Questi racconti di settembre, originariamente, erano parte integrante del capitolo dedicato al Gran Premio d’Italia in Formula Uno! La vita, l’amore e i motori – Ed. Solfanelli, 2020. Voglio dedicarli a tutti voi che, dalle pagine di questo blog, mi avete fatto capire quanto contasse, per me, che tante persone mi leggessero. Grazie dalla vostra Mrs Elle.
Qualche giorno fa, per gioco, ho scommesso che sarei riuscita a collegare un contesto di fate, fiabe e mostri alla Formula Uno, raccontando una storia che univa le due cose. No, non era una smargiassata destinata a finire come una battuta: io, in realtà, sapevo perfettamente quale storia raccontare. Una storia che unisce due pensieri indegnamente piccoli per le figure immense che volevano descrivere ma che spero ugualmente possano piacervi!
Parte 2 – I domatori di mostri venuti dall’Austria
…C’era una volta il Tempio della velocità, dove ogni anno, fin da quando queste storie sono state raccontate per la prima volta, domatori di mostri di ogni Paese si danno appuntamento per cavalcare terribili e bellissime bestie di grande potenza e grande pericolosità. Un giorno, il 5 settembre dell’anno 1970, scese fra il popolo festante una bellissima fata. Veniva dal profondo Nord ed era la sposa di un domatore di mostri dal naso schiacciato…
Sedeva come se niente fosse con un cronometro in mano ma era impossibile non notarla, scesa come una creatura fatata in mezzo a tanta gente comune. Quando quel sabato di settembre la Lotus del suo Jochen continuava a tardare, smarrita da qualche parte, sempre giù, alla Parabolica, Nina capì che le cose troppo belle per essere vere possono essere anche tragicamente brevi, come la sua vita con lui. Era affascinante, carismatico e dannatamente veloce: tutti, nel 1970, erano innamorati di Jochen Rindt, prima vera icona trasversale di uno sport che rimaneva nella cerchia degli appassionati duri e puri ma che iniziava lentamente ad allargare il suo pubblico. Nemmeno la morte riuscì a fargli perdere quel campionato del mondo piloti che si apprestava a vincere dominando, perché il vantaggio accumulato durante la stagione vanificò gli sforzi della Ferrari del belga Jacky Ickx, facendo sì che a Rindt venisse assegnato il primo e unico titolo postumo nella Formula Uno.
Chi l’ha detto che le storie di fate e folletti finiscono sempre bene? Chiedetelo agli alberi che popolano il Tempio della Velocità, che assistono alle terrene vicende di chi ha vissuto il suo giorno di gloria lungo quella magica striscia d’asfalto o di chi ha per sempre detto addio alla propria vita da lì. Sono imperturbabili e insensibili al ruggito affascinante dei mostri di metallo, ma forse qualche volta si sono scossi anche loro, per qualcosa di veramente eccezionale. Una volta, grazie a una leggendaria Fenice delle corse, è successo di sicuro…
Jochen Rindt era austriaco, come un altro grande di tutti i tempi, Niki Lauda. Tre titoli mondiali conquistati con calcolo, coraggio, cattiveria e cinismo, passando per una discesa agli inferi dalla quale nessuno – se non lui – avrebbe potuto riprendersi. Fra tanti trionfi, la gente di Monza, quella che si assiepa attorno alle reti e si afferra agli alberi per poter meglio vedere, porta nel cuore una gara conclusasi solo con un quarto posto, nel 1976, appena quarantadue giorni dopo aver sconfitto la morte fra le fiamme del Nürburgring. Quel giorno anche gli alberi applaudirono l’eroe che era tornato dagli inferi per riprendersi la gloria.