociclistici sin dai primi Anni ’80. La McLaren Mp4/5 domina il campionato.
L’Honda concede il “bis aspirato” (titoli Piloti e Costruttori) nel 1990. La vettura è la McLaren Mp4/5B, il motore è lo RA100E. Si tratta di una evoluzione del V10 di 72° che ha debuttato nel 1989 ma con nuove misure di alesaggio e corsa: 93 mm x 51,5 mm. La potenza, incrementata, tocca ora i 680 CV a 12.800 giri/minuto.
1991. È in questo anno che l’Honda dimostra la propria forza tecnologica e la sapienza con la quale progetta i propri motori. Vincente con i V6 Turbo, vincente con i V10 aspirati, vincente con un V12 aspirato. L’accoppiata McLaren Mp4/6 e Honda RA121E consente ad Ayrton Senna di conquistare il suo terzo ed ultimo titolo iridato. Il nuovo motore nipponico è un 12 cilindri in V di 60°, 3500cc di cilindrata, testata a 4 valvole per cilindro (come i precedenti V10) ed erogante oltre 730 CV a 13.500 giri/minuto (si parla anche di oltre 760 CV a circa 13.700 giri/minuto). Le misure di alesaggio e corsa definitive sono pari a 86,5 mm x 49,6 mm.
Anche i motori Honda, parimenti alle unità concorrenti, presentano ormai innovazioni intese all’incremento e alla ottimizzazione delle prestazioni: da leghe sempre più efficienti e leggere alle valvole a richiamo pneumatico, passando per le trombette di aspirazione ad altezza variabile.
Nello stesso anno, il 1991, il V10 di 72°, ora denominato RA101E, va a spingere la bella Tyrrell 020.
Nel 1992, il binomio McLaren-Honda non riesce a conquistare alcun titolo, sebbene Senna e Gerhard Berger riescano ad ottenere importanti vittorie (3 per il brasiliano, 2 per l’austriaco). Le McLaren Mp4/6B e Mp4/7A, infatti, nulla possono contro lo strapotere della Williams FW14B-Renault (V10 di 67°) e la miglior costanza di Michael Schumacher, al volante delle Benetton B191B e B192-Cosworth HB (V8 di 75°). Il motore Honda, concesso in esclusiva alla McLaren, è lo RA122E.
Si tratta ancora di un V12. Caratteristico e insolito per siffatto frazionamento, tuttavia, l’angolo tra le due bancate, pari a 75°. Le misure di alesaggio e corsa sono le seguenti: 88 mm x 47,9 mm. La potenza massima si aggira attorno a 775 CV a 14.400 giri/minuto.
2000: il ritorno della Honda nell’era V10
Occorre attendere il 2000 per rivedere il marchio Honda nuovamente all’opera in F1. Ancora in veste di motorista, la Casa nipponica si accorda con il neonato team BAR, scuderia che esordisce nel 1999. In sostituzione dei V10 Supertec (unità Renault realizzate dalla Mecachrome), ecco che la BAR 002 è azionata dal nuovo Honda RA000E, come da regolamento aspirato e di 3000cc di cilindrata. Il motore è potente e la BAR può compiere un notevole miglioramento prestazionale rispetto al 1999: si parla di oltre 800 CV a circa 17.000/18.000 giri/minuto.
La nuova generazione di motori Honda F1 contempla solo 10 cilindri in V. Ricordiamo che, dal 2001 e sino al 2006 (periodo in cui sono ammessi solo o anche unità V10), questo frazionamento sarà obbligatorio per regolamento. I tecnici progettisti, però, possono ancora giocare con l’angolo tra le bancate.
Controverse, a riguardo, le informazioni reperibili circa questo angolo caratteristico dei motori Honda. Il muro di segretezza eretto dalla Casa giapponese è pressoché impenetrabile: a proposito dello RA000E, le fonti indicano un angolo di 72°, 80°, 88°, 90°. Verosimilmente, vedendo le foto, si tratta di un V10 di 90°.
Nel 2001, l’Honda raddoppia. Al fianco della BAR 003, ecco la Jordan EJ11. Per entrambe le monoposto il motore è lo RA001E. Si vocifera che l’angolo tra le bancate sia compreso tra gli 80° e gli 82°. Il valore della potenza massima si attesta, indicativamente, attorno agli 820 CV a 17.500 giri/minuto.
BAR e Jordan —rispettivamente con la 004 e la EJ12 — accolgono il V10 di 90° Honda RA002E nel 2002. La potenza, ormai, supera di slancio gli 830 CV. Il regime di rotazione, al contempo, lambisce e supera la soglia dei 18.000 giri/minuto. Nel 2003, solo la BAR 005 sarà spinta dall’Honda RA003E. Con le BAR 006 del 2004 (monoposto assai competitiva spinta dall’Honda RA004E) e 007 del 2005 (Honda RA005E) si esaurisce l’era dei V10 di 3000cc. In questo periodo, l’Honda non marca alcuna vittoria benché il proprio V10 si palesi come tra i più potenti (ormai, i V10 di F1 superano i 900 CV e il 19.000 giri/minuto).
V8: dalle stelle del 2006 alle stalle del 2008
Nel 2006, con l’introduzione dei V8 di 90° aspirati di 2400cc, l’Honda ritrova il successo. E non solo: infatti, il team BAR si tramuta nel Lucky Strike Honda Racing F1 Team, la vettura è la Honda RA106. Il motore è il nuovo RA806E. È grazie alla RA106 che Jenson Button coglie la vittoria in quel dell’Hungaroring. Nel medesimo anno, il V8 RA806E spinge le neonate Super Aguri SA05 e SA06.
L’era dei V8, per l’Honda, si tramuta ben presto in un autentico inferno. La Honda RA107 spinta dal V8 RA807E (2007) e la RA108 azionata dallo RA808E (2008) si rivelano auto non competitive, per non dire fallimentari. Anche il Super Aguri Formula 1 Team, eccezion fatta qualche exploit, termina la propria avventura nel 2008: la SA07 del 2007 e la SA08A del 2008 non risollevano le sorti del motorista giapponese.
Dalla McLaren alla Red Bull: l’ascesa del V6 Turbo-ibrido
La Honda, più di altri motoristi, ha fatto della riservatezza una propria bandiera. Motori, dunque, le cui caratteristiche tecniche sono state e vengono ancora oggi tenute accuratamente celate. Poco è trapelato attorno alle unità Anni ’60, ’80 e ’90, nulla si conosce dei motori Anni 2000. Ancor più ignote, pertanto, le caratteristiche degli odierni — e ancora in attività — V6 di 90° Turbo-ibridi di 1600cc.
L’andamento della competitività delle unità Honda V6 Turbo-ibride è cronaca degli ultimi anni. Accolto da fanfare trionfalistiche, il rinnovato binomio McLaren-Honda si rivela un fallimento. Le McLaren Mp4/30-Honda RA615H (2015), Mp4/31-Honda RA616H (2016) e MCL32-Honda RA617H (2017) si dimostrano monoposto affatto competitive. Le unità Honda, dal canto loro, contribuiscono in maniera negativamente determinante al fallimento, rivelandosi scarsamente potenti e dalla insufficiente affidabilità.
Al di là delle caratteristiche basilari regolamentari (cilindrata, regime massimo di rotazione, numero di valvole per cilindro, ecc.), delle “power unit” Honda Turbo-ibride non conosciamo (parimenti ai motori realizzati dagli altri costruttori) alcun dettaglio tecnico. Sono trapelati, tuttavia, alcuni difetti dei V6 Turbo-ibridi e alcuni interventi correttivi messi in opera dai tecnici del Sol Levante.
I tecnici motoristi della Honda, pertanto, hanno agito su tutta la parte termica (cilindro, misure di alesaggio e corsa, qualità della combustione, rapporto di compressione, ecc.) e, anzitutto, hanno dovuto affrontare dannose oscillazioni e vibrazioni che si manifestavano durante i cambi marcia (la potenza non veniva scaricata a terra in modo corretto).
Il passaggio da McLaren a Toro Rosso (siamo nel 2018: l’auto è la STR13, il motore lo RA618H) comporta evidenti benefici. Toro Rosso ha preteso che Honda migliorasse il “packaging” del propulsore, Honda, dal canto suo, ha lavorato attorno a prestazioni ed affidabilità. Aspirazione, scarico e intercooler ottimizzati hanno permesso al V6 Honda di incrementare la potenza.
Dal 2015, tutto il motore è stato continuamente rivisto grazie ad opportuni spostamenti e miglioramenti funzionali dei principali organi vitali. Turbocompressore, Motor Generator Unit-Kinetic, Motor Generator Unit-Heat, serbatoio dell’olio, intercooler (Toro Rosso ha voluto un sistema di raffreddamento simmetrico, anziché con singolo scambiatore di calore disposto sul lato sinistro), presa d’aria dinamica (ad alimentare il sistema di raffreddamento ERS e compressore), collettori di aspirazione (ogni bancata ha il proprio airbox), filtro aria, pompa acqua e così via sono stati tutti coinvolti in questa profonda revisione alla ricerca di cavalli, prestazioni, affidabilità ed una migliore integrazione con i telai ospitanti.
Il lavoro ha pagato. Anzi, va fatta una constatazione: le difficoltà di sviluppo riscontrate e palesate dalla Honda testimoniano quanto sia arduo progettare e realizzare una odierna “power unit” di Formula 1.
In questo 2019, il V6 RA619H ha fornito ottime prestazioni, anche in termini di affidabilità. Ancora, per quanto concerne la potenza massima, “inferiore” a Ferrari e Mercedes (ad un primo “esame”, sembra che il V6 giapponese esprima anche un regime di rotazione più basso rispetto ai V6 anglo-tedesco ed italiano), lo RA619H ha permesso alla Red Bull RB15 e alla Toro Rosso STR14 di portare a termine eccellenti campionati.
Nelle mani di Max Verstappen, la monoposto curata da Adrian Newey si è dimostrata un’arma formidabile, in grado di conquistare pole-position e 3 vittorie e di ambire in modo costante al podio. La Toro Rosso, dal canto suo, ha centrato due insperati podi e raccolto un buon gruzzolo di punti.
Red Bull, Toro Rosso (pardon, Alpha Tauri) e Honda si preparano ad un 2020 tutto da decifrare e scoprire sin dai primi test invernali. Saprà, il motorista giapponese, mantenere — e migliorare — i livelli di competitività faticosamente raggiunti in questo 2019? L’epopea Honda continua…