Il Destino sembra accanirsi contro Alex Zanardi. Anzi, leviamo il “sembra”.
15 settembre 2001, 19 giugno 2020. Sono le date che segnano la vita e la carriera del pilota di Castel Maggiore. Il terribile incidente del Lausitzring, la sbandata all’uscita della pit-lane, la Reynard-Honda spezzata in due dalla vettura dell’incolpevole Alex Tagliani costituiscono immagini e scene ben incise nella memoria di tutti noi appassionati di motorsport.
Al contrario, l’incidente consumatosi sulla statale 146 presso Pienza rimarrà, ai più, un fatto di cui non avremo mai fotogrammi e ricostruzioni condivise.
Fatto è che Alex Zanardi, oggi come quel 15 settembre 2001, è ancora in un letto d’ospedale a combattere tra la vita e la morte.
I media — televisivi e non solo — stanno dando ampio spazio alla vicenda umana di Alex Zanardi. Servizi, aggiornamenti quotidiani, collegamenti in diretta dall’ospedale Santa Maria alle Scotte di Siena. Un circolo mediatico tanto inevitabile e comprensibile quanto opinabile nei modi, nei tempi e nelle finalità ultime.
Da quando, infatti, i media generalisti italici e tutto il popolo italiano seguono le gesta umane e sportive di Alex Zanardi? La risposta è immediata: da quel 15 settembre 2001.
Spietato dirlo e ammetterlo ma, purtroppo, il Zanardi post Lausitzring e campione paralimpico incarna tutto ciò che ai media generalisti piace cavalcare e propinare al pubblico, anche a costo di eccedere nella retorica: umano eroismo, una storia drammatica alle spalle, la rinascita, il riscatto, la voglia di vivere, il coraggio, il non mollare mai. Le onorificenze elargite dalla Repubblica Italiana, la notorietà e la grande visibilità televisiva di Zanardi (anche in veste di conduttore) sono mera (e a tratti strumentale) conseguenza della rinascita — a bordo di una leggerissima handbike — del campione italiano.
Per gli italiani, ormai, Zanardi è un conduttore TV, un testimonial, un personaggio che buca lo schermo, un campione di handbike, un ospite dei salotti TV in cui l’intervistatore di turno pensa che Zanardi abbia vinto coi “Go-Kart” anziché in CART…
Tutto indiscutibilmente ineccepibile e ammirevole ma non si può fare a meno di sollevare una questione e di muovere una critica a questo modo di proporre al pubblico personaggi e simboli.
Da quel 15 settembre 2001, Alex Zanardi è divenuto un simbolo: ma dov’erano i media quando il nostro Alex — ancora con entrambe le gambe e non post-ospedalizzato — trionfava negli Stati Uniti? Già, dove eravate?
Zanardi, ricordiamo per i più distratti, si è aggiudicato due titoli CART: il 1997 CART PPG World Series ed il 1998 FedEx Championship Series, finendo 3° nella stagione del debutto (1996). Le iconiche Reynard-Honda gestite da Chip Ganassi e vincenti nelle sapienti mani di Zanardi sono entrate di diritto nella storia dell’automobilismo internazionale. Ma non italiano, purtroppo…
Non sono bastate ad Alex Zanardi 15 vittorie e due titoli in appena quattro stagioni di CART (1996, 1997, 1998, 2001) per ritagliarsi un posto d’onore tra i grandi dello sport italiano. Risultati ignorati all’epoca, ignorati oggi.
Senza gambe ma con una irrefrenabile voglia di indossare un casco e sedersi al volante di una vettura da competizione, Zanardi prosegue la propria carriera di pilota. Nel silenzio dell’Italia intera.
E lo fa alla grande. Dal 2005 al 2009, è impegnato nel WTCC, il Mondiale Turismo. Pilota e uomo immagine BMW, Zanardi ottiene 4 vittorie ed eccellenti piazzamenti.
Ma non basta. Tra impegni paralimpici e TV, Alex partecipa, nel 2014, al Blancpain Sprint Series, alla 24 Ore di Spa-Francorchamps 2015, all’appuntamento di Misano del DTM (2018) e alla 24 Ore di Daytona 2019. Eventi e circostanze che, nonostante la rilevanza del personaggio in questione, non hanno destato l’interesse dei media generalisti e del pubblico italico.
Insomma, la versione pilota di auto di Zanardi, agli italiani, proprio non interessa. Sad but true.
Andando ancor più indietro nel tempo, troviamo l’Alex Zanardi pilota di Formula 1. 44 presenze (e 41 GP effettivi) collezionate tra il GP di Spagna 1991 ed il GP del Giappone 1999. Jordan 191-Cosworth, Minardi M192-Lamborghini, Lotus 107B-Cosworth, Lotus 107C-Mugen Honda, Lotus 109-Mugen Honda e Williams FW21-Supertec sono le monoposto condotte da Zanardi in F1.
Una avventura breve quella di Alex in F1, costellata da delusioni, rimpianti, incidenti e numerosi (ma troppo spesso dimenticati e sottovalutati) lampi di classe e innata velocità. Alex arriva in F1 con pieno merito: nel 1991, termina al 2° posto nel Formula 3000 International Championship, alle spalle di Christian Fittipaldi ma davanti a piloti del calibro di Emanuele Naspetti, Damon Hill, Andrea Montermini, Heinz-Harald Frentzen.
Alex il dimenticato, Alex il tradito. Meccanismi mediatici perversi e che non possono non far riflettere, specie in circostanze tristi come quella attuale. Il Zanardi pilota — di ieri e di oggi — non vale certamente meno del Zanardi campione paralimpico.
I veri appassionati continuano e continueranno a celebrare le imprese sportive ed umane di Alex Zanardi — di ieri, di oggi e speriamo anche di domani — in modo genuino, affatto occasionale, sensazionalistico e strumentale.
E sono queste ragioni che ci spingono a credere che Alex Zanardi debba essere celebrato anzitutto per lo sportivo che è stato, è e sarà. Propiniamo, a riguardo, l’editoriale di Carlo Cavicchi (numero del 2-8 settembre 1997) , all’epoca direttore di AutoSprint.
Un numero di AS che — non è un caso — ho conservato e ritrovato in questi giorni: GP d’Italia di F1 e Zanardi che, dopo il 4° posto di Vancouver, è lanciato verso un clamoroso titolo CART.
Oggi come ieri, forza Alex!