È tra le imposizioni regolamentari più insopportabili che i legislatori di mezzo mondo motoristico abbiano partorito: il limite del numero di giri motore.
Ok, possiamo comprendere la presenza di tale vincolo qualora abbinato ad una formula propedeutica, ad un campionato di avvicinamento alle categorie internazionali di alto livello, ma in Formula 1 no (al pari di altre categorie di vertice), nossignore.
Eppure, dal 2007 (secondo anno di vita dei V8 aspirati di 90° di 2400cc, tuttora in uso) la FIA ha voluto intraprendere la strada del vincolo del regime di rotazione. Nel 2006, infatti, anno della introduzione di siffatti motori, il numero di giri relativamente ai nuovi V8 era ancora libero.
In quell’anno (e ancora per il solo 2007), infatti, il regolamento contemplava tanto i neonati V8 quanto i V10 di 3000cc ereditati dalla stagione 2005. Sebbene il regolamento consentisse, appunto, l’impiego dei V10 del 2005 – allo scopo di aiutare i team più piccoli e con meno disponibilità economiche, impossibilitati a sviluppare o acquistare un nuovo V8 – solo la Toro Rosso STR1 – condotte da Vitantonio Liuzzi e Scott Speed – scelse la via del V10. Si trattava del Cosworth TJ2006, un motore in grado di raggiungere i 19,000 giri/minuto ma che, nel 2006, fu “strozzato” mediante flange all’aspirazione da 77mm di diametro e limitato a 16,700 giri/minuto.
Nel corso del medesimo anno, la Cosworth presenta anche il nuovo V8, il CA2006. Installato solo sulle Williams FW28 condotte da Mark Webber e Nico Rosberg, questo propulsore è il primo V8 ad oltrepassare la fatidica barriera dei 20,000 giri/minuto.
I risultati del V10 TJ2006 si rivelarono deludenti: le unità V8, benché ancora inaffidabili (i costruttori, con il silenzioso beneplacito della FIA, fecero ricorso a benzine ancor più speciali non regolamentari al fine di migliorarne l’affidabilità), surclassavano la sola unità V10 installata sulla vettura italiana.
Anche il CA2006, caratterizzato da prestazioni ragguardevoli, si dimostrava motore fragile e poco competitivo.
E si arriva al 2007, anno della introduzione del limite di 19,000 giri/minuto per tutte le unità V8 di 2400cc.
L’era del limite dei 19,000 giri/minuto si conclude al termine della stagione 2008: dal 2009, infatti, la FIA abbassa il regime di rotazione massimo a 18,000 giri/minuto, valore regolamentare ancora oggi imposto dai legislatori.
Nel 2014, come noto, l’entrata in vigore dei nuovi V6 di 90°, 1600cc monoturbo coinciderà con l’introduzione di un nuovo regime di rotazione massimo, pari a 15,000 giri/minuto.
Il regime di rotazione è un parametro fondamentale nell’analisi delle caratteristiche e delle prestazioni di un qualsivoglia motore da competizione. Un valore che, inevitabilmente, va a legarsi a doppio filo con altri parametri: potenza, coppia, rapporto corsa/alesaggio, velocità media del pistone, frazionamento della cilindrata, rendimento organico, tipologia di distribuzione, sviluppo, evoluzione e tipologia di materiali e lubrificanti e così via.
In generale, il regime di rotazione segue alcuni concetti base. A parità di cilindrata, un numero di giri superiore è ottenibile agendo sul frazionamento, ossia aumentando il numero di cilindri. Inoltre, al crescere della cilindrata, il numero di giri si attesta su valori tendenzialmente più bassi. Infatti, aumentare il numero di giri in un motore di piccola cilindrata è operazione necessaria affinché si possa ricavare quanta più potenza possibile, intervento peraltro agevolato dalle ridotte dimensioni e peso delle masse in moto alternato. Al contrario, un motore di grande cilindrata – oltre a “mal digerire” regimi di rotazione assai elevati a causa delle enormi sollecitazioni di tutte gli organi in moto – è in grado di erogare potenza a volontà (e soprattutto coppia sfruttabile sin dai bassi-medi regimi) anzitutto grazie, appunto, al fattore cilindrata maggiore.
Infine, un motore caratterizzato da un elevato numero di giri avrà anche una curva di coppia particolarmente appuntita, concentrata in alto, come nel caso dei V8 di 2400cc.
Più in generale, va detto che la tecnica motoristica si è sempre orientata – prescindendo dalle cilindrate e compatibilmente ad esse – verso una ricerca di regimi di rotazione sempre crescenti. Lo scopo è presto detto: aumentare il consumo di aria, quindi incrementare la potenza specifica. Vale a dire, più potenza disponibile.
Naturalmente, al crescere del regime di rotazione – compatibilmente alle esigenze tecnico-sportive all’interno delle quali un dato motore si trova ad operare – i rischi di rottura aumentano: tutti gli organi in movimento, infatti, vengono sottoposti a stress, velocità e accelerazioni sovente estremi.
Si tratta, come sempre, di raggiungere il miglior compromesso tra prestazioni-affidabilità-sfruttamento.
Un compromesso non facile da ricercare.
Dal 1950 ad oggi, è possibile ripercorrere 63 anni di Formula attraverso l’evoluzione motoristica, regimi di rotazione compresi, districandosi tra aspirati e sovralimentati, piccole e medie cilindrate.
Nei primi Anni ’50 (1950-1951, motori 1500cc con compressore o 4500cc aspirati), ad esempio, possiamo andare dagli oltre 8500-9000 giri/minuto dell’8 cilindri in linea delle Alfa Romeo 158-159 (1500cc sovralimentato mediante compressore volumetrico a doppio stadio) ai 7000 giri/minuto del V12 di 60° Ferrari, un 4500cc aspirato.
Dal 1952 al 1953, entrano in vigore i 2000cc aspirati (promossi da Formula 2 a Formula 1 allo scopo di rimpolpare la precaria griglia di partenza della neonata F1) e 500cc sovralimentati. Il 4 cilindri in linea 2000cc della Ferrari 500 F2 campione del mondo 1952-1953 tocca la soglia dei 7500 giri/minuto: piccola cilindrata quindi elevato numero di giri affinché venga erogata potenza a sufficienza (nello specifico, oltre 185 CV).
Dal 1954 al 1960, si cambia ancora: 2500cc aspirati, 750cc sovralimentati. Il 6 cilindri in linea della Maserati 250F arriva ad erogare 260 CV a 7200 giri/minuto (1955), l’8 cilindri in linea (iniezione diretta meccanica e distribuzione desmodromica) delle Mercedes W196, invece, arriva ad erogare 290-295 CV a 8500 giri/minuto, elevato valore reso possibile anche dal tipo di distribuzione.
Degni di nota, due motori agli antipodi. Nel 1955, Aurelio Lampredi – fautore dei motori poco frazionati – progettò il famigerato Ferrari bicilindrico, nelle intenzioni destinato ai tracciati lenti. L’idea, buona ma ardita, lasciò Enzo Ferrari assai perplesso. Ad ogni modo, si giunse ad un primo collaudo al banco, durante il quale il motore si ruppe clamorosamente (leggenda narra di pezzi letteralmente saltati in aria!). Questo bicilindrico in linea di 2500cc (!) era in grado di erogare 160 CV a 5200 giri/minuto. Ma nei primi Anni ’50, appare anche il BRM V16 di 135°, di soli 1500cc, sovralimentato mediante compressore centrifugo a doppio stadio, in grado di erogare 475 CV ad oltre 11,500 giri/minuto. Un’opera d’arte di difficile messa a punto.
A fine 1960, i motori aspirati di 2500cc toccano la loro massima espressione. Anche in questo caso, interessante il seguente confronto. Tra i motori più potenti e caratterizzati da regimi di rotazione assai elevati ricordiamo il Vanwall 254 – un gioiello tecnologico di 4 cilindri in linea erogante 290 CV a 7600 giri/minuto – ed il Ferrari 246, un V6 di 65° da 285 CV a 8500 giri/minuto.
Tuttavia, ad aggiudicarsi i titoli mondiali 1959-1960 sono le Cooper-Coventry Climax T51 e T53. Il motore in questione, un 4 cilindri in linea, erogava “solo” 240 CV a 6750 giri/minuto.
Dal 1961 e fino al 1965 vige la formula 1500cc: motori aspirati di cilindrata minima 1300cc e massima di, appunto, 1500cc. A fine ciclo, questi piccoli motori impressionano per le loro prestazioni. Il Ferrari 512 (12 cilindri in V di 180°, potenza di 220 CV) tocca la soglia dei 12,000 giri/minuto, l’altro Ferrari – il 158 (V8 di 90°, 210 CV) – raggiunge gli 11,000 giri, il BRM (V8 di 90°, 222 CV) tocca gli 11,750 giri, l’Honda (V12 di 60° trasversale, 220 CV) tocca quota 12,000 giri.
Il Coventry-Climax, installato sulla Lotus 33 campione del mondo, è il meno potente (ma installato sulle Lotus fa faville…), ma affidabile, semplice e sempre generoso: V8 di 90°, 213 CV a 10,800 giri/minuto.
Dal 1966 al 1985, la Formula 1 vive, per quanto concerne l’aspetto motoristico-regolamentare, un periodo di fruttuosa stabilità: aspirati di 3000cc, sovralimentati di 1500cc.
In questo lungo lasso di tempo, le unità aspirate – in termini di giri motore – non manifestano chissà quali incrementi. Anzi, i valori si attestano per tutti questi anni prevalentemente sull’ordine dei 10,000-12,000 giri/minuto. Nel 1966, il BRM H-16 è in grado di erogare 418 CV a 10,750 giri/minuto (11,000 nel 1967), nel 1980 il Ferrari 015 (V12 di 180°) arriva ad erogare circa 515 CV a 12,300 giri/minuto.
La Matra e l’Alfa Romeo, esclusivamente sul fronte prestazioni, fanno meglio: il V12 MS81 eroga oltre 520 CV a 13,000 giri/minuto, gli Alfa Romeo 12 cilindri 115-12 e 1260 superano anche i 530 CV ad oltre 12,500 giri/minuto.
Sul fronte dei motori sovralimentati (il primo Turbo di 1500cc entra in scena in F1 nel 1977 grazie alla Renault), si constata un certa stabilità dei regimi di rotazione.
Se da un lato le potenze crescono di anno in anno, sino a toccare punte massime di 1000-1100 CV in configurazione da qualifica, i regimi di rotazione si mantengono “bassi”. Infatti, due tra le più importanti peculiarità della motorizzazione Turbo risiedono nel ridotto numero di giri e nel contenuto rapporto di compressione. La sovralimentazione, infatti, fa sì che tali valori vengano mantenuti relativamente bassi. Naturalmente, in presenza di un singolo Turbo (e magari tarato ad una bassa pressione di sovralimentazione), occorre alzare sia il numero di giri che il rapporto di compressione. Espedienti tipici dei motori turbocompressi 2650cc CART (singolo Turbo), i quali raggiunsero al massimo del proprio sviluppo regimi di rotazione superiori ai 15,000-16,000 giri/minuto.
Degno di menzione il Mercedes-Ilmor CART 1994, un poderoso V8 di 3500cc turbocompresso, con distribuzione ad aste e bilancieri (da qui, la cilindrata maggiorata). Questo strabiliante motore, nonostante una tipologia di distribuzione che di certo non concilia elevatissimi regimi di rotazione, è comunque in grado di erogare 1024 CV a 9800 giri/minuto, un regime di rotazione invero elevatissimo per un aste e bilancieri.
I Turbo Formula 1, invece, coprono una forbice compresa tra i 9000-9500 giri ed i 12,000-12,500-13,000 giri/minuto. Anche il BMW M12/13 – il famigerato 4 cilindri in linea monoturbo – riesce a scavallare, all’apice dello sviluppo, la soglia degli 11,000 giri/minuto.
Nel 1988, anno in cui la pressione massima dei Turbo viene tarata a 2,5 bar, i regimi di rotazioni non subiscono sostanziali stravolgimenti: ad esempio, l’Honda RA168E tocca i 12,300 giri/minuto ed eroga circa 650 CV in configurazione gara, ma sfiora punte di 14,000 giri/minuto e circa 685 CV in configurazione da qualifica.
Per compensare la più contenuta pressione massima di sovralimentazione (libera fino al 1986, limitata a 4 bar nel 1987), i motori Turbo del 1988 presentano un rapporto di compressione più elevato, anche prossimo ai 10:1.
Nel 1989, i Turbo cedono il campo ai nuovi 3500cc aspirati, motori che la FIA mantiene in vita sino al 1994 (compreso). Motori, questi, che hanno segnato un’epoca: in pochi anni, potenze incrementate di anno in anno e regimi di rotazione che superano i 15,000 giri minuto, specie per quanto riguarda i 10 ed i 12 cilindri.
Nel 1995, entrano in vigore i nuovi 3000cc. Sebbene le potenze massime delle migliori unità perdano qualche cavallo, i tecnici motoristi compensano tale fisiologica perdita con regimi di rotazione sempre più elevati. Ad esempio, il V12 di 75° della Ferrari 412T2 del 1995 eroga la bellezza di 690 CV a 16,800 giri/minuto. Dal 1995 al 2005, la crescita tanto di potenze quanto dei regimi di rotazione (anche dopo la messa al bando dei 12 cilindri, avvenuta nel 2001) è inesorabile: potenze dell’ordine degli oltre 800-900 CV e regimi di rotazione anche superiori i 19,000 giri/minuto.
Regimi elevatissimi anche per quanto riguarda i V8 di 2400cc, entrati in vigore nel 2006 e pensionandi a fine stagione 2013. Anche in questo caso, le odierne tecnologie dei materiali, la tipologia di distribuzione con richiamo delle valvole pneumatico e, soprattutto, il dover compensare la riduzione di cilindrata hanno reso possibile il raggiungimento di regimi di rotazione prossimi o pari i 20,000 giri. Solo la FIA, ponendo il vincolo, ha fatto sì che i V8 girassero prima a 19,000 giri, poi a 18,000, regimi invero più che sufficienti per venire incontro alle esigenze di affidabilità e durata (imposta) dei motori stessi.
Il regime di rotazione massimo imposto dal regolamento FIA 2014 sarà, come accennato, pari a 15,000 giri/minuto. Realisticamente, i motoristi possono “tirar fuori” dai propri V6 di 1600cc monoturbo più giri; una ricerca fattibile, soprattutto in virtù delle nuove tecnologie, della presenza del singolo Turbo (un numero di giri maggiore può compensare la sovralimentazione offerta da un singolo turbocompressore), delle pressioni massime di sovralimentazioni che, verosimilmente, non saranno elevate e della piccola cilindrata.
Tuttavia, un regime di rotazione più basso rispetto agli aspirati non deve impressionare. Prerogativa di un motore Turbo, infatti, è il poter erogare tanta potenza anche a fronte di regimi di rotazione non elevatissimi e rapporti di compressione piuttosto contenuti: l’ingozzare di aria i cilindri fa il resto.
Pertanto, il regime più basso non deve essere considerato un passo indietro tecnologico, ma un valore fisiologico, sebbene, lo ripetiamo, i motori potrebbero girare più in alto (ma occhio ai consumi stabiliti dal regolamento…).
Oggigiorno, numerose categorie e classi di respiro internazionale-mondiale – tanto nell’automobilismo quanto nel motociclismo – adottano il vincolo del regime di rotazione. Un vincolo inutile, superfluo, invadente, demagogico: non solo, infatti, non ha ricadute sull’altrettanto demagogico contenimento dei costi oggi tanto osannato e sbandierato, ma non contribuisce nemmeno all’immagine tecnica di categorie che, al contrario, dovrebbero perseguire una spiccata libertà progettuale. È solo un cavillo strumentale – in nome del contenimento dei costi e delle prestazioni (infatti, quando un motore arriva al limitatore la velocità non può aumentare) – in mano ai sempre più potenti legislatori-burocrati.
In definitiva, è auspicabile che la Formula 1 ritorni – tra le tante cose – ad un regime di rotazione libero. Saranno i progettisti, infatti, a regolare e configurare tale parametro in base ai circuiti, alla esigenze di affidabilità e durata motore e così via.
Lasciamo, dunque, che siano i singoli motoristi a stabilire il come, il quando e il perché di quei fatidici numeri…
Scritto da: Paolo Pellegrini