È il “giallo” sportivo del momento, l’evento che ha caratterizzato i primi test di Barcellona: cosa è realmente accaduto a Fernando Alonso?
L’incidente occorso al campione spagnolo della McLaren-Honda solleva più di una perplessità.
La dinamica dell’incidente e i pochi danni riportati dalla MP4/30 condotta da Alonso, infatti, mal si sposano ai traumi fisici evidenziati, tali da trattenere a lungo in ospedale il pilota stesso (mentre scriviamo, Alonso è ancora in ospedale: sarà trattenuto per un’altra notte).
Partiamo, anzitutto, da una preziosa testimonianza, quella del fotografo Jordi Vidal, al momento dell’incidente appostato proprio alla curva “incriminata”. Egli vede arrivare la McLaren di Alonso ad una velocità insolitamente bassa, quindi lo scarto improvviso a destra, verso il muro. Nota, inoltra, che Alonso non esce dalla vettura; i soccorritori danno qualche colpetto sul casco, ma nulla, il pilota non reagisce. Rimane in auto per una decina di minuti, senza reagire. Secondo Vidal, Alonso non ha perso il controllo dell’auto.
Questa versione fa il paio con la testimonianza rilasciata da Sebastian Vettel. Il pilota della Ferrari, infatti, si trovava subito dietro la McLaren dello spagnolo. Anche Vettel parla di bassa velocità (non oltre i 150 km/h, una velocità, quindi, moderata per una vettura di F1) e di un paio di toccate a muro da parte della McLaren ormai fuori controllo.
Dunque, le velocità in gioco sono alquanto basse. La porzione di pista in questione, al contrario, viene percorsa dalle vetture a velocità considerevoli: il tratto che va dalla curva 3 (la “Renault”) alla curva 4 (la “Repsol”) interessa velocità comprese tra i 200 km/h (o poco meno) e punte di 280-290 km/h. Evidentemente, 150 km/h è un valore consono ad un giro di rallentamento o che dipende da una qualche anomalia.
Il comunicato ufficiale rilasciato dalla McLaren afferma che l’uscita di pista sia stata causata da un colpo improvviso di vento, così forte da scomporre la monoposto di Alonso e “lanciarla” contro il muretto. L’impatto e la forte decelerazione avrebbero, secondo le tesi ufficiali, prodotto i traumi fisici che hanno costretto in ospedale il pilota spagnolo.
Analizzare i dati e i fatti risulta tutt’altro che immediato. Tuttavia, possiamo avanzare qualche ragionamento empirico sulla base dei danni (invero, superficiali) riportati dalla McLaren MP4/30 di Alonso e di precedenti storici.
15 g. Ormai un valore entrato prepotentemente nelle cronache degli ultimi giorni. Sarebbe questo il valore della decelerazione a cui è stato soggetto Fernando Alonso a seguito dell’impatto contro il muro ad una velocità di circa 150 km/h.
Una decelerazione senza dubbio importante, ma, dati alla mano, pane quotidiano per una vettura di F1 e per un pilota. Anzitutto, occorre ricordare che forti decelerazioni localizzate e istantanee (anche dell’ordine dei 100 g) possono essere ben tollerate dall’organismo umano, senza, tuttavia, riportare alcun danno. Non solo insospettabili forze g – da mediamente elevate a molto elevate – sono riscontrabili in comportamenti, gesti e fenomeni naturali che pervadono l’attività umana (da un urto contro un mobile ad uno starnuto), ma va ricordato che forze g superiori a 6 g sono registrabili in numerose frenate e curve di altrettanti circuiti ove sono impegnati i piloti di F1.
Inoltre, le eventuali asperità della pista (dossi, fondo vettura che tocca il suolo) e brusco contatto coi cordoli sono elementi che innalzano i valori di forza g cui sono sottoposti i piloti: in questi casi, la soglia tocca facilmente i 10-12 g. Si tratta di valori di picco istantanei e di breve durata, anche se reiterati nel tempo, tali da non provocare danni all’organismo nel breve periodo. Tuttavia, è proprio la reiterazione del gesto a poter produrre, nel medio e lungo termine, traumi fisici, articolari e circolatori. Un quadro clinico che viene ulteriormente aggravato dalla posizione non ortodossa (anzi, totalmente sballata) assunta dal pilota in vettura.
Non esiste un dato matematico che ci indichi come, quando e perché uscire illesi e, nei casi estremi, riuscire a sopravvivere ad un impatto che comporti una notevole decelerazione. Naturalmente, al crescere del numero di g i danni subiti dall’organismo umano, potenziali, si acuiscono in modo esponenziale. Ma non basta prendere in esame il singolo valore di g; nella valutazione dei danni fisici, infatti, concorrono altri fattori, quali, ad esempio, il tempo di esposizione alle forze di decelerazione, l’angolo di impatto, la stessa capacità dell’auto di assorbire l’energia dell’urto, la fattura delle barriere stesse e così via. Insomma, certezze matematiche non esistono.
David Purley, nel terribile schianto in quel di Silverstone 1977, sopravvisse a ben 179.8 g di decelerazione. La sua LEC CRP1-Cosworth subì tale, incredibile decelerazione, passando da 173 km/h a zero in appena 66 centimetri. Va da sé che le vetture di Formula 1 del 1977 non possedevano (in quanto quello era lo stato dell’arte dell’epoca) strutture deformabili ad assorbimento di impatto, non erano soggette a crash test e rigidi valori di carichi statici da rispettare, misure di ingombri e sbalzi atti a preservare quanto più possibile le gambe del pilota. Non esisteva il collare HANS, come protezioni laterali per la testa del pilota.
Robert Kubica, al GP del Canada del 2007, subì, nel noto incidente, una decelerazione media di 28 g ed un picco di 75 g (ordine del millisecondo). Jeff Gordon, a Pocono, nel 2006 (NASCAR), uscì con le proprie gambe da un incidente il cui picco massimo di decelerazione fu di 64 g. Nel 2003, Kenny Bräck, al Texas Motor Speedway (IRL), urtò le barriere ad oltre 300 km/h: la sua Dallara andò distrutta, il pilota riportò fratture multiple: sopravvisse ad un picco di 214 g.
Negli ovali, in particolare, riscontrare picchi di g elevatissimi è all’ordine del giorno. Decelerazioni importanti e forze g elevatissime, fortunatamente, risultano fatali solo in rari casi. Se così non fosse, le gare su ovale (e non solo) sarebbero dei funerali a ciclo continuo.
È, dunque, necessario un impatto così violento – come quelli appena citati – affinché vengano registrati notevoli valori di decelerazioni? No.
Nel 2013, proprio Alonso subisce una forza di 25 g durante un sorpasso. Ebbene sì, avete letto bene. Ad Abu Dhabi, rientrando dai box, ingaggia un duello con la Toro Rosso condotta da Vergne. La Ferrari dello spagnolo rimbalza su un cordolo. L’atterraggio (la vettura si alzò di pochi centimetri da terra) produce una forza di 25 g. Come da prassi, verrà sottoposto a esami medici.
Sempre nel 2013, Van Der Garde, entrato in collisione, alla partenza, con Bianchi – siamo a Suzuka – urta frontalmente le barriere. L’impatto realizza una decelerazione di oltre 20 g.
20 g sono riscontrabili anche nel crash che vede protagonista Ericsson, in occasione del GP di Ungheria. Anno 2014. Vettura seriamente danneggiata. 20 g? Il campione mondiale Lewis Hamilton riesce a fare meglio. Qualifiche del GP di Germania, 2014. Hamilton urta violentemente le barriere: l’impatto produce 30 g di decelerazione. In gara taglierà la bandiera a scacchi al 3° posto dopo essere scattato al via dal fondo dello schieramento.
Come si evince, impatti che producano oltre 15-20 g sono all’ordine del giorno. E non deve nemmeno spaventarci la procedura FIA, la quale impone controlli medici ai piloti vittime di simili impatti.
Tra i tanti “misteri” che avvolgono l’incidente di Alonso, risalta immediatamente la mancanza di danni alla vettura. La McLaren MP4/30-Honda dello spagnolo, infatti, appare integra, fatta eccezione per l’ala anteriore, elemento andato danneggiato a seguito dell’impatto col muro. Ma si sa, l’ala anteriore è un elemento poco resistente: è sufficiente un minimo contatto per spezzarla. Sul muretto sono evidenti solo i segni delle gomme; tuttavia, le sospensioni sono integre, a conferma della leggera entità dell’impatto contro il muro.
Al contrario – ciò è facilmente verificabile andando a spulciare il web, alla ricerca degli incidenti, anche i più banali – è sufficiente un semplice contatto, anche a bassa velocità, per rompere (anche danneggiare in modo alquanto serio) sospensioni, parti di carrozzeria, elementi aerodinamici e così via. Insomma, una intera vettura da ricostruire.
La McLaren di Alonso, infine, era così integra da poter essere rimessa in pista in tempi assai brevi, dopo, come ovvio, i naturali controlli e le logiche riparazioni del caso.
Ecco, allora, che gli spiragli alle ipotesi “alternative” si trasformano in autentici portoni.
Colpo di vento? Vettel, che seguiva Alonso da vicino, non ha fatto alcun riferimento al vento. E se davvero ci fosse stata una raffica di vento così forte da scomporre e spostare, a bassa velocità, una vettura di F1 (di 702 kg di peso minimo, senza carburante e alta meno di un metro), questa avrebbe dovuto investire anche Vettel, non solo Alonso. Evento non accaduto, però.
Evidentemente, i conti non tornano. L’intera vicenda appare ancora fumosa. La tesi del “vento forte”, quale causa dell’uscita di pista – considerati e analizzati i pochi elementi a noi disponibili – appare inverosimile. Ed anche la tesi che vuole i traumi fisici prodotti a seguito dell’impatto col muro (a bassa velocità e molto docile, tale da non provocare danni di un certo rilievo alla monoposto) appare altrettanto poco credibile.
Chi non avalla la tesi ufficiale di McLaren e dell’entourage di Alonso afferma quanto segue: Alonso ha subito qualcosa (non sappiamo cosa) che ha prodotto quella insolita uscita di pista. Il contatto col muro e la decelerazione, inoltre, non sarebbero la causa dello stato di shock palesato dal pilota.
Scossa elettrica prodotta da un malfunzionamento della MGU-K? Corto circuito di qualche tipo? Intossicazione dovuto ai fumi e ai vapori di batterie surriscaldate (Alonso stesso, però, ha fatto riferimento a “trazioni” della colonna vertebrale)? Malore del pilota? Avaria della McLaren?
Le ipotesi del malore e della avaria al sistema ibrido della McLaren Mp4/30 stuzzicano gli scettici, anzi, i “creativi”, usando il gergo di Flavio Briatore. Naturalmente, gli addetti ai lavori e i diretti interessati hanno prontamente smentito entrambe le suggestive tesi alternative (intanto, smentite alla mano, Alonso è ancora in ospedale in osservazione!). Tesi che, se confermate, getterebbero enormi punti interrogativi e ombre oscure sull’intera Formula 1, anzitutto sulla McLaren e sullo stato di salute di Alonso.
Tuttavia, entrambe giustificherebbero la maldestra manovra testimoniata anzitutto da Vettel: quasi una manovra disperata, intesa a parcheggiare la vettura a seguito di… qualcosa di anomalo.
Le basse velocità emerse dalle testimonianze oculari di Vettel e del fotografo Vidal, infine, non sono in grado di avallare un qualche effetto pendolo in accelerazione, similmente a quanto occorso a Maldonado proprio nel medesimo tratto di circuito (GP di Spagna 2014; Maldonado era in piena accelerazione – come da prassi in quel punto – e aveva messo le ruote fuori del tracciato, andando sullo sporco. Il violento impatto ha distrutto il lato destro della sua Lotus).
Nessuna certezza, pertanto.
La sola certezza che abbiamo, sinora, ha il valore e il sapore di un alito di vento. Aria, insomma.
Scritto da: Paolo Pellegrini