La Formula 1 saluta Kimi Raikkonen. Forever Young
Con l’annuncio del ritiro dalla Formula Uno di Kimi Raikkonen – che segue di poco l’annuncio dello stesso segno, stavolta riguardo la MotoGP, di Valentino Rossi – siamo di fronte alla certificazione di due rilevanti fenomeni: certe carriere non fanno come certi amori, perchè finiscono e basta; in secondo luogo, esiste un generatore di immagini retoriche che all’occorrenza si esprime in tutta la sua devastante efficienza a colpi di corse che non saranno più le stesse, vuoti incolmabili e collage di istantanee fuori fuoco. E infine – aggiungo io – certifica che noi del ‘79 siamo come dice la canzone, per sempre giovani, forever young, tutttavia questo potere di eterna giovinezza vogliamo conservarlo senza consumarlo.
Eppure, per riprendere l’immagine iniziale, della vita e della carriera di Kimi Raikkonen molto ha a che fare con quegli amori che non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano: basti pensare alla sua storia con la Ferrari o con le corse stesse. Ma senza abusare della solita canzone, col rischio di consumarla per davvero, mi concentrerei su un concetto solo, quello di amore. Amore, il suo, per le corse, per la velocità, per la propria visione della vita, per le cose che contano. E amore – quello vero, indissolubile, incondizionato e anche un po’ paraocchiato – dei suoi fan per lui.
Nato nello stesso anno dell’Ultimo Titolo prima dell’Era Schumacher, Kimi Raikkonen è colui che ha riportato il titolo al Cavallino disputando una stagione come non si vedeva da tempo sulla sponda maranelliana della Formula Uno: lottando punto a punto contro avversari alla pari se non superiori, sfruttando al meglio le proprie caratteristiche e le debolezze – o meglio l’ego – altrui, unendo la forza della squadra alla propria, massimizzando il risultato. E poi compiendo una rimonta magnifica conclusasi all’ultimo giro dell’ultima gara del campionato, mostruosa ma non rabbiosa, perché fra rabbia e amore il distacco già cresce e Kimi, pur non conoscendo la canzone, di distacco preferiva sentir parlare purchè lo avesse a favore, anche solo by one point.
Fu una stagione vecchia scuola, una stagione all-in combattuta fra giovani fenomeni – Raikkonen, Alonso, Hamilton – che si prendevano la scena a modo loro, pur ricordando da vicino quei vecchi fenomeni che volevano far dimenticare. Una stagione tirata, fra baldanza e fortuna, senza un dominatore assoluto, senza nessuna sentenza di campionato finito già in estate. Beh, la sentenza, effettivamente, c’è stata, ma in altre sedi e non ha aggiunto né tolto nulla a quanto fatto da Kimi Raikkonen.
Fu una stagione capolavoro? In senso assoluto forse no, tuttavia, a posteriori, è stata – e temo sarà – irripetibile.E quando una cosa è unica, si lega automaticamente e indissolubilmente alla memoria, così come il suo protagonista.
Kimi Raikkonen è una di quelle persone che, pur possedendo qualità fuori dal comune, non fa nulla per distinguersi dal turista scandinavo medio che gira le città del Sud Europa in ciabatte, subendone il fascino e l’assoluta mancanza di funzionalità con imperturbabile equilibrio. Quel suo mimetizzarsi nella versione genuina e vagamente truzza del giovane facoltoso e – innegabilmente e inconfutabilmente – attraente è la misura del suo essere prima di tutto un uomo libero e poi uno sportivo di successo. Libero di essere Iceman, quello che esce di rado e parla ancora meno – e dalli con queste canzoni! – ma anche il pilota che accetta di essere un’icona suo malgrado e apre, del tutto inaspettatamente – ma sì, lo dico: così, de botto, senza senso – un seguitissimo e riuscitissimo account Instagram, per la gioia dei suoi fans e della multimediale e fascinosa consorte Minttu.
Una cosa che sento dire spesso ai piloti riferito al loro talento e al loro essere un driver è «Io so fare solo questo!», spesso con un’espressione disarmante, di consapevolezza estrema e per certi versi dolorosa che se non fosse arrivata la gara giusta, la sponsorizzazione tempestiva, l’occasione propizia e l’occhio opportuno di qualche talent scout la propria vita sarebbe trascorsa all’ombra di qualche oscura officina meccanica,riservandosi l’adrenalina dentro weekend fangosi in qualche kartodromo, guardando gli altri diventare dottori. Mi chiedo se a Kimi questo scenario alternativo, cioè l’aurea mediocritas di una vita trascorsa all’insegna della propria passione, ma nel completo anonimato, sarebbe bastato. Forse sì, forse no, difficile dirlo quando hai quella scintilla dentro che ce la mette tutta per diventare incendio.
In questo caso, la vita è stata generosa e ha regalato a noi e a lui un viaggio esaltante e bizzarro durato vent’anni, durante il quale lo abbiamo amato, invidiato e ammirato non solo per la sua carriera, per le sue vittorie, per le auto che ha guidato, per il celeberrimo yacht, per la bella moglie e gli adorabili bambini, ma soprattutto per il suo essere Kimi Raikkonen: l’uomo che può permettersi di tirare dritto quando tutti vanno a zig zag per avvantaggiarsi, che può rispondere bwoah! quando gli fanno una domanda noiosa, che suscita interesse senza fare proclami e che può chiamare le cose col proprio nome – in questo caso, tutta quella fuffa che rende la Formula Uno un circo – ricevendo consenso dalla propria sincerità. E questo è qualcosa che pochi di noi, operai o dottori non importa, si possono permettere nella propria vita.
Del resto, non si diventa l’ultimo campione del mondo con la Ferrari by one point per caso.
Grazie Kimi, che tu vada a pescare nella tua boscosa Finlandia o a ciabattare per qualche ameno borgo del Sud Europa nel tuo tempo libero non importa: qualunque cosa tu faccia, per noi sarai sempre speciale e per sempre giovane. Forever young.