Maggio, tempo di 500 Miglia di Indianapolis. Il prossimo 28 maggio, ordunque, lo speedway dell’Indiana ospiterà la edizione numero 101 della celebre corsa. Una competizione che, salvo le piacevoli eccezioni firmate Raffaele “Ralph” De Palma (vincitore nel 1915), Maserati e Dallara, pare si diverta a giocare tiri mancini ai colori italiani. Ferrari compresa. Dai maldestri e fallimentari tentativi degli Anni ’50 alla leggendaria 637 del 1986: segnali e inequivocabili storie di un matrimonio – quello tra Ferrari e la Indy 500 – che non s’ha da fare.
La Ferrari 637 costituisce, a tutt’oggi, uno dei progetti più arditi ed enigmatici nella storia della Casa di Maranello. Questa splendida e moderna monoposto, infatti, avrebbe dovuto partecipare al campionato CART (acronimo di Championship Auto Racing Teams) e alla Indy 500, la gara simbolo, all’epoca sotto egida USAC – United States Auto Club – ma inglobata nel calendario CART.
Siamo esattamente alla metà degli Anni ’80. Il progetto della 637 trova innesco nei malcontenti esternati da Enzo Ferrari nei confronti della Federazione Internazionale dell’Automobile, colpevole, secondo il “Drake”, di mal gestire le sorti tecniche e sportive della Formula 1. I cambiamenti regolamentari si susseguono repentini e la Formula 1, benché viva un periodo assai florido tanto dal punto di vista tecnico quanto sportivo, non garantisce pace e stabilità regolamentare. Da una parte Bernie Ecclestone e il suo Patto della Concordia, dall’altra Jean-Marie Balestre, controverso Presidente di FISA (Federazione Internazionale Sport Automobilistico, ex CSI – Commissione Sportiva Internazionale) e FIA, a contrapporsi in una sorta di “guerra fasulla” e apparente. È, nella sostanza, una battaglia politica e di convenienze, ove ciascuna fazione – Ecclestone, Balestre e Ferrari stesso – cerca di tirare acqua al proprio mulino. Ferrari, inoltre, non vive un bel periodo in F1, sopraffatta da avversari più attrezzati e vincenti.
In questo clima di incertezza e insoddisfazione, prende forma il progetto della futura 637. Abbandonare la litigiosa Formula 1 per emigrare in terra d’America, nella CART, a dire il vero non meno “politicizzata” e litigiosa (anzi…) della Formula 1. Le minacce della Ferrari – lasciare la Formula 1 per concentrasi sul campionato CART – vogliono essere anzitutto uno strumento di pressione nei confronti dei vertici tecnici e sportivi della Formula 1. La Ferrari, infatti, non nutre reali interessi verso la CART, sebbene sia conscia dell’importanza del mercato nordamericano e del campionato stesso, capace di attrarre, in quegli stessi anni, un Marchio altisonante – e già vincente in Formula 1 – quale Porsche ed un inedito progetto Lotus (naufragato per incompatibilità regolamentare); lo scopo primario, pertanto, è rimanere in Formula 1.
Ad ogni modo, l’idea che condurrà al progetto della 637 procede spedito. Estate 1985. Marco Piccinini, Direttore Sportivo della Scuderia Ferrari dal 1977 al 1988, si reca negli Stati Uniti allo scopo di seguire alcune gare del campionato CART e conoscere gli organizzatori della serie. La CART è un territorio inedito per la Ferrari: per iniziare a saggiare e comprendere la nuova realtà, urgono necessariamente appoggi e preziose consulenze esterne da parte di tecnici, manager e strutture che vivono in prima persona il massimo campionato nordamericano per monoposto. Viene in soccorso Leo Mehl, storico responsabile del settore sportivo Goodyear dal 1979 al 1996 e profondo conoscitore della realtà tecnica-sportiva statunitense. L’azienda gommista a stelle e strisce, infatti, non solo fornisce pneumatici alla maggior parte dei team di Formula 1, ma è anche fornitrice ufficiale – in regime regolamentare di monogomma – della CART. Grazie a Leo Mehl, Piero Lardi Ferrari si reca negli USA, presso la sede del Truesports, team impegnato in CART e fondato da Jim Trueman. Del competitivo team fanno parte anche Steve Horn, Robert Woodward “Bobby” Rahal e Adrian Newey, progettista delle vincenti March 85C e 86C CART, nonché ingegnere di pista dello stesso Rahal.
Jim Trueman propone a Newey di progettare la Ferrari CART. Il tecnico inglese declina l’offerta e, per il 1986, si accasa al Kraco Racing, sfiorando il titolo CART con Michael Andretti (2° alle spalle di Bobby Rahal). A fine 1985, Jim Trueman e Bobby Rahal si recano in Italia, direzione Maranello. Al seguito, vi è una rossa March 85C-Cosworth DFX, monoposto con la quale Bobby Rahal (Ludwig Heimrath, Jr, nella sola gara di Mid-Ohio, affianca il campione statunitense) si aggiudica sei pole-position e tre vittorie (Mid-Ohio, Michigan, Laguna Seca), chiudendo il campionato 1985 al 3° posto. Rahal effettua 40 giri dimostrativi a Fiorano, successivamente sarà Michele Alboreto a collaudare la March 85C sulla pista privata del Cavallino.
In foto, Michele Alboreto alla guida della March 85C-Cosworth DFX del Truesports. Di seguito, Bobby Rahal posa assieme alla sua March 85C in occasione della Indy 500 del 1985.
Frattanto, il progetto della Ferrari CART viene affidato a Gustav Brunner, impegnato in Formula 1 dapprima in ATS, quindi in RAM, costruttore per il quale progetta, per il 1985, la 03. Al progetto della futura 637 partecipano anche nomi di primo livello, quali Harvey Postlethwaithe e Antonio Bellentani. Gustav Brunner, come si suol dire, dedica anima e corpo al progetto della 637: si reca ripetutamente negli States, assiste a gare del campionato CART, inclusa la 500 Miglia di Indianapolis del 1986. In quell’occasione, Vittorio Ghidella, uomo storico della Fiat, accompagna il progettista austriaco in quel dell’Indiana.
Nell’estate del 1986, la Ferrari 637 CART è pronta per i primi collaudi. La vettura si presenta filante e moderna. A colpire è il muso, basso e rastremato, con una gobba appena accentuata nell’area attorno al volante e alla strumentazione, palesemente ispirato alla Tyrrell 012, alla Williams FW09 e alla stessa RAM 03. Altrettanto ben concepite dal punto di vista aerodinamico le pance laterali, basse e caratterizzate da griglie superiori per lo smaltimento dell’aria calda proveniente dai radiatori. Al di sotto delle fiancate, sono ricavati i lunghi Venturi preposti alla realizzazione dell’effetto suolo. In generale, tutta la vettura mostra linee e forme più compatte e snelle rispetto alle monoposto CART di pari epoca. La scocca – i regolamenti tecnici CART vietano telai esclusivamente in fibra di carbonio – è realizzata in Avional e composito di fibra di carbonio e Kevlar. Convenzionali e funzionali le sospensioni, le quali prevedono – tanto all’avantreno quanto al retrotreno – i classici quadrilateri trasversali, tirante pull-rod, gruppi molla-ammortizzatore coassiali disposti verticalmente (al posteriore, si apprezza un angolo leggermente divaricato verso l’esterno) entrobordo.
La 637 è lunga 4565 mm, larga 2020 mm, alta 950 mm. Il passo è di 2812 mm. Le misure in pollici degli pneumatici anteriori sono pari a 25,5/10,5-15 (64,7 cm di diametro, 25,4 cm di larghezza, cerchio da 15 pollici), al posteriore troviamo dei 27/14,5-15 (68,5 cm di diametro, 36,8 cm di larghezza, cerchio da 15 pollici). Si apprezza, dunque, il diametro dei cerchi maggiore rispetto alla Formula 1, all’epoca già convertitasi in massa ai cerchi da 13 pollici.
A spingere la monoposto CART di Maranello vi è un inedito motore alimentato, come da regolamento, a metanolo. Si tratta di un 8 cilindri in V di 90°, raffreddato a liquido, sovralimentato mediante un singolo turbocompressore (come da regolamento) prodotto dalla IHI, bialbero in testa e 4 valvole per cilindro, di cilindrata pari a 2648,81cc. 2650cc, infatti, è la cilindrata massima regolamentare stabilita per i motori “pure racing” turbocompressi, di massimo 8 cilindri e con distribuzione ad alberi a camme in testa. Assente, come previsto dal regolamento stesso, l’intercooler. Le misure di alesaggio e corsa sono pari a 86 mm x 57 mm. La potenza massima si attesta attorno ai 690 CV a 12,000 giri/minuto, ad un rapporto di compressione di 11,5:1 e ad una pressione massima di sovralimentazione di 1,6 bar (48 inHg, ossia inches of Mercury). La potenza specifica è di 260 CV/l. Lubrificazione a carter secco, frizione multidisco, cambio a 5 marce + RM.
In queste foto è possibile apprezzare i dettagli esterni del V8 Ferrari 034 CART.
Il V8 Turbo di Maranello palesa la medesima filosofia costruttiva dei V6 Turbo di Formula 1 impiegati dal 1980 al 1984. L’aspirazione, infatti, è collocata all’esterno del “V” (a valle dei due cassoncini di aspirazione, uno per ciascuna bancata, sono collocate le valvole pop-off); di contro, lo scarico si trova all’interno delle bancate. Caratteristico e inconsueto, per un motore CART dell’epoca, l’intreccio disegnato dai bianchi scarichi al centro delle due bancate. Al contempo, il V8 034 CART presenta una tipica – e molto interessante – soluzione dei motori CART di quel periodo: il singolo turbocompressore, infatti, è collocato centralmente, a valle del motore, “annegato” all’interno di un apposito alloggiamento ricavato sopra il cambio, proprio davanti al differenziale e ai semiassi. Ovviamente, in corrispondenza del Turbo, trovano posto la valvola vaste-gate ed il corto e piatto terminale di scarico.
I collaudi proseguono a Fiorano e Nardò. La 637 è nata bene ed i riscontri della pista sono positivi. Si specula attorno ai possibili piloti: Andrea De Cesaris e Bobby Rahal sono i nomi più ricorrenti. Ma ai proclami, ai progetti, alle conferenze stampa, alle voci di corridoio più o meno attendibili e alle foto di rito non fanno seguito i fatti. La Ferrari proseguirà il proprio cammino in Formula 1 non mettendo mai piede nel campionato CART. I contatti tra Truesports e Ferrari proseguono sempre più timidi e sporadici. Quando il team dell’Ohio, per la stagione CART 1986, acquista le nuove March 86C motorizzate Cosworth DFX (Bobby Rahal vince titolo e Indy 500) si percepisce un certo abbandono del programma Ferrari-CART. Si spera in un debutto nel 1987 ma così non è. Jim Trueman muore l’11 giugno 1986, un evento che, di fatto, scrive la parole fine ad un possibile programma congiunto Ferrari-Truesports. Il team statunitense, nel 1987, lascia i telai March in favore delle nuove Lola T87/00, ancora spinte dall’intramontabile V8 Cosworth DFX. Bobby Rahal si aggiudica il titolo.
In foto, la March 86C, vittoriosamente condotta da Rahal alla Indy 500 del 1986, e la Lola T87/00, portata al successo da Rahal nella stagione CART 1987.
La stupenda Ferrari 637 diviene, dalla fine degli Anni ’80, un oggetto mitologico, un pezzo da museo dal valore inestimabile. Un esercizio tecnico di rilevante importanza. A questo punto della storia, si apre un nuovo capitolo. Come noto, l’Alfa Romeo, dal 1989 al 1991, intraprende una difficile avventura nel campionato CART, andando a motorizzare dapprima le March 89CE e 90CA gestite rispettivamente dall’Alex Morales Motorsport e Patrick Racing, quindi la Lola T91/00, ancora gestita dal Patrick Racing. Leggenda vuole che il motore CART Alfa Romeo derivi dal V8 Ferrari. Vero, in parte. Innegabile l’ispirazione (del resto, nel 1987, l’Alfa Romeo entra a far parte del gruppo Fiat, all’interno del quale orbita anche Ferrari dal 1969), tuttavia si tratta di due progetti distinti. L’Alfa Romeo – a capo delle attività agonistiche Alfa Romeo-Lancia vi è Claudio Lombardi – realizza un interessantissimo V8 di 90° bialbero in testa e 4 valvole per cilindro, cilindrata di 2648,8cc, provvisto di singolo turbocompressore Garrett AirResearch. Le misure di alesaggio e corsa, come nel V8 034 Ferrari, sono pari a 86 mm x 57 mm. La potenza massima, a fine 1989, si attesta attorno ai 720-730 CV a 11,800/12,000 giri/minuto, ad una pressione massima di sovralimentazione di 1,52 bar (45 inHg). Prestazioni, dunque, allineate ai V8 Porsche e Ilmor-Chevrolet. Nel 1991, il V8 Alfa Romeo M 191 presenta rilevanti modifiche: le misure di alesaggio e corsa vengono portate a 89 mm x 53,2 mm. È accreditato di una potenza massima di oltre 700 CV ad un regime compreso tra i 12,200 ed i 12,400 giri/minuto. Le cronache dell’epoca parlano di una ulteriore evoluzione del V8 Alfa Romeo, il 291, modificata nella testata, nell’angolo delle valvole (ridotto rispetto ai 25° del M 191), con rapporto di compressione incrementato, albero motore, pistoni e bielle alleggeriti. Prevista una terza evoluzione, il 391, con corsa ridotta e alesaggio incrementato.
In foto, il V8 Turbo Alfa Romeo installato sulla Lola T91/00 Patrick Racing del 1991.
A distinguere il progetto Alfa Romeo da quello Ferrari vi è, anzitutto, l’inversione di aspirazione e scarico: a differenza del Ferrari 034, il V8 Alfa Romeo presenta l’aspirazione all’interno delle bancate e lo scarico all’estero del V.
Ancora oggi, il progetto della Ferrari 637 rimane tra i più clamorosi “what if” della storia dell’automobilismo sportivo. Un’autentica occasione persa e mai più riaffiorata e presa in considerazione negli uffici di Maranello. Chissà se il trascorrere della storia e del tempo potrà e saprà riportare una Ferrari a calcare il sacro suolo di Indianapolis…
Scritto da: Paolo Pellegrini