Quello che andremo ad analizzare coincide, senza dubbio, con uno dei periodi più significativi della storia della Formula 1. Sono gli anni dei motori Turbo, corso tecnico inaugurato dalla Renault in quello storico GP di Gran Bretagna 1977 grazie alla rivoluzionaria RS01. Motore turbocompresso che, invero, conosceva diffusa applicazione sin dalla seconda metà degli Anni ’60: nella USAC-CART e nella sua gara simbolo, la Indianapolis 500, successivamente nella Can-Am, quindi in tutto il panorama del motorsport.
Per molti anni, in F1, i regolamenti tecnici in fatto di motori rimangono, nei loro tratti generali, stabili: 3000cc aspirati, 1500cc sovralimentati. La Renault. grazie al Turbo, gioca la rischiosa carta del 1500cc sovralimentato (nella fattispecie, un V6 di 90°), strada, peraltro, già intrapresa con successo dalla Casa francese nelle gare di durata (motore di 2000cc) a partire dal 1975 con la Alpine A442. La Renault dimostra che un 1500cc Turbo è possibile. In pochi anni, queste motorizzazioni conquisteranno la Formula 1.
In questo scenario in rapida mutazione tecnica e tecnologica, anche la Scuderia Ferrari decide di giocare la carta del Turbo. Siamo nel 1980, l’occasione è il GP d’Italia, quell’anno organizzato sul circuito di Imola (14 settembre 1980). Nel corso delle prove libere, nelle mani di Gilles Villeneuve, debutta una prima, embrionale Ferrari 126C. Si tratta, invero, di una T5 modificata, frutto del lavoro di Forghieri, Rocchi, Salvarani, Caruso, Materazzi. La vettura è spinta da un inedito 6 cilindri in V di 120° di 1496cc, sovralimentato mediante due turbocompressori KKK. La distribuzione prevede 4 valvole per cilindro (2 di aspirazione, 2 di scarico) e due alberi a camme in testa per bancata. Un frazionamento ed un angolo tra le bancate – 6 cilindri in V di 120° – già noto a Maranello e che aveva fruttato, negli anni della “formula 1500” aspirata (1961-1965), un titolo mondiale nel 1961. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 81 mm x 48,4 mm, il rapporto di compressione è di 6,7:1, la potenza massima (nella versione del 1981) tocca i 580 CV a 11,500 giri/minuto. La pressione di sovralimentazione è dell’ordine dei 2,3 bar, incrementabile in qualifica a 2,9-3 bar. L’iniezione, Lucas-Ferrari, è indiretta. I tempi fatti segnare dalla 126C sono soddisfacenti, distanti poco più di mezzo secondo dalla T5. I due Turbo sono collocati centralmente sopra le bancate e ricevono aria attraverso due NACA ricavate nel cofano motore e provviste di “orecchie” a valle del profilo. L’aspirazione si trova all’esterno del V, lo scarico all’interno delle bancate; tale configurazione fa sì che gli scarichi e il condotto della valvola waste-gate, molto corti, sfocino sopra le bancate.
Per ovviare al tipico “Turbo-lag” – il ritardo di risposta in accelerazione che affligge i Turbo di prima generazione – Forghieri sovralimenta il V6 mediante il Comprex, realizzato dalla azienda svizzera Brown Boveri. Testato ripetutamente, alla fine viene scartato (troppo pesante e ingombrante). Inoltre, il particolare funzionamento del dispositivo fa sì che l’aria immessa nei cilindri sia eccessivamente calda ed inquinata dai gas combusti. Sempre in funzione di contrasto al “Turbo-lag”, si fa ricorso a specifiche post-combustioni atte ad accelerare anche in rilascio i gas di scarico, così da mantenere energizzato il flusso azionante le turbine.
Imola 1980 è solo una anticipazione (in gara, tanto Villeneuve quanto Jody Scheckter correranno al volante della T5 aspirata) di quanto la Ferrari schiererà nel 1981. La 126CK, dunque, è la prima Ferrari Turbo a partecipare ad un Mondiale di Formula 1. L’annata si sviluppa tra alti e bassi. La 126CK si rivela auto saltuariamente sincera e competitiva ma globalmente inferiore alla miglior concorrenza, specie nello sfruttamento dell’effetto suolo. Mentre le migliori vetture possono adottare configurazioni aerodinamiche piuttosto scariche (specie Brabham e McLaren), la Ferrari deve fare necessariamente ricorso a vistosi alettoni; l’alettone anteriore a pianta trapezoidale (o rettangolare rastremata) è sia infulcrato nel musetto, sia collocato a sbalzo sopra il musetto stesso. Ricordiamo che, nel 1981, sono abolite le minigonne mobili e viene imposta una altezza minima da terra pari a 6 cm. La 126CK si avvale del classico telaio in traliccio di tubi rivestito da pannelli in alluminio rivettati. Nonostante il bottino di punti assai povero (Villeneuve chiude al 7° posto con 25 punti, Didier Pironi non va oltre il 13° posto con appena 9 punti), la 126CK è in grado di vincere, grazie alla caparbietà del pilota canadese, i GP di Monaco (31 maggio 1981) e Spagna (Jarama, 21 giugno 1981). Circuiti lenti in cui la Ferrari e Villeneuve mostrano le enormi potenzialità del Turbo anche in queste condizioni, più consone ai propulsori aspirati. In più, ottiene una splendida pole-position al GP di San Marino (Imola, 3 maggio 1981) ancora grazie a Villeneuve. La Ferrari chiude la stagione 1981 al 5° posto tra i Costruttori (34 punti).
In foto, la “minigonnata” 126C debuttante a Imola nel 1980 (una T5 modificata) e la 126CK del 1981 condotta da Pironi. A confronto, poi, i due V6: quello provvisto di Comprex e quello definitivo, sovralimentato dai due Turbo KKK. Si notino i due Turbo, i corti terminali di scarico e lo scarico singolo tagliato a fetta di salame che fuoriesce dalla waste-gate.
Con la 126C2 del 1982, la Ferrari compie un notevole balzo tecnologico in avanti. Alla fine della primavera del 1981, arriva a Maranello Harvey Postlethwaite. Il suo arrivo ha un solo scopo: tracciare una nuova strada telaistica che si discosti dal pur valido telaio in traliccio di tubi rivestito in pannelli di alluminio, adottato dalla Ferrari a partire dalla prima metà degli Anni ’60. Grazie al lavoro dello staff tecnico Ferrari – a capo vi sono Mauro Forghieri ed il neo-arrivato Postlethwaite – e del solito Gian Franco Poncini della Galleria del Vento Pininfarina, nasce una delle migliori Wing-Car della storia della F1, la 126C2. Il telaio è completamente nuovo ed offre, al pari di una scocca in fibra di carbonio, una eccellente rigidità: si tratta di un monoscocca in honeycomb di alluminio (struttura a “nido d’ape” in pannelli di alluminio incollati tra loro) e compositi Hexcel. Il motore è un affinamento dell’unità ereditata dal 1981. Esso, dunque, prevede ancora l’aspirazione disposta all’esterno del V e lo scarico all’interno delle bancate. Anche i due Turbo KKK sono collocati centralmente e sopra le bancate. Vengono eliminate le NACA per lasciare posto solo a prese d’aria ad “orecchie”, ancora ricavate sul cofano motore. La potenza è di 580 CV a 11,000 giri/minuto (rapporto di compressione di 6,5:1). Una importante novità, invero, caratterizza il V6 per la stagione 1982: l’iniezione d’acqua avente funzione anti-detonante.
Rispetto alla 126CK del 1981, il passo subisce una leggera riduzione, a beneficio della maneggevolezza: si passa, infatti, dai 2719 mm ai 2657 mm della 126C2. La sospensione anteriore, nel corso della stagione, è oggetto di un significativo aggiornamento: il tipico schema a bilanciere (il braccio superiore funge da bilanciere azionante il gruppo molla-ammortizzatore) lascia il posto ad uno schema pull-rod (tirante lavorante in trazione). Al posteriore, invece, si mantiene il bilanciere superiore e i gruppi molla-ammortizzatore entrobordo e verticali (o leggermente a V). Ottimo lo sfruttamento dell’effetto suolo mediante i Venturi ricavati nel fondo vettura, debitamente sigillati mediante minigonne (nessun vincolo sull’altezza da terra ma minigonne fisse). Ali anteriori, pertanto, ridotte all’osso e, in alcuni casi, assenti. Le minigonne sono anch’esse oggetto di studio: dapprima in ceramica, quindi in materiali plastico. Ma siffatte bandelle tendono a spezzarsi. Quindi, il colpo di genio che ha fatto scuola sino ai giorni nostri: minigonne in compensato marino, materiale resistente e che presenta un consumo graduale.
La equilibratissima stagione 1982, come noto, è un susseguirsi di pathos e tragedie. La Ferrari 126C2, benché competitiva e costantemente al vertice con Villeneuve e Pironi, non frutta quel titolo Piloti probabilmente già in cascina. Gilles Villeneuve muore nel corso delle qualifiche del GP di Belgio (Zolder, 8 maggio 1982) – corsa che succede al discusso e polemico GP di San Marino (Imola, 25 aprile 1982) e che aveva reso oltremodo nervoso e inquieto il pilota canadese –, Pironi, durante le prove ufficiali del GP di Germania (Hockenheim, 8 agosto 1982), è vittima di un grave incidente quando è già in pole-position. Sotto una pioggia battente, tampona ad alta velocità la Renault RE30B di Alain Prost che procede più lenta: stagione e carriera al capolinea.
Incidenti e lutti, però, non precludono alla Ferrari di lottare per il titolo Piloti. Al posto di Villeneuve, subentra, dal GP di Olanda (Zandvoort, 3 luglio 1982) il francese Patrick Tambay, veloce e sempre generoso. In pochi GP, raccoglie ben 25 punti (impreziositi dalla vittoria ad Hockenheim), chiudendo il campionato al 7° posto (salta il GP di Svizzera, al Digione – 29 agosto 1982 – per problemi alla schiena). Pironi, nonostante sia costretto a saltare i GP di Germania, Austria, Svizzera, Italia e Las Vegas, è vice-campione del mondo (39 punti contro i 44 ottenuti dall’iridato Keke Rosberg su Williams FW07C e FW08 motorizzate Cosworth DFV). Vince a Imola e a Zandvoort. Mario Andretti, chiamato a sostituire Pironi in occasione dei GP d’Italia (Monza, 12 settembre 1982) e Las Vegas (25 settembre 1982) conquista pole-position e 3° posto proprio davanti al pubblico italiano. La Ferrari si consola, ad ogni modo, col titolo Costruttori: 74 punti.
In foto, Gilles Villeneuve in azione al GP del Brasile 1982 e la discussa doppia ala posteriore, trovata provocatoria di Forghieri in risposta ai rifornimenti di acqua effettuati da alcuni team inglesi. Il GP è quello di Long Beach (USA Ovest), in cui Villeneuve chiude al 3° posto (verrà poi squalificato). Infine, Tambay in azione. Caratteristica della fiancata della 126C2 è la griglia di evacuazione dell’aria calda proveniente dai radiatori (ereditata, ma modificata, dalla 126CK), disposti in posizione coricata in avanti. A valle dei radiatori trovano posto gli intercooler.
Il 1983 costituisce, per la Formula 1, un’annata di profondi cambiamenti regolamentari. Vengono abolite le minigonne, il fondo vettura compreso tra gli asse ruote deve essere piatto (i costruttori provvedono a ripristinare la deportanza perduta mediante un sensibile incremento del carico alare e l’introduzione dei primi profili estrattori), il peso minimo viene ridotto a 540 kg (dai 585 kg del 1981 ed i 580 kg del 1982). Il peso minimo viene ridotto in base a due principi: le nuove tecnologie in fatto di telai rendono possibile la realizzazione di scocche sì più leggere ma più resistenti, in secondo luogo, un peso minimo ridotto, nelle intenzioni dei legislatori, avrebbe arginato il fenomeno delle monoposto sottopeso che aveva afflitto e condizionato la prima parte della stagione 1982 (i famigerati rabocchi di acqua a fine gara, utili a rientrare nel peso minimo regolamentare). La Ferrari escogita una inedita configurazione aerodinamica, ossia i piccoli alettoni supplementari posti ai lati dell’alettone principale. Una impostazione successivamente ripresa in massa.
Nei primi otto Grand Prix della stagione 1983, la Casa di Maranello si affida alla 126C2B, versione pesantemente rimaneggiata e aggiornata ai nuovi regolamenti della 126C2 del 1982. La vettura si rivela ugualmente competitiva: 4 pole-position (Stati Uniti Ovest a Long Beach, Imola, Stati Uniti Est a Detroit e Montréal), quattro podi e due vittorie (Tambay, Imola, 1 maggio 1983 e René Arnoux, Montréal, Canada, 12 giugno 1983) sono il prezioso bottino conquistato dalla 126C2B. Dal GP di Gran Bretagna (Silverstone, 16 luglio 1983), la Scuderia Ferrari affida alla coppia francese la nuova 126C3. Si tratta di una vettura progettata ex novo, originariamente nata con fiancate a freccia, accantonate e riprese solo nel 1984. Il telaio, ora, è realizzato in materiali compositi: Nomex, Kevlar, fibra di carbonio. La scocca, peraltro, è parte stessa della carrozzeria, configurazione tuttora impiegata ed introdotta, appunto, dalla Ferrari e dalla tedesca ATS. La sospensione posteriore viene aggiornata ed ora presenta anch’essa uno schema pull-rod con gruppi molla-ammortizzatore posti verticalmente entrobordo. Il motore è ulteriormente aggiornato e potenziato, benché sia ancora erede diretto del V6 datato 1980-1981. La potenza sale sino ad oltre 600 CV a 10,500 giri/minuto e le pressioni massime di sovralimentazioni, anche grazie ad un nuovo carburante sviluppato da Agip, toccano i 4-4,4 bar. Originale il cofano motore, alto e “gobbuto” a carenare parzialmente il roll-bar. La vettura, parimenti alle 126C2 e 126C2B, si dimostra sin da subito competitiva. Quattro le pole-position ottenute (Gran Bretagna con Arnoux, Germania, Austria e Sudafrica con Tambay), altrettanti podi e altre due vittorie, entrambe conseguite da Arnoux in occasione dei GP di Germania (Hockenheim, 7 agosto 1983) e Olanda (Zandvoort, 28 agosto 1983).
Il titolo Piloti, però, sfugge nuovamente. A vincere è la controversa Brabham BT52/BT52B-BMW Turbo di Nelson Piquet (59 punti), accusata di impiegare benzine illegali (o più speciali rispetto agli altri concorrenti…). Arnoux e Tambay chiudono rispettivamente al 3° e 4° posto (49 e 40 punti), la Ferrari si aggiudica il titolo Costruttori (89 punti, dieci in più della Renault).
In foto, vediamo Arnoux in azione ai GP di Gran Bretagna e Olanda al volante della compattissima 126C3 (passo di 2600 mm) ed un primo piano del V6 1500cc di 120° installato sulla 126C3. Si notano i due Turbo, la waste-gate centrale ed il suo scarico ridisegnato, l’intercooler ed il condotto interposto tra compressore e scambiatore e, più in basso, i collettori di aspirazione che immettono l’aria precedentemente refrigerata dagli intercooler. In basso (e che si vede dall’esterno della fiancata) si intravede il radiatore dell’acqua.
Nel 1984, la Formula 1 abbraccia la “formula consumo”. Il consumo a gara, infatti, viene limitato a 220 litri (peso minimo pari a 540 kg). Ma anche a fronte di suddetta limitazione, le potenze dei motori Turbo – i quali ormai hanno preso il sopravvento sugli aspirati – continuano la loro inesorabile ascesa, che culminerà nei 1000 e più cavalli di taluni motoristi. La Ferrari affronta la nuova stagione con la 126C4, nata ancora sotto la direzione del duo Postlethwaite-Forghieri. La vettura è una logica e vistosa evoluzione della 126C3: più slanciata, più rastremata nel posteriore e con le innovative pance a freccia precedentemente sperimentate sulla prima versione della 126C3. Le fiancate ospitano al proprio interno i radiatori acqua (orientati a freccia positiva) e, più indietro visibili esternamente, gli intercooler (paralleli alla linea di mezzeria). Nel corso della stagione, verranno introdotte pance più lunghe e squadrate e con un diverso alloggiamento dei pacchi radianti. Alla fine del campionato, a valle delle fiancate, compare la “Coca Cola”, il noto profilo utile a velocizzare i flussi al retrotreno. Modificati, nel corso del campionato, anche l’ala anteriore (da trapezoidale a rettangolare) e l’aerodinamica posteriore, grazie all’ausilio di un vistoso profilo estrattore. Il motore, alleggerito di un 10%, è ulteriormente potenziato: 660 CV a 11,000 giri/minuto (a 2,2 bar, circa 740 CV a 2,5-2,6 bar). In qualifica, la potenza può oscillare dagli oltre 800 CV agli oltre 950 CV ad una pressione di sovralimentazione compresa tra i 2,7 ed i 3 bar. L’iniezione elettronica indiretta è totalmente rinnovata e sviluppata dalla Weber-Marelli. Il cambio, trasversale a 5 rapporti, è anch’esso integralmente rivisto e alleggerito di un 8%. Vengono introdotti i dischi freno in carbonio (Brembo).
La 126C4 si dimostra monoposto sincera ma non all’altezza della McLaren Mp4/2-Porsche V6 Turbo condotta da Niki Lauda e Alain Prost. La 126C4 conquista un totale di sette podi, una pole-position ed una vittoria. Il weekend perfetto si materializza in Belgio (Zolder, 29 aprile 1984), corsa in cui Michele Alboreto ottiene pole-position e vittoria. Il clima, in Ferrari, non è dei migliori. Forghieri da un lato, gli altri membri dello staff tecnico-sportivo (ad iniziare da Postlethwaite e Marco Piccinini, il Direttore Sportivo) dall’altro. Si accusa il telaio dei mancati risultati, ma in realtà una benzina non all’altezza della situazione inficia le prestazioni della 126C4. Un clima nevrotico e all’insegna delle “correnti”, che si accentuerà ancor di più nel 1985, minerà le stagioni del Cavallino a metà degli Anni ’80. Alboreto chiude il campionato al 4° posto (30,5 punti), Arnoux al 6° (27 punti). La Ferrari è seconda nel Costruttori (57,5 punti), ma distante dalla imprendibile McLaren-Porsche (143,5 punti).
In foto, la stupenda Ferrari 126C4 del 1984, qui in azione con Alboreto alla guida.
Il 1985 è, per la Ferrari, una annata buttata al vento. Lotte intestine, tanti capi e pochi soldati, un ambiente logorato e mal gestito, infelici ed inutili modifiche alla vettura impediscono a Michele Alboreto di lottare sino alla fine per il titolo mondiale. E dire che il bravo pilota milanese, all’indomani del GP d’Austria (Österreichring, 18 agosto 1985), è in piena corsa per l’iride: è al primo posto della graduatoria provvisoria a quota 50 punti, in coabitazione con Alain Prost (McLaren Mp4/2B-Porsche). La Ferrari 156-85 rappresenta una ulteriore tappa evolutiva. Rinnovata sotto il profilo telaistico e della distribuzione dei pesi (il passo, rispetto alle precedenti 126C3 e 126C4, è aumentato di oltre 10 cm, sino a toccare i 2762 mm), la 156-85 sfoggia una versione del classico V6 di 120° ulteriormente potenziata. La potenza varia dai 780 CV agli 840 CV a 11,000-11,500 giri/minuto. La pressione di sovralimentazione in gara è dell’ordine dei 2,7-2,8 bar. Spicca, in particolare, l’inversione di scarico e aspirazione. Anche i due Turbo conoscono un nuovo alloggiamento, trovando posto in basso all’interno delle fiancate, proprio in corrispondenza della “Coca Cola”. Al retrotreno viene alloggiato un generoso profilo estrattore al cui interno soffiano i due terminali di scarico. Viene impiegato anche un particolare alettone posteriore le cui paratie scendono sino a lambire il suolo; qui, tra le due paratie, è presente un profilo alare inferiore. Al contempo, in tale configurazione a basso carico, il fondo vettura viene accorciato (gli scarichi sono comunque annegati nel “troncone” terminale del fondo) ed il profilo estrattore di fatto eliminato.
I due turbocompressori KKK ricevono aria per mezzo di altrettante prese dinamiche a periscopio (una per lato) che fanno capolino attraverso la parte alta delle fiancate, a valle dei radiatori e degli intercooler. Questa soluzione, poi diffusasi a macchia d’olio, va a sostituire le precedenti NACA – ricavate nel cofano motore – impiegate sulla precedente 126C4. Le prese dinamiche a periscopio, inoltre, portano aria – mediante una apposita tubazione corrugata – al sistema di raffreddamento delle valvole waste-gate. I pacchi radianti (ben visibili dall’esterno) sono alloggiati, all’interno dei tunnel-radiatori, in posizione verticale e controventati, ossia leggermente divaricati a freccia negativa. Il calore, dunque, viene espulso all’esterno attraverso la grande finestra ricavata nelle fiancate stesse. L’angolo, più o meno pronunciato, con cui vengono alloggiati i radiatori varia nell’arco del campionato. Gli scambiatori, invece, sono disposti a valle dei radiatori dell’acqua, anch’essi con angoli variabili all’interno del tunnel e provvisti di finestra di sfogo.
La 156-85 consente a Michele Alboreto di lottare ad armi pari con la McLaren-Porsche. Alboreto raccoglie una pole-position al debutto brasiliano (Jacarepagua, 7 aprile 1985), trionfa in Canada (Montréal, 16 giugno 1985) e in Germania (Nürburgring, 4 agosto 1985), inoltre inanella ben sei podi. Dal canto suo, Stefan Johansson, sostituto di un licenziato René Arnoux, coglie due bei secondi posti in Canada e a Detroit (GP degli Stati Uniti). Tutto procede bene. Ma negli ultimi cinque GP, il tracollo. Alboreto non riesce più a conseguire alcun punto: in Italia (Monza), Belgio (Spa-Francorchamps), Europa al Brands Hatch, Sudafrica (Kyalami) e Australia (Adelaide) è vittima di guasti al motore, ai Turbo, alla frizione e al cambio. Johansson, nello stesso periodo, coglie due quinti posti ed un quarto.
Il responso è lapidario: Alain Prost è campione del mondo con 73 punti (76 senza scarti), Alboreto è 2° a quota 53. Johansson è 7° a 26 punti. La Ferrari chiude al 2° posto il campionato Costruttori: 82 punti contro i 90 della McLaren-Porsche. Arnoux è fermo a 3 punti, frutto del 4° posto al GP del Brasile.
In foto, Alboreto e Johansson al volante della 156-85. La versione condotta da Johansson mostra i diversi radiatore ed intercooler; quest’ultimo espelle l’aria calda all’esterno delle fiancate (prima della scritta Agip).
Nel 1986, la FIA introduce novità regolamentari. Anzitutto, vengono banditi i motori aspirati di 3000cc. Il consumo massimo a gara è ridotto a 195 litri. La Ferrari risponde con la F1-86: nuovo motore, pur mantenendo inalterato il concetto base, nuove sospensioni (i gruppi molla-ammortizzatore posteriori, azionati da un puntone push-rod, sono ora disposti a V e collocati in alto; all’avantreno si mantiene il pull-rod). Il motore è l’ultima versione del V6 di 120°, ora erogante oltre 850 CV a 11,500 giri/minuto (rapporto di compressione di 7,5:1, pressione di sovralimentazione di 3,6 bar). Al livello aerodinamico, colpisce il cofano motore che ingloba al proprio interno il roll-bar. La F1-86, ancora nata sotto la direzione tecnica di Harvey Postlethwaite, è bella ma non balla. Cinque i podi ottenuti nell’arco del campionato: Johansson è 3° in Belgio (Spa-Francorchamps), Austria (Österreichring), Italia (Monza) e Australia (Adelaide), Alboreto è 2° in Austria. Nessuna pole-position, nessuna vittoria ma tante, troppe rotture ai turbocompressori. Johansson va ad occupare il 5° posto nella classifica Piloti (23 punti), Alboreto non va oltre il 9° posto (14 punti), al pari delle Ligier JS27-Renault di Jacques Lafitte e René Arnoux. La Ferrari è attardata anche nel Costruttori: 4° posto (37 punti), alle spalle di Williams-Honda (141), McLaren-Porsche (96), Lotus-Renault (58).
In foto, Johansson al volante della bellissima F1-86, una delle Ferrari F1 più dimenticate in assoluto. Di seguito, dettagli tecnici della F1-86: motore, presa dinamica a periscopio per il compressore, radiatori acqua e intercooler con relativi condotti di aspirazione. Si nota il lungo condotto di scarico della waste-gate che scorre affianco del terminale principale. Quest’ultimo fuoriesce dalla turbina e va a soffiare all’interno del profilo estrattore.
Anno nuovo, auto totalmente rinnovata. Nel 1987, la Ferrari schiera la bellissima F1-87. A Maranello sono arrivati, intanto, John Barnard e Gustav Brunner, oltre a Jean Claude Migeot. La vettura presenta una aerodinamica rivisitata, ora decisamente più bassa e filante. Nuove le sospensioni, con il ritorno al pull-rod al retrotreno. Grandi novità investono il motore. Mantenuti inalterati il frazionamento (6 cilindri), la cilindrata totale (1496cc) e le misure caratteristiche (alesaggio e corsa sempre pari a 81 mm x 48,4 mm), si interviene sull’angolo tra le bancate. Non più di 120°, bensì di 90°. Il basamento, inoltre, è realizzato in ghisa e non più in alluminio (in alluminio rimangono le teste). La potenza sale. Ad inizio 1987, oltre 810 CV in configurazione gara (pressioni di sovralimentazioni superiori a 3 bar e rapporto di compressione di 8:1) e 890 CV in configurazione qualifica (4 bar). Alla fine dell’anno, si possono toccare circa 930 CV in gara e circa 990 CV in qualifica. La cascata di ingranaggi che comanda la distribuzione (4 valvole per cilindro, 2 alberi a camme per bancata) è ora collocata nella parte anteriore del motore. Il cambio è ora un 6 marce longitudinale. Il passo viene portato a 2800 mm. I due turbocompressori Garrett sono ancora alloggiati all’interno delle fiancate e ricevono aria dalle classiche prese dinamiche a periscopio. I nuovi regolamenti, infine, prescrivono un peso minimo differenziato: 500 kg per le rientranti F1 aspirate, 540 kg per le Turbo e pressione massima di sovralimentazione fissata a 4 bar. Invariato il consumo massimo a gara per le monoposto Turbo: 195 litri.
La vettura è sufficientemente veloce e valida, ma si dimostra inaffidabile e soggetta a reiterate noie meccaniche. Inconvenienti che affliggono i turbocompressori (rotture delle giranti o dell’alberino tra turbina e compressore), il motore, i semiassi, le sospensioni anteriori (eccessivi sottodimensionamento e alleggerimento dei bracci causano una deformazione degli stessi), i componenti elettrici ed elettronici (cablaggi sottoposti ad eccessive vibrazioni) condizionano negativamente le prestazioni della F1-87. Dopo una stagione obiettivamente insufficiente (Alboreto è 3° a Imola e Monaco), in cui a farla da padrone sono i ritiri per rotture meccaniche, Gerhard Berger coglie, in occasione del GP del Portogallo (Estoril, 20 settembre 1987), una sorprendente pole-position ed un ottimo 2° posto in gara. Il finale di stagione in crescendo e dominato dalla F1-87 di Berger fa ben sperare anche in ottica 1988. Berger firma pole-position e vittoria a Suzuka (1 novembre 1987), quindi si ripete in Australia: altra pole, altra vittoria (Adelaide, 15 novembre 1987). A completare il dominio in terra australiana, il 2° posto di Alboreto. Grazie a questi due imperiosi successi, l’austriaco sale in 5a posizione (36 punti), mentre Alboreto chiude in 7a (17 punti). La Ferrari è 4a nel Costruttori: 53 punti, alle spalle di Williams-Honda (137 punti), McLaren-Porsche (76), Lotus-Honda (64). Le Williams FW11B-Honda di Nelson Piquet e Nigel Mansell, la Lotus 99T-Honda di Ayrton Senna e la McLaren Mp4/3-Porsche di Alain Prost recitano il ruolo di mattatrici del campionato.
In foto, Berger al volante della bellissima Ferrari F1-87. La vettura ha un passo mediamente di 2800 mm, è larga 2120 mm, lunga 4280 mm e alta 1 metro. Nel dettaglio, il motore introdotto nel 1987: un V6 di 90° biturbo di 1496cc di cilindrata. I radiatori acqua e gli intercooler (posti dietro i primi) sono disposti in posizione controventata. Essi ricevono aria attraverso prese d’aria e diffusori specializzati. Ai lati delle fiancate, presente la finestra-effusore di sfogo dell’aria calda.
La F1-87/88C del 1988 è una logica evoluzione della monoposto che, a fine 1987, aveva dominato gli ultimi due Gran Premi. La FIA opera una ulteriore restrizione sui consumi delle monoposto Turbo: 150 litri a gara. La pressione massima di sovralimentazione è limitata a 2,5 bar. Il peso minimo è ancora pari a 540 kg. Contemporaneamente, le F1 aspirate non hanno limiti di consumo e godono di un peso minimo di 500 kg. Accorgimenti che consegnano alle aspirate una rinnovata competitività.
Le potenze, inevitabilmente, subiscono un repentino crollo. Il V6 di 90° ora eroga mediamente 620-650 CV a 12,000 giri/minuto (12,800 giri/minuto a fine stagione; circa 670 CV in qualifica), ad un rapporto di compressione inevitabilmente innalzato a 10:1. La stagione è dominata dalla McLaren Mp4/4-Honda RA168E di Ayrton Senna ed Alain Prost; la concorrenza deve accontentarsi di lottare per il podio, ma non per la vittoria. La “dittatura” della vettura di Gordon Murray e Steve Nichols è totale ed interrotta solo in occasione del GP d’Italia (Monza, 11 settembre 1988). Enzo Ferrari era morto da meno di un mese (14 agosto 1988). La corsa è ancora una volta dominata da Senna ma, al 49° passaggio, una incomprensione con Jean-Louis Schlesser (Williams FW12-Judd) – doppiato – priva il campione brasiliano di una vittoria ormai acquisita. Le due vetture entrano in collisione alla prima variante, Senna è costretto al ritiro. Berger balza in testa e va a vincere, Alboreto – rallentato dal muretto box con la scusa dei consumi – termina al 2° posto. Quella monzese è la sola vittoria Ferrari in quel 1988, la sola vittoria “non McLaren” della stagione. La F1-87/88C, ad ogni modo, colleziona sette podi complessivi ed una pole-position. Quest’ultima è firmata da Berger in occasione del GP di Gran Bretagna, a Silverstone (10 luglio 1988).
Berger raccoglie il massimo, chiudendo al 3° posto la classifica Piloti (41 punti), alle spalle di Senna (90 punti, 94 senza scarti) e Prost (87 punti, 105 senza scarti). Alboreto è 5° (24 punti), ma dietro Thierry Boutsen (27), al volante della competitiva e aspirata Benetton B188-Cosworth DFR.
In foto, Alboreto al GP di Ungheria (Hungaroring, 7 agosto 1988) davanti alla Benetton B188-Cosworth DFR di Boutsen. Visibili le minigonne rigide alla base delle paratie verticali dell’ala anteriore. Lo schema sospensivo, anteriore e posteriore, prevede tirante pull-rod e gruppi molla-ammortizzatore entrobordo verticali.
Il 13 novembre 1988, con il GP di Australia in quel di Adelaide, la Formula 1 archivia la prima, gloriosa era del Turbo. Nel 1989, infatti, i 3500cc aspirati prenderanno il posto dei 3000cc aspirati e dei 1500cc turbocompressi. Sarà ancora l’Australia ad inaugurare, il 16 marzo 2014, una nuova età del Turbo in F1. Storia di questi anni, di questi giorni.
Scritto da: Paolo Pellegrini