Ferrari F1, la storia si ripete: dai sorrisi alle lotte intestine
Il piatto langue. Dopo 13 dei 17 Gran Premi in calendario, la Ferrari raccoglie le macerie — tecniche ed umane — di un Mondiale iniziato male e che sta finendo peggio.
I risultati non mentono: la Ferrari ha sinora ottenuto 103 punti, occupando la sesta posizione provvisoria in classifica generale. Charles Leclerc ha totalizzato 85 punti (5° posto nella graduatoria Piloti), Sebastian Vettel appena 18, bottino che gli vale la 14a posizione.
Macerie tecniche ed umane, dicevamo. La debacle del Cavallino in questo 2020, infatti, non investe solo il comparto tecnico. Alle ormai note carenze tecniche di una SF1000 malamente concepita all’indomani dell’infelice accordo segreto tra la Casa di Maranello e la FIA, si aggiunge una gestione sportiva poco lucida e limpida da parte di Mattia Binotto e colleghi.
Il divario prestazionale tra Charles Leclerc e Sebastian Vettel è sin troppo netto. E per questo, legittimamente sospetto. Lo stesso 4 volte campione del mondo tedesco, all’indomani del GP del Portogallo, ha messo in dubbio la parità di trattamento con il “predestinato”, Leclerc. Parole forti quelle di Vettel: “Macchina più veloce (quella di Leclerc, n.d.r), non sono un idiota“. Accusa alla quale Binotto ha risposto con un eloquente “ci si aspetta di più da un secondo pilota“. Vettel, dunque, è stato pubblicamente e palesemente relegato al ruolo di secondo pilota.
Un clima, evidentemente, esplosivo. La storia della F1, e del motorsport in generale, racconta di piloti osteggiati — per le più disparate ragioni — dai propri stessi team. Piloti costretti a fare da “scendiletto”, altri palesemente non supportati al livello tecnico rispetto al pupillo di turno, altri “scaricati” in quanto già con un uovo contratto in mano.
Dal 1950 ad oggi, inevitabilmente, anche la Scuderia Ferrari si è resa protagonista di simili vicende. Storie d’amore tra piloti e team conclusesi, però, a tappetate e reciproche accuse. Dai sorrisi ai lotte intestine.
Clamoroso quanto accade a fine 1961. Non basta una stagione sì drammatica (la morte di Wolfgang von Trips in quel di Monza) ma anche vincente (Phil Hill campione del Mondo e conquista del titolo Costruttori) per lenire tensioni ormai insanabili. Le isteriche ingerenze della moglie di Enzo Ferrari, Laura Garello, non vengono più tollerate dai vertici tecnici e sportivi del Cavallino, accusati dalla donna delle più inverosimili malefatte e spesso messi alla berlina in pubblico dalla stessa donna. Tra dispetti e scenate, la Garello, psicologicamente provata, non viene mai ripresa dal Drake.
Romolo Tavoni (Direttore Sportivo), Carlo Chiti (Responsabile Progettazione), Ermanno della Casa (direttore amministrativo), Girolamo Gardini (direttore commerciale), Federico Giberti (direzione approvvigionamenti), Enzo Selmi (direttore del personale), Giotto Bizzarrini (responsabile sperimentazione prototipi), Fausto Galassi (responsabile della fonderia) inviano, tramite avvocato, una lettera ad Enzo Ferrari. Risultato? Anziché contenere le intemperanze della moglie, Enzo Ferrari preferisce licenziare in tronco tutti i “dissidenti”.
Da lì a pochi anni, a Maranello si consuma un’altra vicenda degna di un fiction TV. Un affare sportivo che dividerà appassionati e stampa. Pomo della discordia è John Surtees. Un rapporto d’amore, culminato nel titolo mondiale del 1964, terminato, tuttavia, a…pesci in faccia. Tra le accuse mosse da Enzo Ferrari ed Eugenio Dragoni (Direttore Sportivo) a John Surtees quelle di passare informazioni tecniche alla Lola e di aiutarla a sviluppare le proprie vetture Sport e F1. Mauro Forghieri, a tal proposito, non ha mai creduto a queste insinuazioni.
In previsione della 24 Ore di Le Mans 1966, Surtees viene volutamente relegato al ruolo di riserva di Ludovico Scarfiotti. Per l’Asso britannico, ormai consapevole di quello che oggi è chiamato mobbing, è troppo. L’abile Ferrari, tuttavia, fa ricadere tutta la responsabilità del discusso allontanamento di Surtees su Dragoni il quale, a fine 1966, si dimette.
Campioni idolatrati, campioni “ripudiati”. A fine 1977 è il turno di Niki Lauda. I dissapori tra il campione austriaco ed Enzo Ferrari prendono corpo già a fine 1976, all’indomani del rogo del Nürburgring. La ricerca di un pilota da affiancare a Lauda in occasione del GP d’Italia, il difficile rapporto tra Daniele Audetto (Direttore Sportivo, ex FIAT) e lo stesso Lauda, i malumori e i crescenti sospetti (spesso infondati e ai limiti della paranoia) dell’austriaco verso un team che — a suo avviso — gli rema contro, la firma del contratto con la Brabham ad insaputa della Scuderia Ferrari: elementi che, a fine 1977 e nonostante il titolo Piloti conquistato, sanciscono il divorzio tra Lauda ed il Cavallino. Altre tappetate.
Le lotte interne ed una cattiva gestione tecnica e sportiva segnano anche gli Anni ’80. Dal divorzio con Renè Arnoux alla stagione 1985 e quel titolo Piloti sfuggito sul più bello. Un iride scappato via di mano a causa di una gestione farraginosa e affatto competente del team. Vittima di quel pasticcio intestino è Michele Alboreto.
1991-1992: nell’arco di due anni, la Ferrari “brucia” due piloti, Alain Prost e Ivan Capelli. In occasione del GP del Giappone 1991, Prost definisce “camion” la poco brillante Ferrari 643. Una dichiarazione che, a detta di Prost, viene appositamente travisata dai media e dalla Ferrari stessa. Prost afferma che, dopo pochi giri, le sospensioni anteriori non funzionassero più a dovere, compromettendo lo sterzo, diventato duro come quello di un camion. La storia è nota: Prost viene licenziato. In Australia, al posto del campione francese, correrà Gianni Morbidelli.
Nel 1992, è la volta di Ivan Capelli. Il talento milanese è travolto non solo dalla poca competitività delle Ferrari F92A e F92AT ma anche da aspre, ingenerose critiche di stampa e appassionati. Inconsapevolmente, la Ferrari distrugge la carriera di Capelli, pilota che — a nostro avviso — aveva ancora molto da dire in F1.
Occorre andare al 2010 e agli anni “alonsiani” per ritrovare un profondo malessere all’interno del team di Maranello, capitanato da Stefano Domenicali. Fernando Alonso accentra su di sé tutte le attenzioni della scuderia, distruggendola, logorandola: accadeva ai tempi della Renault, accade in Ferrari, è accaduto — ma in forma forse meno rilevante — in Toyota, nel corso della breve ma intensa esperienza dell’asturiano nel mondo dell’Endurance.
A farne le spese è Felipe Massa, il quale, travolto dalla figura dell’indubbio campione spagnolo, abbandonato dal team e avvilito da ordini di scuderia asfissianti e spesso incomprensibili, perde gradualmente mordente e competitività.
Sebastian Vettel costituisce, pertanto, solo l’ultima “vittima sacrificale” di casa Ferrari. Il tedesco, nel 2014, aveva già sperimento in Red Bull ciò che oggi sta vivendo — in modo ulteriormente amplificato — in Ferrari, ossia l’essere ormai un partente, ergo relegato a secondo, dimenticato pilota. Un comportamento, invero, tanto diffuso quanto poco professionale da parte dei team.
È credibile che un pilota come Vettel sia divenuto improvvisamente così lento rispetto al proprio compagno di team? A parità di auto non competitiva, Vettel è realmente così poco competitivo rispetto al cristallino talento monegasco? Possibile che un pilota veloce sino al 2019 (2 pole-position, 9 podi, 1 vittoria, 1 vittoria malamente sottratta, in Canada) sia diventato più lento di piloti obiettivamente non validi quanto un quattro volte campione del mondo (53 vittorie, 57 pole-position, 120 podi complessivi)?
Dove finiscono i limiti della SF1000 e dove iniziano le difficoltà di Vettel nell’avere tra le mani una vettura non competitiva? E quali e quante le responsabilità del team in questa tanto improvvisa quanto sospetta perdita di competitività di Vettel nei confronti di Leclerc?
Le Ferrari SF1000 affidate rispettivamente a Leclerc e Vettel sono realmente uguali nella tecnica e nelle prestazioni? Vettel è messo nelle medesime condizioni di Leclerc?
Domande lecite e che pesano come macigni sulle teste dei vertici della scuderia di Maranello.
Il fatto, a prescindere dalle interpretazioni, è compiuto. Sebastian Vettel, in Ferrari, è ormai un ospite “sgradito”. Un concatenarsi di eventi ha portato alla fine di un matrimonio che, nel 2015, sembrava destinato a brillare per anni.
Una ingloriosa fine che un signore come Vettel non merita, soprattutto alla luce di un fatto: per anni, è stato il maggior antagonista di Lewis Hamilton e Nico Rosberg, per anni ha cercato di contrastare da solo lo strapotere Mercedes, arrivando a vincere 14 GP dal 2015 al 2019 e giungendo due volte secondo alle spalle dell’inglese (2017 e 2018).
Per l’ennesima volta, dunque, la Ferrari dovrà rifondarsi e rifondare un team dalle macerie da esso stesso generate.
Una storia che si ripete: un team che perde la bussola, campioni frettolosamente caduti e accantonati, “predestinati” forse prematuramente osannati, piloti mal supportati.
Nel 2021, la Scuderia Ferrari ripartirà da Charles Leclerc e Carlos Sainz. Un Sainz, invero, palesemente seconda guida e mansueto scudiero di Leclerc.
Se sul fronte piloti tutto appare già scritto e deliberato, all’interno del team, invece, scricchiolano le sedie di Mattia Binotto e colleghi, da più parti ritenuti inadatti ai ruoli di comandanti in capo.
La storia si ripete. Dai sorrisi alle scene in salsa “La guerra dei Roses”, dai matrimoni ai divorzi. Nulla di nuovo sotto il sole della F1. Peccato che, a rimetterci, siano quasi sempre gli innocenti.