I piloti passano, la Ferrari resta. Questa è la frase che ho sentito di più dacché ho memoria di corse e di Formula Uno e che spiega, oltre l’umano e straordinario sentire che il popolo rosso nutre per la propria Scuderia, il molto più terreno agire di Maranello nei confronti dei propri alfieri, l’ultimo per tutti Sebastian Vettel: la Ferrari deve andare avanti perché la Ferrari è, esiste al di là degli uomini che la compongono e della stessa Formula Uno. Che una Ferrari vinca è un obiettivo che ha una rilevanza superiore a qualsiasi altro, come proprio lo stesso Vettel ha affermato qualche tempo fa.
“Purché vinca una Ferrari…” soleva dire il Grande Vecchio. Purché vinca una Ferrari, la Ferrari deve prendere decisioni e operare delle scelte, scelte che spesso hanno significato sacrificare sull’altare del team questo o quell’agnello, fra condizioni di subalternità in pista e disinvolte defenestrazioni in GES. Ma la Ferrari, benché sia qualcosa di più della somma delle persone che la compongono, è pur sempre fatta di persone, che portano competenze, qualità, pregi ma anche carattere, personalità, aspirazioni, abnegazione: ecco, arrivati a un certo punto, anche se dall’altra parte c’è la Ferrari, deve valerne la pena; per contro, tutte queste cose, anche se sei la Ferrari, devi meritartele.
Non nascondo che tenevo in uno dei miei cassetti un pezzo che avrei voluto scrivere per Sebastian Vettel. Non c’è cosa più bella, che dia senso a ciò che guardiamo in televisione o dagli spalti di una tribuna, di vedere qualcuno che realizza il sogno che aveva da bambino – così l’avrei iniziato. Avrei parlato di cuore, talento, capacità di dedicarsi, di senso della squadra e della famiglia, affermando che no, la Formula Uno non è un Colosseo di gomme e lamiere dove la spuntano solo quelli che sanno solo colpire per se stessi, ma è un’arena in cui la vittoria va anche alle brave persone. A quelli che hanno davvero più coraggio degli altri, perché sono capaci di misurarsi con l’avversario più duro: il rischio di vedere infrangersi i propri sogni di bambino. A quelli come Sebastian Vettel. Chissà, magari lo scriverò lo stesso, datemi pure della “Vettelona”.
Non era e non è un novello Schumacher. A lui bastava essere Vettel nella Ferrari di Schumacher. Ma come lui non era il messia venuto dalla Germania, quella che ha guidato non era la Ferrari di Schumacher. La Ferrari di Schumacher era in grado di lavorare per vincere e surclassare gli avversari, la Ferrari di Vettel – e di Alonso, Massa… – non lo è stata e temo che non lo sarà ancora per un po’.
Non basta essere Ferrari, bisogna fare la Ferrari. Bisogna tornare a essere punto di riferimento non solo tecnico e sportivo, ma anche nella gestione delle relazioni e del capitale umano, senza aspettare questo o quel messia, perché il messia – statene certi – non basterà.
E finalmente si potrà passare da “purché vinca una Ferrari” a “purché vinca la Ferrari.”